Chief Innovation Officer: cosa fa, perché è una figura chiave per la ripresa

Si tratta di un executive chiamato a gestire il cambiamento, in alcuni casi definito addirittura “evangelista dell’innovazione”. E in un periodo come quello attuale la capacità trasformativa di un’azienda è l’elemento fondante per la sua sopravvivenza.

Pubblicato il 01 Lug 2021

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Negli ultimi anni vi sarà capitato di imbattervi, anche solo trasversalmente, in questa figura professionale: il Chief Innovation Officer (CInO). Non a caso è un ruolo di tipo executive relativamente nuovo, fra i più ricercati e in costante crescita; uno studio del 2017 di Egon Zehnder della Harvard Business Review riporta che il 29% delle top 500 di Fortune hanno un senior innovation executive fra i collaboratori. Tuttavia, secondo una ricerca dell’Università di Pavia, in Italia, solo il 2,2% delle imprese è dotata di un Chief Innovation Officer (da qui abbreviato in CInO), percentuale che dovrebbe raggiungere il 12,8% entro il 2025.

Chi è e cosa fa un Chief Innovation Officer

Il ruolo è salito alla ribalta in tempi recenti, non esiste una definizione specifica e le responsabilità del ruolo dipendono molto dall’azienda che lo ospita. Le sue mansioni non sono le stesse del R&D specialist. In linea di massima possiamo dire che è quella figura all’interno dell’azienda che si occupa di guidare i processi di innovazione (tecnologica e non) e di cambiamento, dotata di forti capacità di valutazione, leadership e pensiero critico, in grado di analizzare l’organizzazione aziendale e trovare nuove idee, business alternativi che aiutino la società a innovarsi e a mantenersi competitiva nel presente. Va da sé che in un periodo come quello attuale, la capacità trasformativa di un’azienda, come la digital transformation, sia l’elemento fondante per una sua sopravvivenza nel panorama contemporaneo.

Quali sono i profili adatti per questa professione

Per quanto si provi a definire con più precisione delle categorie di persone in grado di svolgere queste mansioni, soprattutto su territorio anglosassone, non esistono oggettivamente dei parametri generali per identificare un profilo univoco: si spazia dal dirigente senior al neolaureato, dall’inventore indipendente al consulente finanziario, dal creativo allo startupper.

Ciò che accomuna queste persone, apparentemente distanti fra loro, è in realtà un sentire comune delle tendenze del contemporaneo, scomodando Hegel: persone in grado di sentire più chiaramente degli altri lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo. Il “sentire” non si limita (quantomeno non dovrebbe) al business, bensì ad una visione del reale complessiva, più di ordine filosofico che professionale.

chief innovation officer

Chief Innovation Officer o “evangelisti” dell’innovazione

Non stupisce che alcuni di loro si definiscano dei veri e propri “evangelisti” dell’innovazione, proprio perché parte del talento sta nell’elargire efficacemente la buona novella, talvolta anche dovendosi scontrare con governance più conservative e reticenti al cambiamento.

La forza del CInO sta anche nel sapersi porre alla giusta distanza dalle dinamiche produttive per essere più recettivo nei confronti delle problematiche; la prerogativa fondamentale infatti è l’ascolto omnidirezionale: sia alle voci interne all’organizzazione che esterne. Come ci insegna la neurobiologia, la concentrazione focale è un grande isolante ed è un ottimo strumento per esaudire il singolo task con estrema puntualità, tuttavia compromette il pensiero laterale. Ergo: anche il migliore degli ingegneri o il più proattivo dei dirigenti può non essere adatto a svolgere questo compito.

CInO, quali problemi risolve

Nel 2020 Chuck Swoboda di Forbes pubblica un interessante articolo con un titolo molto esplicativo della sua opinione: “Hiring a Chief Innovation Officer is a Bad Idea”. L’argomentazione è molto chiara: non si può delegare l’innovazione.

“Innovation is a mindset, not a job title or a seat in the C-suite. To really work, innovation must be part of an organization’s cultural fabric, and everyone has to buy in. It is much more than something you do; it is the way that your company thinks.”

Verissimo: l’idea di assumere qualcuno per pulirsi la coscienza e sentirsi a posto per la partita dell’innovazione è decisamente controproducente (oltre che inutilmente dispendioso). Il presupposto deve essere la volontà di mettersi in gioco in prima persona insieme ai propri collaboratori, tant’è che uno dei compiti del CinO è quello di favorire un ecosistema di “giardinaggio delle idee”: coltivare e far crescere quelle brillanti, oppure tagliare coscienziosamente le altre.

Quello che Swoboda sbaglia clamorosamente è affermare che l’innovazione possa esistere solo in condizioni ideali, in cui tutte le persone dell’azienda sono allineate sulle medesime posizioni: “Innovation will happen with or without you. So you are far better off to seize the opportunity and get in the game rather than be left behind. […] Eliminate your backup plan. In giving yourself no other alternative, you’ll force your hand in the best sense of the term”.

CInO, una figura per accelerare l’innovazione

O sei dentro o sei fuori. Seguendo questa logica (tipicamente da self-made man americano) allora dovremmo aspettarci che ogni realtà aziendale che non abbia le perfette condizioni di partenza nella totalità del suo organico sia automaticamente tagliata fuori e lentamente destinata a rimanere indietro. Non tutti sono nella posizione di Tim Cook, CEO di Apple, di poter dirigere una delle società tecnologiche più innovative del mondo e affermare che “nel momento in cui un’azienda assume un Chief Innovation Officer capisci che quell’azienda ha un problema”.

Certo, è ovvio che in questo momento storico la stragrande maggioranza delle attività hanno un problema, ammetterlo e cercare una figura in grado di dare un aiuto concreto nella giusta direzione mi sembra un investimento più che ragionevole. Temo che un semplice elenco “Getting Started” con frasi a effetto non sia più sufficiente nemmeno per smuovere le coscienze dei più cocciuti: anche i bambini ormai sanno che “o cambi o sei fuori”, serve qualcosa di più consistente che garantisca costanza nei processi trasformativi. L’accelerazione dell’innovazione non permette più approcci sporadici, richiede apprendimento continuo e dedizione quotidiana allo scouting. Siamo davvero sicuri che tutti sappiano come arrivare all’obiettivo affidandosi solamente al proprio spirito imprenditoriale?

Il punto non è delegare i processi di cambiamento ma potenziare e incanalare meglio le dinamiche interne, ottimizzare il flusso delle idee e la loro condivisione.

Conclusioni

La chiave di volta per capire questa nuova professione è assimilare il concetto che l’innovazione non è solamente un fattore tecnico-scientifico ma, in senso più ampio, un agire per ripensare i modelli di business e ipotizzare proposizioni di valore dirompenti. Il ruolo del CInO è per sua natura “liquido”, non adatto a qualsiasi contesto aziendale ma in grado di intervenire orizzontalmente laddove riesce a cogliere uno spunto interessante da sviluppare.

Possiamo dire che un CInO debba avere la capacità di interpretare il presente e saper trasformare il suo contesto aziendale per renderlo pienamente compatibile a esso; nel migliore dei casi, porre le basi narrative per un’iperstizione1 dell’innovazione: scolpire, con la propria forza immaginativa, delle profezie che si autoavverano.

Note

1Le iperstizioni sono rappresentazioni della realtà, concezioni, credenze, interpretazioni, comportamenti e così via il cui fondamento principale sono il marketing concettuale e la diffusione massiva attraverso i media digitali.

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