Investitori e banchieri parlano molto del potenziale dell’intelligenza artificiale (AI – Artificial Intelligence) per rivoluzionare un settore che ha lottato con la redditività nel decennio successivo alla crisi finanziaria.
Ne parla in questo articolo, pubblicato originariamente sul portale della community Content Intelligence, Paolo Marizza, Co-founder di Innoventually e professore all’Università di Trieste*.
Indagini e ricerche sull’uso dell’AI nel settore bancario sembrano rivelare un’industria entusiasta delle prospettive di una tecnologia che può aiutare a tagliare i costi e aumentare la redditività.
Molte di esse prevedono che il 30%-40% dei posti di lavoro nel settore bancario potrebbe essere spazzato via dall’intelligenza artificiale nei prossimi cinque/dieci anni. Quasi tutte le grandi società di consulenza hanno pubblicato ricerche su come l’AI trasformerà il settore bancario: dagli “assistenti virtuali” che sostituiscono le persone in tutti i punti dell’interazione con il cliente, ai robot che prevengono le frodi, che eseguono deal complessi o che siedono nei CdA a supporto dei processi decisionali.
Come usare l’AI nel settore bancario
Questa è la narrazione che occupa la scena, ma la realtà è molto più complicata.
C’è scarso consenso su come l’AI potrebbe o dovrebbe essere utilizzata nel settore bancario e molti degli attuali sforzi per applicare l’apprendimento automatico sono limitati e a macchia di leopardo.
Le risorse allocate variano da qualche milione a centinaia di milioni di euro a seconda dei casi ed il personale dedicato varia da poche decine di operatori a diverse centinaia.
Vari istituti che stanno sperimentando l’AI nel settore bancario non sono così ottimiste come suggerirebbero i proclami pubblici, arrivando a stimare risparmi sui costi a regime inferiori al 20%.
Molti esperti dicono che c’è il rischio che troppi investimenti si riversino in aree “sexy”, come i chatbot, a spese degli investimenti in processi di back end in cui le banche potrebbero ottenere guadagni più significativi.
Le aspettative incerte e poco realistiche non sono le uniche problematiche che le banche stanno affrontando nel valutare le opportunità e gli impatti che il mondo dell’AI promette.
In quali aree funzionerà meglio l’AI nel settore bancario?
Se, da un lato, le banche concordano sul fatto che l’intelligenza artificiale è un importante driver per il settore, dall’altro le loro strategie per introdurla e utilizzarla non sembrano sorrette da una chiara visione del futuro del banking.
A cominciare da ciò che le banche considerano come AI: da programmi che eseguono più funzioni di base che coinvolgono logiche algoritmiche, apprendimento e auto correzione, a un insieme di tecnologie e approcci che consentono alle macchine di fare cose che richiedono intelligenza se fatte dall’uomo, per arrivare a una visione dell’AI pervasiva che comprende tutti i processi, inclusi quelli che si proiettano al di fuori dei confini aziendali.
Le progettualità spaziano dall’ottimizzazione e automazione di processi standardizzati e ripetitivi a bassa variabilità (middle e back end), il miglioramento della gestione e della capacità di assumere rischi, l’apprendimento automatico per gestire la formulazione del pricing, all’utilizzo di chatbots e voice bots per l’interazione e il problem solving con i clienti, all’analisi di dati per calibrare l’offerta e generare comunicazioni e decisioni personalizzate basate sui profili comportamentali di ciascun cliente.
Una delle aree più esplorate, in cui l’AI può essere una grande risorsa è quella dei contact center, che se ben implementati, liberano i clienti dalla complessità dell’interazione, migliorano la customer experience e riducono i costi limitando la necessità dell’interazione umana.
Tuttavia, ottenere il giusto equilibrio tra uomo e robot è importante. Non limitarsi a pensare all’AI come mero sostituto delle routine aziendali, può liberare tempo ai ruoli di consulenza per sviluppare rapporti con i clienti. I sistemi attualmente basati su regole algoritmiche si sposteranno verso sistemi “cognitivi” che consentono previsioni e interazioni più intelligenti.
Le banche si trovano in una fase di sperimentazione focalizzata sull’individuazione degli ambiti che possono generare maggior valore: selezionare le aree “giuste” per utilizzare l’AI è un problema complesso. Open banking e “open” payments (PSD2) stanno imprimendo forti accelerazioni a questi sviluppi. I nuovi scenari che si aprono nel mondo dei pagamenti in particolare, richiedono un utilizzo massivo dell’AI, pena la marginalizzazione degli operatori e la commoditizzazione dei servizi.
Benefici dell’AI nel settore bancario
I primi risultati promettenti mostrano che diverse banche grazie all’implementazione di queste tecnologie sono state in grado di
- vendere più prodotti/servizi;
- comunicare meglio con i loro clienti;
mentre altre stanno ottenendo risultati nelle operazioni di back office, nel customer service e nella gestione dei rischi.
È sicuramente troppo presto per valutare risultati tangibili che orientino le politiche di investimento. Prove di migliori rapporti costo / reddito e cross selling richiedono più tempo per consolidare la fase sperimentale.
Sembra comunque emergere una linea di demarcazione tra banche che considerano la nuova tecnologia come fattore abilitante lo sviluppo di nuovi modelli di business e nuovi ruoli nella value chain (non solo finanziaria) rispetto a banche che adottano approcci verticali limitati ad obiettivi specifici che possono creare solo miglioramenti marginali.
I progetti di AI portano le banche in molte direzioni diverse, ma è tutto il settore che ha bisogno di cambiare modelli di business e organizzativi.
Non si tratta tanto della AI di per sé. Ogni giorno siamo bombardati da articoli sulla necessità di digitalizzare o su come AI / API / Cloud / Mobile / IoT / blockchain trasformerà o estinguerà questa o quest’altra industria. Dimentichiamo che la tecnologia in assenza di nuovi modelli di business non ha mai cambiato nulla.
Abbiamo bisogno di nuovi modelli di business
Non è stato Internet a trasformare la vendita al dettaglio o la musica. Non è stato lo smartphone a creare Uber. Invece è il cambiamento del modello di business che ha sfruttato il potenziale delle nuove tecnologie. Nel commercio al dettaglio, è stato il modello di business Amazon. Nella musica è stato il modello iTunes della musica unbundled a permetterci di acquistare singoli brani. È il modello di reboundling di Spotify che con un servizio in abbonamento consente uno streaming musicale universale e personalizzato.
E così nel settore bancario possiamo tranquillamente prevedere che non sarà l’AI e le tecnologie adiacenti a trasformare l’industria: saranno i nuovi modelli di business potenziati da quelle tecnologie.
L’economia pre-digitale era tutta basata sull’effetto scala. Una volta che un’azienda aveva ideato e realizzato un prodotto vincente, la sfida consisteva nello sfruttare al massimo le economie di scala. Ciò ha permesso di ridurre al minimo i costi unitari. Pertanto, tutti gli investimenti miravano a massimizzare le dimensioni – marketing di massa, produzione di massa, distribuzione di massa – e le attività erano organizzate in strutture gerarchiche centralizzate per renderlo possibile.
Ma le logiche di sola scala nell’era digitale stanno rapidamente passando da fonti di vantaggio competitivo a fonti di svantaggio competitivo.
In termini economici, la tecnologia ha ridotto la scala minima della produzione. E con una struttura aziendale monolitica, di tipo meccanico, le diseconomie di scala iniziano prima.
La sfida per gli operatori tradizionali, non solo bancari, consiste quindi nel come allontanarsi dal retaggio della scala, una sfida più grande di quanto sembri in quanto la cultura della scalabilità è profondamente radicata nelle strutture aziendali, nei parametri di performance, nelle logiche di remunerazione, nei processi e nelle competenze dei dipendenti.
La minaccia non proviene dalle tecnologie: il rischio è che le banche non sentano la necessità di ridefinire i loro modelli di business prima di intraprendere un importante rinnovamento tecnologico. In effetti, il rinnovo della tecnologia in assenza di un rinnovo del modello di business potrebbe peggiorare le cose perché rafforzerebbe i modelli di business esistenti.
*Economista con oltre 25 anni di esperienza nel Management Consulting presso primarie multinazionali e boutique del settore, tra cui KPMG, ATKearney (VicePresident) e Value Partners (Senior Advisor),Paolo Marizza è stato Direttore della Pianificazione Strategica del Gruppo Bancario SanPaoloIMI. Attualmente è partner di Financial Innovations e Adjunct Professor al DEAMS – Università di Trieste, dove si è laureato in Economia e Commercio. MBA SDA Bocconi, è autore di libri e pubblicazioni su tematiche di strategia, finanza e innovazione, in particolare nelle PMI. Oggi è anche è Co-founder di Innoventually