Intelligenza artificiale, cresce l’interesse per le startup

Con diverse velocità e intensità, le startup AI stanno conquistando sempre più investimenti e interesse in tutto il mondo. Anche in Italia, dove però l’intelligenza artificiale, come le altre nuove tecnologie, rischia di restare sommersa o incastrata nelle università senza mai tradursi in business. Archangel AdVenture evidenzia e mira a colmare il gap tra il mondo della ricerca e quello delle imprese, identificando i verticali AI più promettenti e le strategie da attuare in Italia da chi ha una tecnologia valida e vuole portarla sul mercato con successo

Pubblicato il 14 Giu 2021

Marta Abbà

Giornalista

Intelligenza artificiale

Desta sempre più interesse nello scenario internazionale l’intelligenza artificiale. Anche quando non è protagonista assoluta, l’AI riesce a stupire e conquistare consenso e investimenti in veste di enabler di tante possibili tecnologie, dal riconoscimento facciale, alla guida autonoma a programmi di previsione applicabili nei più svariati campi, tra cui finanza e medicina. A livello globale questo marcato e continuo interesse per l’AI si ritrova anche nelle cifre, che segnano una convinta crescita degli investimenti nelle startup del settore.

Interesse per l’AI in crescita nel mondo e in Europa. E in Italia?

Nel secondo trimestre del 2020 l’importo totale dei fondi che le startup AI hanno raccolto a livello globale ha raggiunto i 61,6 miliardi di dollari, secondo i dati raccolti da BuyShares.co.nz, con un aumento del 35% in un anno. L’attenzione rispetto a queste realtà è cresciuta negli ultimi anni come mostra l’AI Index Report dell’università di Stanford che mette a confronto i 37 miliardi di dollari di dollari raccolti nel 2019 con gli 1,3 del 2010.

Leader indiscussi del settore sono gli USA, la Cina li rincorre mentre l’Europa mostra uno scenario diverso, in cui il numero di operazioni è maggiore rispetto a quello registrato negli USA (980 contro 500) ma è decisamente inferiore il totale investito (3 miliardi di dollari), così come il valore medio per singola operazione (3 milioni di dollari). In questo contesto, dalle regole e dalle logiche non paragonabili a quelle dei due giganti, almeno per ora, le startup di intelligenza artificiale registrano comunque un aumento del 55% dei fondi raccolti, secondo l’indagine “The Road to AI – Investment Dynamics in the European Ecosystem” condotta dalla società di consulenza tedesca Roland Berger. Il Paese che più sta scommettendo su questa tecnologia è la Francia (+58%) mentre l’Italia non dà ancora segnali così espliciti e non presenta vere operazioni series A, B e C. Anche se l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano nel 2020 ha registrato una crescita del 15% della spesa legata all’AI, grazie a settori come la finanza e l’energia, che hanno investito in questa tecnologia e nelle startup che l’hanno messa al centro del proprio business.

La ricerca italiana eccelle ma non diventa innovazione per il business

Il ritardo dell’Italia nella corsa al sostegno delle startup di AI è legato a un problema di ecosistema di cui tutte le nuove tecnologie risentono, secondo Daniele Scoccia di Archangel AdVenture. “Nel nostro Paese ci sono tante tecnologie sommerse che iniziano ad essere sviluppate ma che poi non vedono mai la luce né il mercato restando solo a livello di ricerca o di progetto universitario – spiega Daniele Scoccia – c’è un notevole gap tra mondo della ricerca e mondo imprenditoriale che va colmato con l’aiuto di entrambe le parti. Manca la spinta da parte delle aziende ma anche la mentalità di chi lavora con le tecnologie di mettersi in gioco uscendo dai laboratori”.

I dati OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che analizzano le caratteristiche del 10% delle pubblicazioni scientifiche sull’AI più citate al mondo, mettono in luce che il 14% è attribuito all’Italia. “La nostra ricerca è eccellente, ma non sfocia in attività imprenditoriali di successo. Servono iniziative per incentivare la generazione di nuove idee e applicazioni basate sull’AI nel contesto universitario, serve far capire ai ricercatori e agli studenti che non c’è nulla di male nel fare l’imprenditore”, spiega Ciro Di Carluccio, che con Archangel AdVenture sta portando avanti un percorso di contaminazione assieme al coworking della Sapienza Saperi&Co per far incontrare studenti e laureandi specializzati in AI e altri “colleghi” esperti di altre discipline e ricreare il team ideale di una startup, proiettandoli verso il mondo imprenditoriale ancora troppo spesso percepito come totalmente estraneo al contesto universitario”.

Al cambio di mentalità del mondo della ricerca va affiancato anche quello più generale del Paese che, quanto a scetticismo verso l’AI, si distingue anche all’interno dell’Europa, secondo Archangel AdVenture. “Esiste una resistenza alla adozione di questa tecnologia, perché molti ancora non si fidano dei risultati che essa produce. In effetti ci sono grandi miglioramenti ancora da fare e il processo di apprendimento è lungo e in alcuni casi costoso richiedendo un approccio iterativo per tentativi. Ma non serve a nulla alimentare il timore che i pregiudizi risiedano nella macchina, se esistono sono umani e non si può certo affidarsi alle macchine per risolverli. Nella adozione della tecnologia c’è poi il nodo in alcuni casi della difficoltà di accesso che scoraggia. Sullo sfondo c’è in realtà il timore che le macchine rubino lavoro all’uomo, una convinzione purtroppo spiccatamente diffusa nel Paese – spiega Scoccia. “Queste sono barriere che riguardano non solo l’utente ma anche gli investitori stessi, che ne restano influenzati non mostrando poi particolare coraggio nel puntare sulle startup AI”.

Computer Vision e Explainable AI: ecco su cosa scommettere adesso 

Tra perplessità e reticenze, c’è comunque una parte di Paese che sta scommettendo su progetti imprenditoriali di intelligenza artificiale in modo concreto, puntando soprattutto su alcuni filoni come Intelligent Data Processing, (33% del mercato, + 15% annuo), Natural Language Processing (18%, +9%), e Recommendation System (18%, +15%) – fonte: Osservatorio Artificial Intelligence. Segnano un +15% anche gli investimenti in Computer Vision (10% del mercato), uno dei settori su cui oggi le startup di AI dovrebbero scommettere, secondo Archangel AdVenture, come anche quello dell’Explainable AI che nell’Hype Cycle dedicato di Gartner occupa un’ottima posizione.

“Da sempre, poi, l’AI ha presa ogni volta che c’è una componente predittiva, soprattutto nel mondo della finanza come in quello del manufacturing, e continuerà ad averla proprio come continueranno a suscitare attenzione tutte quelle startup di intelligence che la usano per ricavare informazioni preziose dalla crescente mole di dati che il mondo produce – aggiunge Di Carluccio. “C’è poi il tema dell’apprendimento, su cui c’è una fervente attività di ricerca in corso, si sta andando verso un modello ibrido che unisce quello assistito e quello non assistito. Anche le startup possono sviluppare nuovi metodi e affinare gli algoritmi, offrendoli a chi fa applicazioni di computer vision, ad esempio, per aumentarne l’efficacia”.

Imboccare la via degli Startup Studio, ma mai da soli

Per cogliere prontamente i timidi ma importanti segnali di fiducia verso le startup AI lanciati dall’ecosistema imprenditoriale e dalle istituzioni del Paese, oggi è fondamentale muoversi con pragmatismo e lucidità. “Per prima cosa va scelto bene il mercato di riferimento identificando quello con meno resistenze culturali e sociali. Poi è necessario occuparsi dei competitor imparando a difendere non solo la propria tecnologia ma anche i propri dati – consiglia Daniele Scoccia. “Prima parto ad allenare il mio algoritmo e a raccogliere tanti dati presentandoli in modo funzionale rispetto al mio progetto, più riesco a conquistare un vantaggio sul mercato”.

Nel frattempo, ci si può rivolgere agli Startup Studio che dagli USA si stanno diffondendo anche in Italia e che ad oggi “rappresentano un modello molto efficace per queste realtà perché riducono il rischio di fallimento, hanno una struttura molto efficiente di sviluppo delle tecnologie e possono dare il giusto supporto a livello di competenze. Bisogna fare però attenzione nello scegliere quello giusto e nel non diventare un loro dipendente pagato in equity della startup più che un imprenditore.” – spiega Ciro Di Carluccio. “È un problema risolvibile presentandosi a queste realtà non da soli ma con già un imprenditore o un investitore (o noi di Archangel AdVenture stessi) che mostri di credere in te come leader, ti aiuti nella scelta del miglior percorso, finanzi la accelerazione della tua tecnologia e permetta allo startupper che sei di restare startupper”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4