AR e VR, quale business model per una startup?

Ragionando con una logica di ecosistema, le startup AR e VR possono posizionarsi all’interno della catena del valore e, grazie alle partnership, affermarsi in nuovi settori. Questa consapevolezza deve essere il pilastro attorno a cui costruire il proprio business model, senza sovrapporsi ai big player ma individuando aree dove portare per primi AR e VR e fare la differenza.

Pubblicato il 01 Lug 2021

Marta Abbà

Giornalista

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La necessità di annullare le distanze tra le persone per assicurare la continuità del business, come anche delle relazioni sociali, unita allo sviluppo sempre più concreto delle tecnologie, hanno reso il 2020 un anno particolarmente favorevole alla diffusione della realtà aumentata (AR) e della realtà virtuale (VR). Questo trend, supportato dai dati e amplificato dagli annunci di alcuni big player, è un incoraggiamento per tutte quelle startup che stanno lavorando a queste tecnologie e oggi, in uno scenario in rapida evoluzione e con peculiari dinamiche, si trovano a dover stendere un business model che le conduca al successo.

Per le startup AR e VR questo è il momento di crederci

Se i mesi di lockdown sono stati quelli della consapevolezza dell’utilità e dell’efficacia delle tecnologie AR e VR, tra smart working, shopping on line con la possibilità di indossare virtualmente capi di abbigliamento, e formazione, con qualche tentativo di video immersivi e software interattivi, il 2021 si sta dimostrando l’anno degli investimenti in questo settore.

Secondo IDC si dovrebbe registrare infatti un vero e proprio balzo in avanti, passando da una spesa mondiale di 12 miliardi di dollari nel 2020 a 72,8 miliardi di dollari nel 2024: c’è spazio, quindi, anche per le startup in arrivo.

Ad accrescere il fermento attorno a questo filone tecnologico sono arrivati anche gli altisonanti annunci di tre big tech che nei primi mesi dell’anno hanno più o meno esplicitamente dichiarato non solo di crederci ma anche di averci investito, tanto da avere già programmato il lancio dei propri dispositivi. Microsoft ha vinto un contratto governativo da 22 miliardi di dollari per fornire visori AR alle forze armate statunitensi mentre Apple e Facebook nel 2022 esordiranno rispettivamente con un paio di occhiali per inviare e ricevere informazioni da web tramite Wi-Fi o Bluetooth, abbinato a un iPhone, e uno smartwatch con due fotocamere integrate e app per controllare direttamente i contenuti sugli occhialini proprietari.

Molti player nel gaming, education e healthcare

Le mosse dei big player, se da una parte confermano agli startupper di AR e VR la validità del filone, dall’altra le mettono in guardia rispetto all’ambito di applicazione su cui puntare per evitare di gettarsi nelle solite aree troppo affollate. “È molto importante analizzare attentamente il settore di applicazione tenendo conto delle dinamiche specifiche che lo regolano ma anche dei competitor, soprattutto se di peso”, spiega Ciro Di Carluccio, co-fondatore e CEO di Archangel AdVenture, mostrando come anche quelli più gettonati presentino criticità e complessità.

Il gaming, mercato che secondo Statista per AR e VR dovrebbe passare da 6,9 a 11,6 miliardi di dollari entro il 2025, “è presidiato da grandi player ma potrebbe riservare degli spazi alle startup con valide tecnologie anche se nei prossimi mesi potrebbe subire un raffreddamento a seguito della pandemia – avverte Daniele Scoccia, partner e Investment Manager di Archangel AdVenture – sono infatti cambiate ‘le regole del gioco’ e ora incombe il tema dell’igiene e della sicurezza, visto che i visori utilizzati spesso passano di mano in mano”.

Anche l’healthcare è un ambito fortemente trainante per AR e VR, il mercato potenzialmente si prepara a esplodere da 1,2 a 5,1 miliardi di dollari da qui al 2025, tra telemedicina, utilizzo di visori in sala operatoria e training. Proprio in quest’ultimo frangente “potrebbero però sorgere problemi di contenuti, servirebbe infatti convertire tutti quelli attualmente utilizzati in modo che siano interattivi e immersivi e non è un passaggio banale – specifica Di Carluccio – è lo stesso scoglio che si incontra anche nell’education, ambito in cui si aggiunge anche un problema di investimenti che scarseggiano, purtroppo, soprattutto nel pubblico”.

Avendo tra le mani delle tecnologie così trasversali e versatili come quelle AR e VR, le startup possono proporle in diversi ambiti spaziando dall’intrattenimento alla cultura, dal manufacturing alle infrastrutture fino al settore assicurativo. “La scelta non manca ma nella catena del valore è meglio evitare di posizionarsi nella componentistica per hardware, già presidiata da grandi player, meglio optare per il mondo della modellazione e della fornitura di componenti per creare modelli in modo più facile e veloce, con una logica di software as a service  – spiega Daniele Scoccia. “Un altro spazio interessante per le startup potrebbe essere quello della creazione di contenuti caratterizzati da un audio più immersivo e interattivo, per migliorare l’esperienza globale dell’utente”.

Non esiste un solo business model per avere successo con AR e VR

Avere le idee chiare sull’ambito di applicazione della propria tecnologia è più che mai importante, anche quando si tratta di stendere un business model per la realtà virtuale e aumentata, perché “non esiste uno standard consigliabile. Per questo tipo di tecnologie potrebbe essere opportuno spingere verso la fornitura di servizi che le includano ma non è detto che sia il modello vincente sempre” – ammette  Scoccia.

Il vero segreto per confezionare un business model promettente in un periodo in cui AR e VR stanno iniziando in alcuni settori a spopolare, è “puntare su applicazioni meno ovvie, ma non per questo meno efficaci, che possono non solo dare soddisfazione ma anche offrire maggiori probabilità di essere percepiti per il proprio reale valore, senza essere offuscati dai grandi brand” – consiglia Ciro Di Carluccio.

Non è semplice individuare delle vie alternative per proporre al mercato la propria idea, ma ci si può rivolgere a una realtà come Archangel AdVenture che, oltre a conoscere approfonditamente le esigenze dei settori già noti per il loro interesse verso AR/VR, è anche in grado di aiutare le startup a “compiere scelte non banali puntando su aree in cui si può fare la differenza oggi, se ci si muove subito e si arriva prima degli altri”.

Entrare nella catena del valore grazie alle partnership  

L’ultimo e più importante consiglio strettamente dedicato a chi vuole farsi largo nel campo del AR/VR è quello di costruire un business plan “basato su partnership e in ottica di ecosistema”. “È un suggerimento sempre valido per le startup di ogni tipologia, ma per quelle che si occupano di realtà virtuale e aumentata lo è particolarmente: si tratta di una tecnologia di interazione e quindi necessita dell’integrazione tra più componenti – aggiunge Di Carluccio. “Questo è un business che, oltre ad essere fortemente dipendente dalla diffusione del 5G e dei dispositivi IoT, in generale non si regge da solo e va inserito in un processo di digitalizzazione più ampio. Nel business plan di una startup è bene quindi che siano previste delle partnership strategiche che la aiutino ad entrare a far parte della value chain. Nell’education e nel training potrebbe essere un accordo con un creatore di contenuti immersivi già adatti a AR e VR mentre nel entertainment sarebbe interessante trovare chi risolve il problema dell’igienizzazione dei visori”.

La creazione di un ecosistema fertile e partecipato attorno a AR e VR non è solo un’idea o un consiglio teorico per Archangel AdVenture ma una direzione verso cui sta già muovendo i primi passi attraverso la partnership con l’VRE-Virtual Reality Experience. Questo festival internazionale dedicato all’impiego di AR e VR in arte, cultura, valorizzazione del patrimonio culturale, nella medicina, nel learning e nell’industry, prevede infatti anche una call per startup che utilizzano tali tecnologie. “In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una sempre maggiore interazione della AR con il mondo dei beni culturali e dell’arte – spiega Mariangela Matarozzo, fondatrice e direttore artistico del VRE. “Questa tecnologia ci introduce ad una nuova dimensione e a nuove modalità di fruizione”. Dagli artisti che la utilizzano nelle proprie opere al mondo museale che la sfrutta per costruire percorsi esperienziali più efficaci, soprattutto se rivolti alle nuove generazioni. Sarà compito delle startup AR e VR proporre nuove idee e business plan per coinvolgere lo spettatore associando luoghi e opere non solo a informazioni ma anche a emozioni e sentimenti, facendo leva sull’elemento immersivo introdotto.

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