Cognitive enterprise, le parola d’ordine sono integrazione ed orchestrazione

Una cognitive enterprise è un’azienda composta da piattaforme di business (modelli organizzativi nuovi basati sul concetto di piattaforma) che fanno leva su elementi cognitivi, sulle cosiddette “actionable information” abilitate da tecnologie avanzate, tra le quali l’intelligenza artificiale, ma non solo. Ne abbiamo parlato con Angelo Cirocco General Manager, Global Technology Services di IBM Italia, che vede nell’open standard il pilastro più rilevante

Pubblicato il 07 Nov 2019

Angelo Cirocco, General Manager, Global Technology Services di IBM Italia

Nelle aziende dove la tecnologia rappresenta un elemento distintivo per il business il concetto di cognitive enteprise è più facile da cogliere e da tradurre attraverso scelte strategiche, organizzative e di investimento tecnologico. «Sembrano concetti scontati ma non è così, aspetti culturali come il continuo rinnovamento delle competenze, da un lato, o l’effort che richiedono manutenzione ed evoluzione dell’as-is, cioè delle infrastrutture e dei sistemi IT stratificati tipici delle aziende medio grandi, dall’altro, rendono i percorsi di trasformazione digitale delle imprese molto complessi, ancor di più quando si parla di passaggio a Cognitive Enterprise».

La premessa è quella che fa Angelo Cirocco, General Manager, Global Technology Services di IBM Italia, nell’analizzare le criticità che devono oggi affrontare le aziende quando, pur consapevoli della necessità di rinnovamento, devono fare i conti con sistemi tecnologici e strutture organizzative che, seppur stratificate, complesse e, in alcuni casi, obsolete, “tengono in piedi” modelli di business, transazioni, stabilimenti produttivi, servizi a clienti e partner, ecc. «Nelle aziende più grandi stiamo vedendo una separazione tra la componente di innovazione e quella di “run” (quella che mantiene, gestisce e fa comunque evolvere l’esistente) – osserva Cirocco -; molte realtà aziendali, per non perdere l’opportunità di innovazione che certe tecnologie nuove possono garantire, hanno scelto di dedicare delle strutture ad hoc, separate dall’IT e completamente sconnesse dalla gestione ordinaria non solo da un punto di vista di investimenti e gestione dei budget ma anche rispetto a competenze e professionalità».

Una scelta che certamente produce valore nel breve periodo ma che dev’essere poi oggetto di una strategia di più ampio respiro, affinché i reparti di innovazione non rimangano “isole felici” in azienda con il rischio di riportare in auge approcci tecnologici ed organizzativi a silos.

«Questa è una delle sfide più critiche dei CIO ma anche un’incredibile opportunità per poter essere rilevanti sul business – è la risposta di Cirocco alla provocazione -. Gli esempi di CIO che siedono nei board aziendali ed hanno funzioni rilevanti per il business sono ancora troppo pochi. Le unità dedicate all’innovazione potrebbero rappresentare, in questo senso, una chiave di volta, un’opportunità per i CIO di dimostrare che l’IT non è solo una macchina tecnologica da mantenere ma anche un volano di successo per l’azienda».

Certo la gestione del “running” non può essere accantonata. «È proprio per superare queste criticità che si è iniziato a parlare di hybrid IT, prima, e di modelli tecnologici ibridi e multi cloud, ora – sottolinea Cirocco -. Nelle organizzazioni IT ci sono ancora sistemi legacy che costano poco, sono molto performanti e reggono applicazioni di backend in modo ottimale… al contempo si trovano servizi digitali ed applicazioni ibride o cloud native che, di fatto, danno sì vita a contesti tecnologici ed applicativi differenti ma lo scenario a silos può essere evitato attraverso piattaforme di integrazione che consentono di far convivere e gestire al meglio tecnologie differenti».

Quello su cui serve davvero investire è la visione end-to-end, invita a riflettere Cirocco, «le tecnologie per rendere poi possibile la governance end-to-end, automatizzata e smart, ci sono».

Cognitive enterprise, il business diventa piattaforma tecnologica

«Cognitive enterprise non è altro che l’evoluzione, con elementi cognitivi, della digital enterprise – è la prima riflessione di Cirocco quando si parla di nuovi modelli organizzativi e di business abilitati ed accelerati dalla tecnologia -. Negli anni passati si è fatto davvero molto nelle aziende per digitalizzare i servizi ed innovare il front-end delle applicazioni, con un approccio prevalentemente outside-in, spinto cioè dal mercato e, in particolare, da Internet. Negli ultimi 18-12 mesi ci sono state poi una fortissima accelerazione e una maturazione significative di tecnologie molto avanzate come intelligenza artificiale, Internet of Things, Big Data Analytics, Blockchain, stampa 3D, realtà virtuale e realtà aumentata, 5G… tutte componenti tecnologiche che da sole sono in grado di stravolgere i processi, combinate e abilitate dal cloud possono stravolgere il business».

Una cognitive enterprise di fatto è un’azienda composta da piattaforme di business (modelli organizzativi nuovi basati sul concetto di piattaforma) che fanno leva su elementi cognitivi, sulle cosiddette “actionable information”, dati ed informazioni raccolti attraverso sensori, dispositivi, tecnologie smart e che diventano conoscenza attraverso tecnologie come analytics, intelligent data processing, intelligenza artificiale, ecc.

«La business platform dev’essere vista come un’unità che eroga una funzione di business attraverso “mattoncini tecnologici” che possono essere sia interni all’azienda ma anche esterni, messi a disposizione dall’industria tecnologica e dai tech e cloud provider», entra più in dettaglio Cirocco. «Sotto la business platform deve esserci la componente che guarda ai processi, ai workload, che deve essere “riscritta” con l’ausilio dei dati (e di elementi cognitivi) affinché possa produrre nuovo valore di business».

Per arrivare ad avere una piattaforma di questo tipo che consenta davvero di considerare un’azienda una cognitive enterprise, l’integrazione e l’orchestrazione end-to-end sono i due fattori critici più rilevanti e sfidanti. «Ci si dovrà spostare sempre più su sistemi open con framework condivisi e standard», fa presente Cirocco.

Uno scenario dove l’acquisizione di Red Hat da parte di IBM non poteva avere collocazione temporale migliore di quella attuale (per la strategia ed il posizionamento IBM ovviamente). «L’open source è la chiave di volta che sempre più consentirà, con approcci di hybrid e multi cloud, di integrare infrastrutture tecnologiche e layer applicativi differenti (sempre più in ottica di micro servizi e containerizzazione) in una reale logica di business platform con sistemi di orchestrazione efficaci», conclude Cirocco.

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