Il caso mediatico dell’AI – un chatbot! – presunta senziente è l’effetto boomerang di tutto il marketing che le aziende tecnologiche hanno fatto negli ultimi anni. Si è arrivati così a questa fase di hype, di aspettative che sicuramente verranno deluse. Ed è un peccato, perché l’AI ha davvero le potenzialità per aiutare il mondo. Ma ce l’ha in ambiti meno fantascientifici.
Come la sanità, l’agricoltura, le fabbriche.
A ben vedere, tutta la storia dell’AI è fatta di speranze gonfiate, poi crollate miseramente perché esagerate; e che, crollando, si sono portate vie per decenni anche quello che di buono c’era, a causa della delusione di investitori, aziende e governi. Gli esperti li chiamano “inverni dell’AI”. Tutto questo fino alla successiva fase di rinascita di speranze e relative esagerazioni.
Da ultimo, il caso di IBM Watson, come riflette un recente articolo del WSJ; per arrivare ora alle fantastiche quanto inutili creazioni di Dall-E2 e di Imagen di Google che rimbalzano sui social. Portava con sé molte aspettative, ma le sue funzionalità difficilmente sono riuscite a scalare in vari ambiti e quindi l’azienda l’anno scorso ne ha valutato la cessione.
Se ne parla anche nell’ultimo libro di Martin Ford, Rule of the Robots, a luglio in uscita in italiano per il Saggiatore. Non tratteniamo il fiato – scrive Ford – nell’attesa di auto a guida autonome o robot tutto fare. L’AI ha difficoltà a operare in ambiti troppo variabili, imprevedibili e/o dove serva una certa destrezza.
Ma prepariamoci a un mondo dove l’AI può migliorare la sanità (la diagnostica, la farmacologia), le fabbriche, l’agricoltura; aiutarci ad avere più energia da fonti pulite grazie, ad esempio, alla scoperta di nuovi materiali.
La grande promessa, nota Ford, è che l’AI possa risolvere il paradosso della produttività, che in Occidente non è cresciuta negli ultimi trent’anni nonostante l’avvento di internet. Potrebbe sbloccarsi se l’AI riuscirà a essere un’innovazione a tutto tondo (general purpose) come è stata l’elettricità. Universale e trasformativa; più di internet, che finora ha trasformato perlopiù il mondo dell’informazione e della comunicazione, senza generare più valore; quanto piuttosto spostandolo da vecchi a nuovi padroni.
Ecco: che sia questo l’obiettivo. Che l’intelligenza artificiale – se ben diretta dalle società – ci aiuti a costruire un’economia più produttiva, con una migliore distribuzione del valore.
E speriamo che non sia anche questa fantascienza.