AI e computer vision per la sicurezza negli infortuni sul lavoro

Queste tecnologie sono in grado di riconoscere in modo automatico e puntuale comportamenti scorretti da parte dei dipendenti, come ad esempio il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione individuale o spostamenti irregolari in determinate aree o in particolari situazione (come le evacuazioni)

Pubblicato il 08 Lug 2020

Guglielmo Iozzia

Associate Director - ML/AI/Computer Vision presso MSD

Videsorveglianza con Intelligenza Artificiale

In un precedente articolo si fa una panoramica sui più frequenti casi d’uso di intelligenza artificiale, nello specifico della computer vision, in ambito industriale. Vediamo ora un caso d’uso, nello specifico per la sicurezza dei lavoratori, tramite la presentazione di due applicazioni reali relative al settore manufatturiero, ma che possono essere adottate anche in altri settori.

Prima di entrare nell’argomento specifico, ecco alcuni numeri che possono dare l’idea della situazione per quanto riguarda l’infortunistica sul lavoro in Italia. Secondo i dati ufficiali INAIL, durante il quinquennio 2014-2018 sono stati denunciati complessivamente più di tre milioni e duecentomila infortuni sul lavoro (3.223.191 per l’esattezza). Una grossa percentuale, circa due milioni e mezzo (2.517.458), è relativa solamente al settore Industria e Servizi. Escludendo gli infortuni avvenuti in itinere e quelli avvenuti sul posto di lavoro con coinvolgimento di un mezzo di trasporto, il numero rimane ancora alto: quasi due milioni (1.982.734), quindi circa il 61% del totale.

Lo stesso trend sembra costante anche per il 2019 (501.496 casi totali solo per il settore Industria e Servizi). Numeri indubbiamente impressionanti, che mettono sicuramente i brividi pensando alle centinaia di migliaia di persone decedute o che hanno subito una menomazione permantemente o temporanea e a tutte le conseguenze psicologiche e materiali per i loro familiari.

Lavorando per una grossa azienda manufatturiera che fa della sicurezza sul lavoro un’ossessione e che ha un numero di incidenti bassissimo (o quasi nullo), non posso non chiedermi come mai in Italia non ci sia una accelerata per capire le cause e cercare soluzioni per prevenire il numero di incidenti sui luoghi di lavoro.

Primo caso d’uso: utilizzo di Personal Protective Equipment

Il primo caso d’uso riguarda l’utilizzo di PPE (Personal Protective Equipment), cioè l’insieme di dispositivi ed equipaggiamento progettati per essere indossati o tenuti dai lavoratori allo scopo di garantire la loro incolumità in ambienti ad alto rischio di sicurezza. Elementi PPE comuni tra diverse aree nel settore manufatturiero possono essere caschi, occhiali protettivi, maschere facciali, scarpe anti-infortunio, guanti da lavoro, camici, tute chimicamente trattate per resistere a diverse condizioni ambientali, etc. Nonostante l’ingresso in molte aree di una fabbrica richieda l’uso obbligatorio della dotazione PPE stabilita per legge, non sempre i lavoratori si attengono alle regole. Uno dei casi più frequenti (non solo nel manufatturiero) di violazione delle regole relative al PPE è il mancato o non corretto utilizzo del casco. Conseguentemente il numero di incidenti (spesso mortali) è relativo a questa casistica. Stesso dicasi per altro equipaggiamento come per esempio guanti e occhiali protettivi.

Una soluzione basata su computer vision efficace ed economica in termini di implementazione fisica è costituita dall’utilizzo di un algoritmo allenato a riconoscere non solo i dispositivi PPE specifici per un dato settore, ma anche il modo in cui il lavoratore li indossa al momento di entrare in un’area in cui è obbligatorio indossarli. L’algoritmo viene rilasciato su un dispositivo hardware economico munito di videocamera e montato all’ingresso di un’area accessibile solo a personale dotato dell’equipaggiamento PPE obbligatorio. Esso agisce sullo stream video nel momento in cui una persona richiede accesso all’area in questione, esegue la ricerca visuale dei vari componenti PPE e ne verifica il corretto utilizzo. Nel caso in cui anche uno solo dei requisiti non sia soddisfatto, una notifica visuale della/e violazione/i viene emessa e l’ingresso all’area viene negato. Una volta che il lavoratore si è dotato dell’equipaggiamento mancante o ha corretto il modo in cui deve indossarlo può richiedere una nuova validazione.

Da un punto di vista della privacy, da sottolineare il fatto che questo tipo di sistema non necessita che la videocamera registri alcuna immagine e che gli alert emessi dall’algoritmo (che esegue on the edge) possono essere non inviati a un sistema centralizzato, in quanto devono servire solo a bloccare l’accesso al personale non in regola con la dotazione PPE richiesta e che solo in forma totalmente anonimizzata possono essere raccolti a scopi statistici. Questa soluzione risolve il problema all’ingresso, ma non previene il rischio di violazioni una volta che il lavoratore è entrato. Quindi essa va estesa anche all’interno delle aree a rischio, cercando di trarre vantaggio, ove possibile, dalle telecamere già esistenti per monitoraggio e videosorveglianza. Questo tipo di soluzione è stata messa in atto per prima da un paio di multinazionali nel settore energia, ma casi d’uso in altri settori industriali sono già partiti. Lo stesso potrebbe anche essere utile in altri ambiti come la sanità (e specialmente in questo periodo di emergenza Covid-19 sarebbe potuto essere utile a prevenire il contagio di personale sanitario che non indossava la dotazione PPE richiesta (non sempre per negligenza, spesso per scarsità di equipaggiamento) o i cantieri edili.

Secondo caso d’uso: gestione delle evacuazioni in fabbrica

Il secondo caso d’uso riguarda la gestione delle evacuzioni in una fabbrica. Il dipartimento responsabile per la sicurezza di ogni fabbrica predispone strategie e percorsi da seguire in caso di evacuazione a scopo precauzionale o conseguentemente a una emergenza. Per quanto si possano curare i dettagli e tenere conto dei potenziali imprevisti, e si eseguano periodiche esercitazioni, qualcosa di inaspettato può succedere nel caso di reale emergenza, tipo:

  • impossibilità di sapere con certezza quante persone si trovano effettivamente in una determinata area nel momento in cui il segnale di evacuazione viene lanciato. I piani di evacuazione vengono tarati tenendo in considerazione il numero di persone che lavorano in un determinato ufficio/laboratorio/shop floor, ma il numero di presenti in un determinato momento dipende da tanti fattori. Per esempio, persone al momento impegnate in una riunione in una meeting room in un altro piano/settore dello stesso edificio o altro edificio. Questo implica che in alcuni tratti dei percorsi di evacuazione ci siano più presenze di quanto pianificato, con il pericolo di creare ingorghi e rallentamenti che possono risultare letali per qualcuno.
  • impossibilità di sapere quante persone hanno realmente evacuato un sito e raggiunto le aree di assemblamento designate. In una reale situazione di emergenza, tra panico e istinto di sopravvivenza, l’attività di passare il badge in prossimità dei lettori installati presso le uscite di emergenza non è certo in cima alle priorità delle persone. Quindi dai dati registrati dai lettori risulta sempre un numero non trascurabile di persone che apparentemente sono ancora dentro gli edifici. Questo comporta un intervento di ricerca da parte dei fire warden e dei pompieri, con conseguente a inutile pericolo per la loro incolumità, quando le persone non risultanti all’appello sono già fuori sane e salve e in un’area diversa da quella loro assegnata secondo il piano stabilito.
  • Legato al problema precedente c’è anche quello del movimento di persone nella direzione opposta. Talvolta capita che per le ragioni più disparate (tipo “Ho dimenticato dentro le chiavi della macchina!”, “Ho dimenticato il cellulare sulla scrivania!”, sentite con le mie orecchie durante evacuazioni) alcuni individui cerchino di rientrare dentro i locali soggetti a evacuazione, senza usare il badge. Nei casi in cui gli stessi lo abbiano usato per registrare l’uscita, non risulteranno presenti dentro la struttura, quindi nessuno si preoccuperà di cercarli finché non sarà magari troppo tardi.
  • Imprevisti negli itinerari di evacuazione: lavori in corso o manutenzione straordinaria, altre attività in corso interrotte dal segnale di evacuazione che possono risultare in ostacoli al passaggio delle persone in alcuni tratti.

Un’applicazione di computer vision per questo tipo di situazioni è stata sperimentata in alcuni siti da una grande azienda farmaceutica. Un algoritmo che combina object detection e object tracking che esegue on the edge in dispositivi economici dotati di videocamera e montati nei tornelli delle uscite di sicurezza. Tradizionali algoritmi di object detection sono molto esosi di risorse computazionali, quindi non ottimi candidati per questo tipo di applicazioni. Ma limitando la parte di detection alla identificazione univoca di un individuo e gestendone il tracciamento tramite tecniche di object tracking risulta sicuramente più efficiente per tale scopo (può essere eseguito in teoria anche su un dispositivo hardware con una singola CPU). Oltre al vantaggio in termini di costi, questa strategia consente anche di minimizzare il numero di informazioni mandate al server centrale e che, in caso di interruzione del network, possono anche essere conservate nella memoria del dispositivo stesso (si tratta di poche decine di kByte in casi di passaggio di circa 50 persone attraverso un singolo tornello).

Il tracciamento effettuato con questa tecnica avviene tramite predizione della posizione di ogni individuo univocamente identificato attraversante in entrambe le direzioni l’area coperta dalla videocamera. L’informazione viene quindi scaricata nel momento in cui l’individuo abbandona l’area. L’algoritmo è allenato inoltre in modo da distinguere due o più persone che passano contemporaneamente in un determinato punto, eseguire il tracking anche in caso di parziale occlusione della figura o cambi di scala in alcuni punti del percorso.

Per quanto riguarda problematiche di privacy legate a questa soluzione. Innanzitutto c’è da dire che l’algoritmo assegna un identificativo univoco alle persone attraversanti l’area del tornello calcolandone il centro di massa. Quindi non ha bisogno di effettuare riconoscimenti facciali o simili, ma è allenato a riconoscere persone in movimento senza dover ricorrere a dettagli sensibili. Questo vuol dire che si possono prendere diversi accorgimenti per preservare la privacy, quali ad esempio porre la videocamera nella parte alta del tornello e rivolta verso il basso, in modo da inquadrare le persone dall’alto e non frontalmente o lateralmente, oppure utilizzare filtri per mascherare la scena e applicare tecniche di background subtraction per catturare il movimento delle persone. Come anticipato prima, le informazioni che vengono aggregate nel dispositivo e mandate al sistema centralizzato sono quindi anonime, in quanto contengono dati relativi ai passaggi in entrambe le direzioni e non dati per cui è possibile risalire alle persone coinvolte. Stessa cosa per gli stessi dispositivi che vengono installati in alcuni punti dei percorsi stabiliti per le evacuazioni, le cui informazioni anonime vengono aggregate centralmente per ricostruire sotto forma di heat maps la storia di un’evacuazione in modo da capire dove ci siano stati colli di bottiglia e ricavare suggerimenti per ottimizzare i percorsi. L’obbiettivo primario è quindi la sicurezza delle persone e non altro.

Computer vision nella manutenzione predittiva

Oltre a questi due casi d’uso direttamente correlati alla sicurezza dei lavoratori, ovviamente ogni iniziativa di predictive maintenance, incluse quelle basate su computer vision, indirettamente contribuisce allo stesso obbiettivo, in quanto la sostituzione tempestiva di pezzi di un macchinario difettosi o prima che il loro ciclo di vita utile finisca evita il verificarsi di incidenti che potrebbero ferire o uccidere membri del personale che lavorano nelle vicinanze.

Il processo di trasformazione digitale nel settore manufatturiero non può non includere casi come quelli precedentemente descritti. L’applicazione di AI per la sicurezza ovviamente non deve prescindere da altre tradizionali best practices, come la formazione del personale (qualsiasi ruolo e qualsiasi tipologia di impiego (lavoratori dipendenti, consulenti, manutentori esterni, fornitori, stagisti, etc.), la definizione di regole non ambigue per rendere sicuri tutti le attività produttive, regolari ispezioni dei luoghi di lavoro: l’AI deve essere a supporto di tutto questo nell’interesse della sicurezza e incolumità dei lavoratori.

Conclusioni

Una delle più grandi barriere in questa direzione è sicuramente culturale. Questo tipo di soluzioni contribuisce oggettivamente a ridurre il numero di specifiche tipologie di incidenti sul posto di lavoro. I costi di implementazione oggigiorno non sono più proibitivi anche per aziende di medie dimensioni e nel breve/medio termine diventeranno sempre più accessibili anche ad aziende di dimensioni più piccole. È necessario perciò che le aziende adottino un criterio che privilegi sopra ogni cosa la sicurezza delle persone, perché i numeri degli incidenti sul lavoro possano calare.

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