Analisi

Robotica: portare le capacità cognitive nelle tecnologie del quotidiano

Parla il “padre” di RoBee, il robot umanoide italiano realizzato da Oversonic. Trovato il punto di equilibrio tra le esperienze disponibili e una piattaforma cognitiva proprietaria

Pubblicato il 19 Apr 2023

Fabio Puglia

Founder & presidente Oversonic Robotics

Fabio Puglia con RoBee

Che cosa è un robot se resta solo un esperimento di laboratorio? Ce lo siamo chiesti, in maniera un po’ retorica e provocatoria, fin dall’inizio dell’avventura imprenditoriale di Oversonic, quando ci siamo posti la sfida di portare il “cognitivismo” nelle tecnologie che operano nel quotidiano, con l’obiettivo di impattarlo concretamente. Nel mondo della robotica, che da sempre accarezza il sogno di creare macchine in grado di emulare le caratteristiche dell’uomo, questo salto di concretezza non si era ancora avverato compiutamente, pur potendo basarsi su numerose esperienze di sistemi che, negli ultimi anni, sono stati sviluppati soprattutto per applicazioni di carattere industriale. La sfida, imprenditoriale e tecnologica è partita proprio da un’attività di investigazione delle esperienze disponibili ed è proceduta con una complessa operazione volta a trovare un punto di equilibrio tra queste e una piattaforma cognitiva proprietaria. Ne è nato RoBee, robot umanoide cognitivo, una macchina che integra un mix di tecnologie e capacità cognitive ed è in grado di metterlo in campo, tradurlo in azioni pratiche e concrete con cui può eseguire attività in fabbrica (attualmente il campo di applicazione prevalente), liberando l’operatore umano da mansioni, pericolose per la salute fisica e psicologica, che le persone non meritano più di svolgere.

Un processo che è appena partito, ma che di fatto ha portato nel vivo della quotidianità una tipologia di “esperimenti”, tradizionalmente confinati ai laboratori di ricerca. E dal mondo produttivo, la prospettiva di Oversonic è di ampliarne l’applicazione ai servizi sociali e, più in generale, alle relazioni sociali.

RoBee

RoBee, il perché di un robot umanoide

Ma perché un robot umanoide? RoBee è alto fino a 185 cm, di peso fino a 120 kg (a seconda della configurazione di utilizzo); è attrezzato con oltre 30 giunti, che gli consentono la mobilità degli arti, e di dispositivi di presa intercambiabili (end effectors), per eseguire in maniera efficace diversi task, funzionali ad attività relazionali (semplici gesti come indicare o contare) o alla manipolazione di oggetti. Naviga lo spazio su ruote, invece che sulle gambe (meno efficienti a livello di consumi energetici – d’altra parte, l’uomo dal 3500 a.C. si affida alla ruota per rendere più efficiente la sua mobilità); ma fatta questa eccezione, RoBee è una macchina che in tutto e per tutto replica la struttura del corpo umano.

E il motivo è innanzitutto pratico: è un robot pensato per operare all’interno di ambienti creati a misura d’uomo, in funzione delle sue forme e azioni. Tavoli e sedie sono disegnati per ospitare la seduta delle persone, molti oggetti che usiamo nel quotidiano agevolano con il design le nostre capacità di manipolazione, le linee di produzione di una fabbrica sono spesso costruite a misura e ad altezza d’uomo.

RoBee, per dispiegare le capacità cognitive che gli consentono di operare in effettiva autonomia, deve essere in condizione di integrarsi anche morfologicamente nell’ambiente in cui è impiegato, senza doverne stravolgere le architetture. Ma oltre a questo, c’è una motivazione più profonda. La forma umanoide è una chiave di lettura, un passe-partout che apre un canale di comunicazione tra il mondo delle macchine e il mondo degli uomini.

C’è una fondamentale differenza tra l’interazione con una macchina umanoide e, ad esempio, quella a schermo con una chatbot: l’umanoide lo riconosci come qualcosa con il quale inevitabilmente devi avere una relazione, anche sociale, e soprattutto come un interlocutore che è in grado di agire nel tuo stesso mondo, muovendo bicchieri, oggetti di laboratorio nello spazio (oramai quasi antico) del mondo reale e non solo virtuale. La nostra visione guarda proprio a questo, a una nuova società in cui macchine e persone possano convivere e collaborare in sicurezza.

Robee

Uomo e tecnologia, due binari paralleli

Nella società attuale, conviviamo con le tecnologie, ma in maniera non realmente collaborativa. Nel mondo produttivo, in particolare, con la transizione 4.0 abbiamo conseguito un alto livello di digitalizzazione delle fabbriche, che ci consente la raccolta di una mole significativa di dati, con cui possiamo efficientare i processi, renderli progressivamente più automatizzati e migliorare la produttività. Questo progresso, tuttavia, spesso non ha tenuto conto del ruolo dell’operatore umano, che anzi nei peggiori casi è relegato a meccanismo di un sistema in cui è l’intelligenza artificiale a dettare i tempi, un po’ come succedeva all’operaio Charlot in Tempi Moderni.

Uomo e tecnologia si sono evoluti su due binari che corrono paralleli, non si incontrano, non dialogano e spesso (anche negli ambienti di fabbrica tecnologicamente più evoluti) conducono la persona “inseguire” la macchina, ad assecondarne le esigenze, svolgendo lavori a basso valore aggiunto, se non addirittura pericolosi per la salute.

L’evoluzione di Industria 5.0

L’evoluzione che prefigura l’industria 5.0, nuovo paradigma dichiaratamente human centered, ha invece nel “cognitivismo” l’elemento essenziale, intesa come capacità della macchina di acquisire dei dati dall’esterno e di analizzarli in senso “critico”. Un’innovazione che emancipa la condizione di asservimento dell’uomo alla macchina e consente l’instaurazione tra i due di un rapporto alla pari, pienamente collaborativo, in quanto permette all’intelligenza umana di riconoscere in quella artificiale non una struttura analitica da assecondare, ma un interlocutore autonomo con cui confrontarsi e a cui delegare delle mansioni.

È il ribaltamento di un paradigma che da sempre caratterizza i sistemi produttivi e su cui oggi possiamo concretamente intervenire, integrando l’innovazione tecnologica con le nuove sensibilità e il nuovo dettato culturale in materia di sostenibilità. È un percorso appena avviato, che porta a un’umanità più tecnologica e a macchine più umanizzate: un sogno che la ricerca insegue da sempre e che oggi, finalmente, siamo pronti a portare fuori dai laboratori, per farne un’innovazione a servizio del benessere comune.

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