Nalon, IBM: “Con l’AI scopriamo le competenze, nuova currency per il business”

A colloquio con Laura Nalon, IBM Talent and Engagement Manager: perché e in quale modo l’Intelligenza Artificiale è di supporto alle funzioni HR. Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nella ricerca delle competenze

Pubblicato il 24 Gen 2019

NLP

Per IBM la nuova Business Unit Talent & Transformation, costituita pochi mesi fa, ha l’obiettivo di aiutare le imprese a utilizzare nuovi strumenti, in primis deep learning, machine learning e l’intelligenza aumentata di Watson, per far emergere i talenti dei propri dipendenti e collaboratori, trasformare i flussi di lavoro, compiere una transizione verso un concetto di modern workforce (della nascita della nuova unit abbiamo scritto diffusamente in questo articolo)

Le competenze sono moneta di scambio tra le aziende

IBM - Laura Nalon
Laura Nalon, IBM

Ma da dove nasce l’esigenza di dedicare una vera e propria practice a questo tema?
Lo abbiamo chiesto a Laura Nalon, IBM Talent & Engagement Manager, Global Business Services Italy: “La creazione di una practice dedicata alle risorse umane – spiega – è di fatto una nuova proposizione di valore a valle di alcune considerazioni di mercato importanti. In primo luogo, le competenze sono diventate una vera e propria moneta di scambio tra le aziende, tanto da poterle definire currency for business”.
Il contesto è importante, spiega Nalon: “Tanto più ci si muove verso una digital e cognitive enterprise, tanto più le competenze e la cultura di dipendenti e collaboratori sono elementi centrali nella strategia di trasformazione”.

Il ruolo dell’AI nell’acquisizione dei talenti secondo IBM

In questo percorso, come accennato, un ruolo chiave lo gioca l’Artificial Intelligence, che nella visione di IBM è parte integrante ed integrata nella maggior parte dei processi a partire proprio dall’area Human Resources.
“Parliamo di reinventare la forza lavoro con metodologie e skill nuovi, abilitati dall’utilizzo delle tecnologie cognitive, come Machine Learning e Artificial Intelligence”, prosegue Nalon, sottolineando come si tratti di una logica pervasiva che abbraccia tutte le fasi, a partire dal recruiting.
“Parliamo di recruiting ma anche dell’impatto di queste tecnologie sul tempo necessario per le attività di reclutamento. Parliamo di talent management, di coaching, di acquisizione dei talenti dal mercato o della loro scoperta all’interno dell’organizzazione”.

Serve una cultura del feedback

Con in più un elemento strategico sul quale non sempre ci si sofferma adeguatamente: la cultura del feedback.
Per questo motivo, la practice include un tone analyzer per individuare e gestire le richieste e le aspettative dei dipendenti, a partire da tutti gli insight che il dipartimento ha a propria disposizione, incluse le analisi sui canali social.
“L’obiettivo è misurare e ridurre il rischi normalmente associati alle strategie di gestione delle risorse e dei talenti, minimizzando il più possibile aspetti critici, quali ad esempio i bias, ovvero i pregiudizi sia nel reclutamento, sia nella retention”.

Sul perché IBM ha ritenuto importante attivare questa practice, Laura Nalon non ha dubbi: “Perché IBM lo ha fatto per prima cosa su se stessa e ne ha misurato i benefici. Lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, per questo siamo noi stessi campioni rappresentativi, con risultati misurabili, sia in termini economici, sia in termini di miglioramento dei processi di reclutamento, sia ancora nei livelli di soddisfazione di dipendenti e collaboratori”.

Dati storici, algoritmi, data visualization

Come abbiamo già avuto modo di scrivere, la practice include una serie di soluzioni che accompagnano tutto il ciclo di vita della selezione e retention delle figure professionali, utilizzando analisi dei dati storici e cronologici, sorgenti dati esterne ed interne all’azienda, algoritmi e tecnologie di data visualization, sia per determinare quali siano le competenze effettivamente necessarie, sia per identificare i candidati più idonei senza condizionamenti.
Gli stessi strumenti aiutano a identificare competenze, capacità e interessi dei dipendenti e dei collaboratori, tracciando percorsi di crescita e cambiamento personalizzati e dunque fungendo da virtual coach interni, ma aiutano anche a identificare eventuali forme di discriminazione o di condizionamenti, anche non consapevoli, che impediscono di perseguire uno sviluppo armonioso della vita professionale dei dipendenti.

C’è spazio anche in Italia

Inevitabile una domanda a Laura Nalon: siamo sicuri che questa vision trovi spazio anche in un mercato come quello italiano?

“In Italia lo scenario è piuttosto variegato – ammette – ma gli spazi ci sono”, tanto che sta prendendo piede anche l’iniziativa IBM Garage, di cui abbiamo scritto più diffusamente nel citato articolo, pensata per aiutare le imprese a trasformare i loro processi di lavoro, facendo collaborare gli esperti di IBM con i dipendenti delle aziende, in una logica priva di silos e barriere per promuovere i cambiamenti organizzativi.
“Non è facile, ma siamo convinti che rimanere fermi sia peggio. È un passaggio che va fatto, anzi, che bisogna scegliere di fare”, conclude Laura Nalon.

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