L’intelligenza artificiale può essere veramente una tecnologia utile alla vita delle imprese del nostro Paese, a patto che si riesca a scaricare a terra il grande lavoro teorico e sperimentale dei nostri ricercatori. È questa la principale indicazione che arriva dal primo AI Forum organizzato da AIxIA, associazione italiana per l’intelligenza artificiale, che ha provato a fare il punto sulle prospettive di questa tecnologia in ambito business. Non c’è dubbio, infatti, che l’AI sia una delle tecnologie più dibattute del momento, tanto che può essere utile – così da evitare fraintendimenti – spiegare ancora una volta a che cosa si faccia riferimento: secondo la definizione di AIxIA si tratta di una disciplina appartenente all’informatica che studia i funzionamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza comune dell’intelligenza umana. In realtà quello attuale non è certo il primo periodo in cui si è avuto un grande interesse per l’Artificial intelligence, che ha una storia decennale alle spalle che, come ha messo in evidenza Piero Poccianti, presidente AIxIA, è fatta anche di facili entusiasmi e delusioni.
L’attesa per la terza ondata della AI
Quello che è cambiato negli ultimi anni è la disponibilità di una grande quantità di dati – inimmaginabile sino a pochi anni fa – che può essere utilizzata per mettere a punto le soluzioni di machine learning e AI. In questo modo l’intelligenza artificiale è riuscita a fare grandi passi in avanti soprattutto dal punto di vista della percezione, ossia con strumenti che – ad esempio – sono in grado di riconoscere il linguaggio parlato, effettuare una diagnosi e individuare un determinato pattern. Tanto che, ormai, è possibile affermare che in alcuni settori specifici le capacità delle macchine potenziate dalla AI superano quelle degli esseri umani. Ma le aspettative per il futuro sono ancora superiori: in particolare, si attende l’arrivo della terza ondata di AI, che oltre alla percezione raggruppi altre capacità tipiche dell’intelligenza umana, per ora soltanto abbozzate, ovvero quelle di astrarre, imparare e ragionare.
Dietro questo sogno – potenzialmente dirompente per l’intera società – ci sono le iniziative delle grandi potenze mondiali, con USA e Cina davanti a tutti, ma con l’Europa che non sta certo a guardare: da segnalare ad esempio, il programma Digital Europe, con una dotazione di 9 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, che servirà anche a sostenere l’intelligenza artificiale. Il Vecchio Continente si caratterizza poi per una serie di iniziative che provengono dal basso (come il progetto Claire, che coinvolge una rete di 2800 ricercatori) e l’attenzione agli aspetti etici, come testimoniano le linee guida in materia appena rilasciate dalla Ue.
Più integrazione tra industria e ricerca
E L’Italia? Innanzitutto, il nostro Paese può vantare una comunità di ricercatori molto attiva sul tema, tanto da essere il quarto Paese al mondo per ricerca scientifica. Per contro, come ha messo in evidenza l’analisi di Nicola Gatti, Direttore dell’apposito Osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato è ancora ai nastri di partenza, con un giro d’affari stimato in circa 85 milioni di euro annui, perlopiù concentrati in applicazioni riguardano l’intelligent data processing e nei virtual assistant/chatbot. Il tema, dunque, è davvero quello di riuscire a trasferire alle aziende tutta la ricerca di qualità prodotta nei laboratori e negli articoli scientifici. Sino al recente passato, magari, buona parte di questo lavoro era indirizzato alla risoluzione di problematiche più attinenti alla realtà nordamericana che a quella italiana ma, fortunatamente, qualcosa si sta muovendo, con una maggiore collaborazione tra industria e ricerca: “Abbiamo compreso che filiera della Ai non può essere quella classica – ha dichiarato Rita Cucchiara, Direttore del Laboratorio nazionale di Intelligenza artificiale e Sistemi intelligenti (Cini) – . Piuttosto la filiera deve essere circolare, deve includere cioè sia chi fa ricerca, sia chi produce AI e anche le aziende che la adottano. In questo senso bisogna aiutare le aziende IT a lavorare insieme per il vantaggio degli utenti finali. Al CINI già oggi collaboriamo con le aziende ma sempre di più invito le imprese a utilizzarci come hub multidisciplinare, anche per risolvere specifiche problematiche aziendali”.
La cultura del fallimento
D’altra parte, come ha sottolineato Walter Rizzi di McKinsey, i ritardi attuali delle aziende italiane in materia di AI possono essere spiegati con la scarsa cultura del dato che ha sinora caratterizzato il nostro sistema economico. Per abilitare realmente l’artificial intelligence in azienda, sarà quindi importante la componente tecnologica e di gestione del dato, ma anche la costruzione delle giuste competenze (soft skill e fiducia alle giovani generazioni) all’interno dell’azienda e un ridisegno agile dei processi interni. Inoltre, perché veramente l’intelligenza artificiale riesca a trovare spazio nelle nostre imprese è necessario passare per errori e veri e propri fallimenti, dal momento che abbiamo a che fare con una tecnologia estremamente innovativa. Dunque anche un problema squisitamente culturale come l’accettazione della cultura del fallimento, per ora argomento ancora tabù in Italia, risulterà fondamentale per lo sviluppo della AI.