Epidemic intelligence, l’AI per prevenire le epidemie

Big data ma anche fasi di intelligence predittiva che prevedano piattaforme di intelligenza artificiale e altre tecnologie e nello stesso tempo anche di spessore Humint per rilevare l’attendibilità della risultante del dato inserito nei sistemi

Pubblicato il 31 Lug 2020

Marco Santarelli

Esperto in Network Analysis, Critical Infrastructures, Big Data and Future Energies

Osservatorio Artificial Intelligence

Parliamo di epidemic intelligence e torniamo a riflettere sul peso dell’informazione riguardante il Covid-19, partendo da un articolo del New York Times. Nello specifico non ci soffermiamo sulla veridicità o meno del fatto che gli allarmi per la pandemia siano stati  effettivamente diramati alle agenzie di intelligence con largo anticipo, soprattutto, come già a marzo ha riportato il The Washington Post in Usa, ma su come in futuro potrebbero giocare un ruolo cruciale le agenzie di intelligence per cercare di prevenire un evento così catastrofico. Almeno in piccola percentuale.

Sappiamo tutti che il compito dell’intelligence è quello di sapere prima. “L’intelligence è lo strumento di cui lo Stato si serve per raccogliere, custodire e diffondere ai soggetti interessati, siano essi pubblici o privati, le informazioni rilevanti per la tutela della sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e delle imprese” Già lo stesso termine di origine latina rimanda a un saper leggere tra le righe, inter-legere, capire quindi cosa accade per cercare di prevenire o contenere i problemi futuri. Questo compito dovrebbe rafforzare i servizi di tutto il mondo che peraltro da qualche anno diffondono e preparano i propri agenti diretti e indiretti alla possibilità di attacchi chimici o di pericoli del futuro derivanti da diffusione di virus.

In un recente articolo pubblicato su Analisi Difesa si mette un punto sulla questione: i germi dei virus “non rispettano le frontiere” e come tale da una parte sono molto veloci e dall’altra vanno prese delle decisioni precise sugli strumenti da utilizzare. I primi strumenti sono indiscutibilmente un potenziamento della epidemic intelligence, ovvero sia una migliore attenzione preventivamente alla minaccia sia una migliore risposta alla minaccia di tipo pandemico per il Covid-19.

Come abbiamo visto, nel mondo non tutto ha funzionato. Pertanto tutti i servizi hanno un’opportunità senza precedenti e la cosa concretizzerebbe una maggiore difesa sia del territorio che del tessuto delle relazioni internazionali. La capacità di attivare indicatori migliori per la epidemic intelligence potrebbe diventare un fiore all’occhiello dei servizi di tutto il mondo e comunque rappresenterebbe la sfida del futuro nel campo della minaccia ibrida. Quest’ultima in estrema sintesi è l’incapacità di avere sotto controllo il pericolo. Questa minaccia diventa invisibile e nello stesso tempo diventa incontrollabile e direttamente proporzionale all’età dell’informazione. I lati, i perimetri e le angolature degli attacchi possono cambiare e diventare molteplici tanti quanti sono i dati a disposizione.

Dal virus ad attacchi cyber ad attacchi chimici, “una nuova epoca socio-tecnologica che emerge mano a mano che le tecnologie si fondono tra di loro e gli esseri umani con queste, due processi che avvengono in simultanea. Il potere in crescita esponenziale della tecnologia dell’informazione (IT) spinge a ritmo accelerato altri campi della scienza, consentendo loro di oltrepassare i rispettivi limiti in termini di portata e di velocità.” [Ayesha Khanna e Parag Khanna. L’età ibrida, “Il potere della tecnologia nella competizione globale”, 2013 Codice edizioni, Torino]. Cosa fare e come si dovrebbero organizzare i servizi di tutto il mondo per prevenire questo nuovo “nemico”? Prima di tutto bisognerà partire raccogliendo dati su una base di casi accertati (fase sindromica), poi raccolta dati sui casi di spostamenti delle persone e abitudini. In un circuito di relazioni si costruisce un database in cui si raccolgono dati di spostamenti e acquisto farmaci.

Questi dati dovrebbero poi venir incrociati con la presenza o meno sul posto di lavoro delle persone. Valutarne il motivo e mappare, nel rispetto della privacy, i movimenti per il bene pubblico. Fare una mappatura generale ovviamente, non singola. Quindi prendere aree geografiche più colpite e comprendere la diffusione e gli spostamenti. Questi ultimi potrebbero venire mappati da incroci di dati sul movimento delle vetture, sui pagamenti dei pedaggi, sul flusso del traffico da telecamere stradali autorizzate e incrocio con dati di acquisto biglietti del trasporto variabile (treni, aerei, navi, etc.). A questi vanno attribuiti indicatori e raccolti dati anche sui possibili pericoli di infiltrazioni mafiose, per evitare che a un problema medico si aggiungano problemi di tipo sociale, mappatura ecologica e ambientale per verificare la qualità dell’aria e la meteorologia.

Importante, dopo il problema fake news avuto in piena pandemia, effettuare il monitoraggio dei social media, web e possibilmente fare attività Osint su dark web e deep web.

Subito dopo si passa alle due fasi di intelligence predittiva che dovrebbero prevedere piattaforme in AI e tecnologiche e nello stesso tempo anche di spessore Humint per rilevare l’attendibilità della risultante del dato inserito nei sistemi. Questo prevede delle procedure di impatto. Ovvero, analizzare in base agli eventi accaduti come e dove intervenire circoscrivendo le aree. Procedure di moderazione e mitigazione del rischio in cui si valuta la rilevanza del dato per la salute pubblica e chiudere il processo con l’analisi del rischio collegato. Ovvero come, per la teoria dei sistemi complessi, da un piccolo punto si possa passare a un grande evento e addirittura da un grande evento a un evento doloroso.

L’epidemic intelligence va di pari passo a questa teoria che riguarda tutte le scienze sociali. “Se volessimo studiare un monumento come il Colosseo, potremmo cominciare prendendo uno dei mattoni con i quali è costruito: possiamo analizzarne la durezza, valutarne la capacità di sopportare peso, la ruvidità della superficie, o il modo in cui si frantuma se colpito da un piccone. Tutte queste caratteristiche sono sicuramente importanti, ma per comprendere la longeva architettura del monumento dobbiamo considerare come i mattoni sono disposti. Ci accorgeremo allora che la struttura fondamentale che sostiene il Colosseo è l’arco, quella speciale invenzione architettonica che permette a numerosi mattoni di sostenersi a vicenda, formando una “volta”, da un pilastro all’altro, capace allo stesso tempo di sostenere il peso della costruzione sovrastante e di alleggerire la struttura complessiva del monumento. Questa osservazione può essere un’utile metafora per comprendere l’importanza dello studio dei sistemi complessi […]”.

Tutto questo dovrà prevedere un’unità di crisi che dovrà avere la capacità di lanciare l’alert, isolare i confini e dare un’unica informazione agli organi di controllo e media, secondo una scala di valori in cui come obiettivo si pone la salute pubblica e la capacità di reazione degli attori coinvolti.

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