Come l’AI può contribuire al benessere dell’uomo e del pianeta

Uno dei temi sui quali si è a lungo discusso nel corso dell’AI Forum Live organizzato da AIxIA, tenutosi in forma virtuale lo scorso 3 novembre. È necessario sgombrare il campo dagli usi distopici

Pubblicato il 17 Nov 2020

Piero Poccianti

Ex presidente Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA)

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Creare una catena di trasmissione fra il mondo della ricerca e quello delle aziende. Individuare quale contributo l’intelligenza artificiale può fornire per il miglioramento del benessere degli esseri umani, ma anche del pianeta. Su questi importanti temi il mondo accademico e quello imprenditoriale si sono confrontati nel corso dell’AI Forum Live, tenutosi lo scorso 3 novembre in forma esclusivamente digitale.

L’evento, promosso dall’Associazione Italiana per l’intelligenza Artificiale (AIxIA) è stato organizzato in collaborazione con Digital Events e con il contributo di Doppia Elica. Due conferenze plenarie, sei innovation round table e otto workshop, con la partecipazione di oltre 50 relatori e più di 1.000 visitatori unici, che hanno trascorso una media di oltre 184 minuti sulla piattaforma Liveforum.space totalizzando 3.125 accessi.

Creare una catena di trasmissione fra il mondo della ricerca e quello delle aziende

Il primo messaggio emerso nei vari interventi riguarda proprio la necessità di creare una catena di trasmissione fra il mondo della ricerca e quello delle aziende.

Un aneddoto può servire a capire meglio il concetto. Nel novembre 1944, il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt invia una lettera al proprio consigliere scientifico Vannevar Bush. La lettera sollecita uno studio che suggerisca in che modo sia possibile rendere pubblici i risultati che la scienza ha prodotto nel periodo bellico.

Che cosa può fare il Governo da qui in avanti per favorire la ricerca scientifica tramite organizzazioni pubbliche e private? Occorre considerare attentamente il ruolo della ricerca pubblica e privata, analizzando il rapporto fra le due realtà. È possibile proporre un programma efficace volto a individuare e sviluppare il talento scientifico nei giovani americani, per garantire la continuità della ricerca scientifica in questo Paese a livelli comparabili con quelli raggiunti nel periodo bellico?” […..]

“Nuove frontiere della mente si aprono davanti a noi, e se le supereremo con lo stesso slancio, la stessa visione e la stessa audacia che ci hanno accompagnato in questa guerra, potremo ottenere migliori e più feconde condizioni lavorative, e migliori e più feconde condizioni di vita”.

Nel luglio del 1945 Vannevar Bush consegna al Presidente un rapporto di 70 pagine redatto da una commissione di esperti e contenente le raccomandazioni economiche, politiche e scientifiche in risposta alle domande che Roosevelt aveva posto.

Il rapporto si intitola “Scienza: la frontiera senza confini” e in estrema sintesi recita:

Caro Presidente.

è iniziata la sfida per il futuro. Dobbiamo decidere il ruolo che avrà il nostro Paese nel nuovo ordine mondiale. Se vogliamo che sia di primo piano, come ci compete, dobbiamo puntare sulla scienza, che è la leva per lo sviluppo economico, oltre che per la sicurezza sanitaria e militare delle nazioni.

Noi non abbiamo un programma nazionale di sviluppo scientifico. Nel nostro Paese la scienza è rimasta dietro le quinte, mentre andrebbe portata al centro dell’attenzione, perché ad essa si legano le speranze per il futuro. Non possiamo attenderci che questa lacuna venga colmata dall’industria privata. L’industria si occupa di altro. L’impulso alla ricerca può venire solo dal Governo. È il Governo che deve investire molto di più e molto meglio se vogliamo vincere la sfida del futuro.

Lo studio suggerisce anche la modalità con cui la ricerca deve essere effettuata. Quando ci si riferisce alla ricerca bisogna distinguere tra la ricerca a lungo, medio e breve termine.

La ricerca di base deve essere libera, non finalizzata e non condizionata, serve a comprendere il mondo, deve essere supportata dalle università e da altre istituzioni governative. Le aziende riscontrano difficoltà nell’effettuarla, proprio perché non persegue uno scopo e spesso i risultati emergono da direzioni inaspettate.

La ricerca a medio termine può essere condotta da aziende innovative insieme agli enti accademici. In questo caso viene però richiesto l’allineamento dei linguaggi provenienti da entità diverse – un obiettivo non facile da raggiungere.

Infine, la ricerca a breve può essere condotta dalle aziende.

È però necessario imparare una metodologia nuova per condurre tutte e tre le tipologie di ricerca appena elencate. La prima cosa da capire è che affrontando orizzonti sconosciuti non sarà possibile pianificare il progetto, prevedere i risultati, anticipare i costi, gli investimenti e le altre risorse necessarie. Tutte informazioni che di solito vengono invece domandate dal consiglio di amministrazione di una azienda che intende capire a priori l’impegno richiesto dal progetto.

L’unico modo per affrontare un programma di ricerca è quello di utilizzare metodologie di tipo “agile”, ovvero un approccio al lavoro che richiede una modalità incrementale, un passo alla volta, che consenta non solo di fermarsi in tempo prima di intraprendere strade non fruttuose ma anche di individuare sentieri promettenti.

La prima fase, quella di studio del primo stadio del progetto, dovrebbe essere sempre affrontata pensando ai risultati in termine di formazione dei dipendenti di un’azienda. Un beneficio quest’ultimo che risulta valido anche nel caso in cui il progetto non si può sostenere.

Nel campo dell’intelligenza artificiale non esistono prodotti a scaffale, parliamo sempre di pianificazione del lavoro personalizzandolo o adattandolo alla singola realtà – proprio per l’intelligenza artificiale, le metodologie di ricerca (anche nel caso di breve termine) sono indispensabili.

Si tratta di diffondere una cultura comune all’interno di due attori che hanno obiettivi e linguaggi diversi. Non è semplice, ma è fondamentale se si vuole far progredire questo Paese.

La difficoltà è anche dovuta dal fatto che il contesto socio-economico italiano è costituito da molte piccole e medie aziende, oltre alle microimprese. Individuare una strategia per favorire l’innovazione rivolta a microimprese e artigiani richiede molta creatività e capacità per far evolvere e rilanciare il modello dei distretti industriali che in passato aveva apportato significativi risultati all’Italia.

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Il contributo che l’intelligenza artificiale può fornire per il miglioramento del benessere degli esseri umani e del pianeta

I documenti europei e quelli degli Stati membri, a cui manca ancora l’Italia, sono tutti allineati nel definire una strategia che eviti gli eventuali usi distopici dell’intelligenza artificiale e ne incrementi quelli benefici.

Secondo quanto emerso dal convegno, per raggiungere tale risultato è fondamentale comprendere il modello socio-economico e ambientale. In particolare, è necessario trovare degli indicatori in grado di misurare effettivamente la direzione in cui il Pianeta si sta dirigendo. Il PIL è l’unico indicatore della ricchezza di una nazione universalmente accettato, tuttavia non è mai stato idoneo nella valutazione del benessere. Spesso si indica in Simon Kuznets l’autore del concetto di prodotto interno lordo: nel 1932, l’economista prova infatti a stimare il reddito nazionale degli Stati Uniti per comprendere a fondo gli effetti della Grande Depressione del ‘29. Lo stesso Kuznets poneva l’attenzione sul pericolo di scambiare tale misura per un indicatore di benessere.

In Italia, da vari anni, stanno proponendo un insieme di misure alternative denominato BES (benessere equo e sostenibile), come citato nell’intervento di Filomena Maggino presidente della Cabina di Regia “Benessere Italia” che ha tenuto proprio all’AI Forum. L’AI può contribuire non solo al miglioramento delle misure del BES, rendendole più precise, ma anche alla costruzione sistemi di supporto decisionali che suggeriscano interventi atti a favorire un’effettiva crescita del benessere.

Oggi la situazione è problematica. L’economia tradizionale, nonostante il parere di eminenti esperti, continua a dichiarare che le risorse scarse sono costituite dal capitale e dal lavoro, mentre quelle ambientali sono infinite e inalterabili. È ormai evidente che non sia così. Il 30 Dicembre 2019 il Financial Times ha dato vita a un dibattito dal titolo “Time to reset capitalism” secondo il quale gli unici beneficiari delle attività economiche non devono essere gli azionisti, ma tutti gli stakeholders rappresentati da cittadini, lavoratori e ambiente, senza trascurare i possessori del capitale azionario.

L’intelligenza artificiale può guidare le prossime trasformazioni della Terra

La Terra altro non è che una grande astronave e la sopravvivenza delle specie viventi dipende dal suo sistema. La navicella ha bisogno di un cruscotto che consenta di determinare la direzione (il benessere generato) e i costi (i danni arrecati all’ecosistema).

L’intelligenza artificiale può costituire, in quest’ottica, uno strumento prezioso in grado sia di supportare la costruzione del cruscotto, sia di definire le azioni che facilitino il raggiungimento degli obiettivi preposti. Ad esempio, McKinsey cita uno studio di Novembre 2018 che descrive 135 applicazioni di AI utili a conseguire i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU.

Roberto Viola, Direttore generale della Commissione Europea, cita il progetto “Destination Earth” che, attraverso i dati collezionati dai satelliti dell’ESA e da altri strumenti, analizzati da strumenti di intelligenza artificiale, ci consentirà di creare un gemello digitale del pianeta Terra. L’obiettivo di tale modello è proprio quello di arrivare a capire l’impatto dell’uomo sul pianeta in un’epoca che, con tutta probabilità, bisognerebbe chiamare Antroprocene – ovvero l’epoca dove le trasformazioni geologiche sono casate dall’umanità. È un progetto che viene descritto con maggior dettaglio dall’intervento di Giuseppe Borghi, Head of the Φ-lab Division at European Space Agency – ESA Earth Observation Programmes Directorate.

Ai benessere

Superare gli effetti distopici dell’intelligenza artificiale

La situazione non è brillante: molti scienziati stimano che da qui al 2050 si potrebbe perdere il 75% delle specie viventi sul pianeta in una catastrofe in atto chiamata la sesta estinzione. Solo per citare alcuni effetti: il riscaldamento globale sta causando conseguenze distopiche sul clima creando al contempo fenomeni estremi, quali l’innalzamento del livello dei mari e la trasformazione di intere parti dell’ecosistema, rendendole inadatte alla sopravvivenza di molte specie; l’inquinamento da plastica non biodegradabile, sensibile diminuzione degli impollinatori, l’inquinamento da insetticidi e pesticidi e molto altro ancora.

In questa situazione l’uomo vuole crescere, ma è necessario distinguere fra la crescita dei consumi e quella del benessere – non così legate come erroneamente il pensiero liberista continua a sostenere, ma al contrario la produzione di maggior benessere – in un mondo finito – passa necessariamente per l’aumento dell’efficienza, la diminuzione degli sprechi e la trasformazione del modello economico, da aperto ad uno basato sull’economia circolare.

Non deve essere per nulla semplice sfamare e produrre benessere per 7,5 miliardi di persone (e in prospettiva 9,5 miliardi), prestando attenzione a non distruggere o danneggiare tutte le altre specie viventi che condividono con l’essere umano il pianeta.

Sono stati recentemente pubblicati studi che mostrano un forte legame fra la pandemia in atto e deforestazione, allevamenti intensivi, perdita di biodiversità – tutte attività prodotte dagli esseri umani.

In sostanza, quella che sta emergendo, è una visione che cerca di superare la paura per gli effetti distopici che potrebbero essere generati dall’intelligenza artificiale, per dichiarare che vi è il bisogno di usare tutte le risorse a disposizione al fine di trasformare il modello socio-economico affinché si raggiungano risultati positivi per l’uomo e l’intero pianeta.

Per giungere a tale obiettivo deve essere impiegata l’intelligenza. Non basta più quella umana servono anche strumenti di AI – diventati ormai talmente tanto avanzati da sorprendere gli stessi ricercatori. Viene richiesta una visione intersettoriale che sia in grado di unire le varie discipline che compongono l’AI, insieme ad altre materie provenienti sia dal mondo digitale (Blockchain, IoT, big data, ecc.) che da altri ambiti (sociologia, economia, ingegneria ambientale, fisica, chimica, medicina, psicologia, scienze umanistiche, musica, arte in generale).

L’AI può fornirci strumenti di supporto decisionale in grado di analizzare il modello, i dati e di prevedere l’impatto di una strategia

Questo è un messaggio innovativo che è emerso durante il convegno e che era già stato incluso nel documento di strategia pubblicato a luglio 2020, redatto dal gruppo di esperti nominato dal MISE, e che viene contenuto anche nella strategia della Commissione Europea (come risulta dall’intervento del Direttore Generale e da quello di Massimo Gaudina, Capo Rappresentanza/Portavoce Commissione UE a Milano).

Non deve preoccupare l’intelligenza artificiale ma, piuttosto, la carenza dell’intelligenza umana e la formulazione di obiettivi sbagliati che potrebbero portare a effetti distopici che l’AI tenderebbe ad amplificare. Solo se si comprenderà ed analizzerà il contesto in cui l’essere umano vive e si sarà capaci di indirizzare le risorse verso obiettivi corretti, si potrà superare l’attuale crisi, ma anche quelle future.

AI benessere
Piero Poccianti, presidente AIxIA

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