Intelligenza artificiale: servono metodologie per lo sviluppo dei progetti

Niente “make or buy” per le aziende che intendono sviluppare progetti nel campo dell’intelligenza artificiale. Ad oggi la scelta obbligata è “make”, se però si identificano approcci e metodologie comuni il rischio della sperimentazione è minore e, molto probabilmente, i successi maggiori

Pubblicato il 09 Apr 2019

Intelligenza artificiale metodologie

In Italia ad occuparsi di intelligenza artificiale, da diverse prospettive, ci sono moltissime entità ed istituzioni, dal Laboratorio Nazionale del CINI all’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) fino ad arrivare al gruppo di esperti del MISE, solo per citarne alcuni.

Tra questi soggetti c’è anche l’Osservatorio Artificial Intelligence (AI) della School of Management del Politecnico di Milano che intende distinguersi rispetto al ruolo e al lavoro degli altri enti non tanto sui temi della ricerca quanto piuttosto sul supporto da portare alle aziende nell’identificare metodologie ed approcci strutturati per lo sviluppo di progetti in campo AI.

Ne abbiamo voluto parlare con Nicola Gatti, Direttore dell’Osservatorio e Professore Associato presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano che esordisce con alcune importanti considerazioni: «oggi lo sviluppo di una applicazione di AI è poco “off-the-shelf” (disponibile a scaffale), questo significa che non c’è nulla di pronto da utilizzare e che un’azienda deve necessariamente ricorrere al “make” passando per la ricerca delle competenze e delle risorse da internalizzare, la collaborazione con i centri di ricerca e lo sviluppo di tecnologie o soluzioni applicative proprie. Tutte condizioni che rendono ad oggi piuttosto rischioso un progetto di intelligenza artificiale. Tecnicamente ci si spinge nello sviluppo di soluzioni senza sapere a priori, perché non c’è uno storico a riguardo, se funzioneranno o fino a che livello potranno funzionare».

Fortunatamente, nella visione di Gatti, in Italia le grandi aziende che hanno capacità di investimento e la corretta “cultura del rischio” per avviare progetti sperimentali ci sono: «sono aziende che hanno compreso il valore della cooperazione con la ricerca e che sanno di aver bisogno di scienziati e ricercatori», sottolinea con positività il Direttore dell’Osservatorio.

Il tema del “come” riuscire a governare questi progetti di innovazione è ciò su cui intende focalizzarsi l’Osservatorio: «dopo la prima edizione della nostra ricerca è emersa dalle aziende la necessità di comprendere meglio non solo gli scenari evolutivi delle tecnologie (cosa ci si dovrà attendere) ma anche come poter beneficiare di queste tecnologie all’interno delle proprie organizzazioni».

E’ quindi con questo spirito che l’Osservatorio ha iniziato ad organizzare dei workshop, “non tecnici” (ci tiene a sottolineare Gatti) ma esplorativi per comprendere come la tecnica dell’AI (intesa sia come tecnologie sia come soluzione) possa essere applicata in azienda.

«Un’azienda conosce bene il proprio prodotto/servizio, deve però comprendere quali opportunità gli possono derivare da alcune tecniche – spiega Gatti – arrivando persino a suggerire, in base alla propria sensibilità e cultura aziendale, quali possibili ambiti applicativi esplorare attraverso le tecniche suggerite/spiegate dagli scienziati».

Quella raccontata da Gatti è un’opportunità concreta di cooperazione tra ricerca e industria, tema molto caro anche a Piero Poccianti, Presidente di AIxIA, di cui abbiamo raccolto le considerazioni in una recente intervista.

«La sfida non si esaurisce però nella comprensione delle opportunità che possono generare le tecniche in ambito AI – puntualizza Gatti –, per un’azienda la sfida vera inizia dopo, quando deve inserire tali tecniche all’interno di un progetto organizzato che possa dare alcune garanzie, non tanto di successo progettuale quanto piuttosto di comprensione sul cosa sfruttare e cosa invece lasciar perdere, quanto tempo dedicare prima di decidere se e come andare avanti o cambiare strada, quante risorse economiche investire… capire quali sono le metodologie di sviluppo di un progetto è altrettanto importante quanto comprendere le tecniche».

Oggi l’Osservatorio ha definito un primo framework denominato AI Project Value Chain che sintetizza le principali attività da affrontare ma, ammette Gatti, «è ancora presto per poter dire di avere LA metodologia».

Lo scoglio principale da superare, tuttavia, è la paura, ci confida in chiusura Gatti: «oggi le aziende si trovano nel mezzo tra l’hype mediatico (soprattutto della stampa generalista) che non può garantire il corretto approfondimento tecnico e chi invece, all’estremo opposto, le tecniche le deve sviluppare. E’ normale che ci sia disorientamento, ma non dobbiamo commettere l’errore di enfatizzare ulteriormente l’hype per poi ricadere in un altro inverno dell’AI. Oggi dovremmo tutti concentrarci sulla comprensione di cosa si può fare e cosa ancora no, conoscendo più a fondo anche i limiti attuali dell’IA per non creare false aspettative (nel bene e nel male)».

Ecco allora che un metodo che aiuti a governare i processi di innovazione ed i percorsi progettuali diventa quanto mai prioritario.

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