Intelligenza artificiale e proprietà intellettuale: a chi spettano i diritti sulle opere create dall’AI?

Proprietà intellettuale: a chi appartiene le se opere dell’ingegno di carattere creativo sono frutto di una intelligenza artificiale? La legislazione esistente evidenzia delle lacune e delle difficoltà ad indirizzare la problematica sulla base del quadro normativo esistente, ma la tematica va affrontata ora.

Pubblicato il 06 Mag 2019

Ai creativa

Una delle questioni giuridiche più discusse in relazione alla diffusione e all’utilizzo dei sistemi di artificial intelligence riguarda l’applicabilità a quest’ambito della normativa in materia di proprietà intellettuale e, in particolare, l’attribuzione della titolarità dei diritti che sorgono sulle opere dell’ingegno di carattere creativo.

La questione non riguarda tanto l’ipotesi in cui sia pur sempre un autore “umano” a creare l’opera, con l’ausilio di software più o meno avanzati (perché in tal caso l’input creativo è comunque riconducibile ad un individuo umano), quanto piuttosto l’ipotesi dei programmi operanti con componenti AI di tipo “neurale”, in grado di elaborare in autonomia degli output che possono prescindere dagli input inseriti dal programmatore.

Lo scenario è tutt’altro che futuristico se si pensa che opere musicali, artistiche o letterarie, anche solo a livello sperimentale, sono già state create da sistemi di intelligenza artificiale. Ciò che è impressionante è che quei sistemi, chiamati a generare opere d’arte, brani di letteratura o poesie sulla base degli input acquisiti, hanno dato vita ad opere non distinguibili da quelle frutto di intelligenza “umana”.

Come abbiamo già avuto modo di rilevare con riferimento alla materia della responsabilità per danni conseguente alle condotte dell’AI, la legislazione esistente evidenzia delle lacune e delle difficoltà ad indirizzare la problematica sulla base del quadro normativo esistente.

La normativa italiana, che rispecchia comunque quella vigente nella maggior parte dei paesi stranieri, sembra presumere che solo una persona fisica possa essere creatrice e, quindi, titolare a titolo originario sia dei diritti morali che dei diritti patrimoniali sull’opera dell’ingegno. E’ quanto si desume, per esempio, dall’art. 2580 c.c. che stabilisce che “…il diritto d’autore spetta all’autore ed ai suoi aventi causa nei limiti e per gli effetti fissati dalle leggi speciali”.

Anche per i diritti morali si presume l’esistenza di una persona fisica. L’art. 23 l. 633/1951 (legge sul diritto d’autore) stabilisce, infatti, che dopo la morte dell’autore il diritto alla paternità e all’integrità dell’opera possono essere fatti valere, senza limiti di tempo, dal coniuge e dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e da discendenti diretti; mancando gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.

Non v’è dubbio, quindi, che l’artificial intelligence, in quanto “oggetto” e non “soggetto” umano, pur essendo autrice dell’opera, non possa essere destinataria di diritti patrimoniali e meno ancora di diritti morali.

Tra gli ordinamenti stranieri, il solo a prendere espressamente in considerazione la possibilità che un’opera di carattere intellettuale sia frutto dell’attività creativa di un computer è la legislazione del Regno Unito, in cui il Copyright Designs and Patent Act del 1988 prevede che la titolarità dei diritti intellettuali (nella loro componente patrimoniale) di un’opera creata da una macchina sia del soggetto che ha effettuato le configurazioni necessarie affinché la macchina potesse generare l’opera in questione. (“In the case of literaly, dramatic, music or artistic work which is computer-generated, the author shall be taken to be the person by whom the arrangements necessary for the creation of the work are undertaken”).

La norma contiene, peraltro, anche una definizione di “computer generated work”, che è in buona sostanza l’opera creata da un computer senza alcun intervento umano (“the work generated by computer in circumstances such that there is no human author of the work”).

Sicuramente la strada tracciata dalla legislazione inglese può essere una delle alternative da seguire per la nostra normativa e per quella comunitaria, ma non è la sola: le tesi dottrinali al riguardo sono una serie e si possono ricondurre a tre orientamenti fondamentali.

1) Il primo orientamento prospettabile consiste nel negare ogni forma di protezione, sotto il profilo della tutela della proprietà intellettuale, delle opere create dall’artificial intelligence.

Ad oggi, ed in mancanza di un intervento legislativo ad hoc, questa è la tesi più sostenibile se si muove dall’esigenza di un’interpretazione fedele al dettato delle norme.

A ciò si aggiunga, inoltre, quale argomentazione ulteriore a sostegno di questo orientamento, che, sotto il profilo del diritto antistrust, la possibilità della creazione di milioni o miliardi di opere dell’ingegno, originali ai sensi della normativa, attraverso agenti sempre più sofisticati e costosi da parte di singoli enti e sviluppatori, porrebbe in crisi la facoltà dei terzi di creare opere nuove, poiché i nuovi autori si troverebbero potenzialmente di fronte ad una moltitudine pressoché infinita di opere protette, per di più potenzialmente inconoscibili a priori da terzi.

E’, tuttavia, evidente che sostenere questa tesi implica conseguenze potenzialmente molto negative dal punto di vista tecnologico e di politica economica, per gli effetti fortemente disincentivanti sugli investimenti nella realizzazione e nell’utilizzazione di sistemi di sistemi intelligenti che essa si porta dietro. E’ innegabile, infatti, che il riconoscimento delle privative tipiche della normativa autorale rappresenti, per l’autore, una remunerazione per lo sforzo creativo e gli investimenti effettuati.

2) Il secondo orientamento in ipotesi prospettabile consiste nel riconoscere la titolarità dei diritti alla stessa intelligenza artificiale, come lascerebbe intendere in qualche passaggio la stessa Risoluzione recante “Raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica” con cui il Parlamento Europeo, nel 2017, ha chiesto alla Commissione di elaborare una proposta di direttiva che disciplini le problematiche giuridiche prospettabili in relazione al ricorso alla robotica (tra le quali anche la titolarità delle opere create dai robot) e nella quale si prospetta l’introduzione di una forma di soggettività giuridica in capo all’artificial intelligence, che diverrebbe, quindi, potenzialmente titolare di diritti.

Se la tesi precedente appare eccessivamente svantaggiosa da un punto di vista di opportunità e di politica economica, tale seconda tesi appare, ad oggi, eccessivamente futuristica e poco sostenibile dal punto di vista giuridico.

3) La terza tesi, mediana tra le prime due (e, a nostro parere, senza dubbio preferibile alle altre), consiste nella previsione di uno spazio di applicazione della normativa autorale (che necessiterebbe comunque di essere modificata ed aggiornata per le ragioni già esposte) all’ambito in esame, nella misura in cui i risultati dell’attività dei sistemi intelligenti siano in qualche modo dipesi dalle scelte e dagli imput di un essere umano e quindi, in ultima analisi, voluti da un individuo (o da un gruppo di individui).

Ma seguendo questa impostazione, a chi competerebbero i diritti previsti dalla normativa in materia di diritto d’autore, con particolare riferimento ai diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno frutto dell’attività creativa dell’artificial intelligence?

In ipotesi si potrebbero prospettare 3 possibilità:

  • Titolare dei diritti patrimoniali dell’opera creata dall’artificial intelligence è il soggetto che ha ideato, creato e prodotto la macchina;
  • Titolare dei diritti patrimoniali dell’opera creata dall’artificial intelligence è il soggetto che abbia in qualche modo impostato le funzioni della macchina in modo che questa potesse creare l’opera in questione;
  • Titolare dei diritti patrimoniali dell’opera creata dall’artificial intelligence è il soggetto che, proprietario della macchina (anche in virtù di acquisto effettuato da un produttore o da un distributore) ed indipendentemente da chi l’abbia impostata, abbia dato corso allo sfruttamento economico dell’opera stessa.

Una soluzione “corretta”, alla luce della legislazione attuale, non esiste.

Quel che è certo e che la futura risposta del legislatore ai quesiti sopra esposti dovrà essere attenta e ponderata.  Escludere a priori dal novero dei titolari dei diritti di sfruttamento economico delle creazioni della macchina i progettisti potrebbe essere penalizzante per coloro che investono tempo e capitali in attività creative; di contro, l’attribuzione della titolarità dei diritti sull’opera al proprietario della macchina potrebbe incentivare il ricorso e la diffusione di tali nuove tecnologie.

La problematica è, dunque, di grande attualità e la partita assolutamente aperta.

Anna Italiano

*Anna Italiano è Senior Legal Consultant Partners4Innovation 

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