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La realtà frena la corsa agli umanoidi: promesse, ostacoli e futuro incerto



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Le aziende di robotica umanoide promettono una rivoluzione del lavoro e raccolgono miliardi di investimenti, ma il mercato resta quasi del tutto teorico. Tra sfide di domanda, batterie insufficienti, standard di sicurezza e reali casi d’uso ancora da trovare, la strada per scalare la produzione è lunga. La domanda resta: gli umanoidi servono davvero?

Pubblicato il 19 set 2025



robot umanoidi

Negli ultimi anni, società come Agility Robotics, Tesla e Figure hanno alimentato enormi aspettative sul futuro dei robot umanoidi. Agility prevede di spedire centinaia di robot Digit già nel 2025, con una capacità produttiva annua di oltre 10mila unità. Tesla punta a 5mila Optimus nel 2025 e 50mila nel 2026. Figure prevede 100mila robot entro il 2029.

Anche le banche d’affari cavalcano l’entusiasmo: Bank of America stima 18mila spedizioni globali già nel 2025, mentre Morgan Stanley ipotizza un mercato da 5mila miliardi di dollari e 1 miliardo di umanoidi in circolazione entro il 2050. Ma oggi, il mercato reale si riduce a pochi progetti pilota iper-controllati.

Robot umanoidi futuro
Il robot umanoide Digit (immagine: Agility Robotics)

La vera sfida non è costruirli, ma usarli

Produrre decine di migliaia di umanoidi è tecnicamente fattibile: nel 2023 sono stati installati 500mila robot industriali. Tuttavia, come spiega Melonee Wise, ex chief product officer di Agility, il problema non è l’offerta, ma la domanda: nessuno ha ancora trovato un’applicazione che giustifichi migliaia di umanoidi per singolo sito produttivo.

L’industria punta su robot multifunzionali, capaci di svolgere più compiti, ma qui il nodo diventa l’intelligenza artificiale. “Molti sperano che l’AI risolva tutto – avverte Wise – ma oggi non è abbastanza robusta per soddisfare le esigenze del mercato”.

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Il robot umanoide Figure

Batterie, affidabilità e costi occulti

Tra i requisiti di mercato più critici spiccano autonomia, sicurezza e affidabilità. La nuova versione di Digit porta un battery pack ingombrante: 90 minuti di operatività per 9 minuti di ricarica. Ma per mantenere una riserva di sicurezza, in pratica il robot dovrà fermarsi ogni mezz’ora.

Il rischio? Un parco di centinaia di robot da oltre 100 kg che necessitano continue ricariche manuali. Le aziende, inoltre, non tollerano fermi macchina: un’ora di downtime può costare decine di migliaia di dollari. Eppure, arrivare al livello di affidabilità richiesto dal settore (99,99%) resta lontano.


La sfida della sicurezza

Un robot umanoide è classificato come macchinario industriale, quindi soggetto a norme severe. Boston Dynamics, insieme ad Agility e Figure, sta contribuendo alla definizione di standard ISO per la sicurezza dei robot muniti di gambe.

Il problema principale? Spegnere un umanoide in equilibrio dinamico significa farlo cadere, aumentando i rischi invece di ridurli. Le prime applicazioni saranno quindi in ambienti a basso rischio, lontani dagli esseri umani: un limite che riduce il ventaglio di utilizzi concreti.


Gambe o ruote? Il dubbio di fondo

L’idea di un robot bipede affascina perché evoca la capacità di muoversi come un essere umano in ambienti complessi. Tuttavia, i prototipi attuali mostrano movimenti limitati, ripetitivi e spesso confinati a superfici piane.

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Nel frattempo, soluzioni più semplici – robot con braccia ma montati su ruote – offrono già oggi maggiore efficienza, sicurezza e convenienza economica. Gli umanoidi restano un’ipotesi affascinante, ma ancora lontana dall’essere un pilastro del futuro del lavoro.


Robot umanoidi, tra realtà e fantascienza

Il sogno dei robot umanoidi che ci sostituiscono sul lavoro ha un piccolo problema: la realtà. Le slide degli investitori parlano di fabbriche popolate da macchine bipedi instancabili, ma oggi siamo ancora fermi a qualche demo spettacolare su YouTube e a prototipi che, dopo mezz’ora, hanno bisogno di una pausa caffè. Con la differenza che non bevono caffè, ma si ricaricano per dieci minuti sotto corrente.

Le previsioni dei grandi player finanziari sono fantascienza mascherata da report di ricerca: miliardi di umanoidi in circolazione entro il 2050, mercati da 5 trilioni di dollari. Davvero? Per ora, gli umanoidi più evoluti sanno camminare su pavimenti lisci e sollevare scatole, ma basta una rampa, un cavo a terra o un imprevisto per metterli in crisi.

Il problema non è costruirli, ma capire chi li vuole davvero e per fare cosa. La logistica industriale richiede affidabilità prossima al 100%, non robot da centinaia di chili che rischiano di bloccarsi nel bel mezzo di una linea produttiva da milioni di dollari l’ora.

E qui emerge la domanda che nessuno ama farsi: ha senso puntare tutto sulle gambe? Perché se guardiamo al presente, i robot su ruote fanno già meglio, costano meno e non cadono rovinosamente ogni volta che li spegni. L’umanoide, insomma, è soprattutto un totem mediatico: serve a convincere investitori e a nutrire l’immaginario collettivo più che a rivoluzionare il lavoro.

Forse il vero futuro non è nei robot che ci assomigliano, ma in quelli che funzionano.



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