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Perché gli “early adopter” dell’AI hanno un vantaggio competitivo in azienda



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Adottare per primi l’intelligenza artificiale significa ottenere un vantaggio competitivo: dalle lezioni dell’inbound marketing alle nuove piattaforme di AI, la capacità di anticipare i trend digitali ridisegna processi, strumenti e mentalità

Pubblicato il 10 ott 2025



attacco autonomo AI

Negli ultimi due anni la diffusione di strumenti di intelligenza artificiale in azienda ha accelerato in maniera esponenziale. Dalla generazione di testi all’automazione di flussi di lavoro complessi, fino alla produzione di contenuti multimediali, le possibilità aperte dall’AI stanno trasformando ogni funzione aziendale, dal marketing alle risorse umane, dall’analisi dei dati alla GenAI nella customer experience.

Eppure, come hanno discusso Dave Gerhardt, fondatore della community Exit Five, e Holly Xiao, responsabile B2B marketing di HeyGen, nel podcast The Exit Five CMO – The Unfiltered Truth About Video Marketing and AI, il vero nodo non è solo adottare questi strumenti, ma farlo con tempismo. Essere early adopter, cioè muoversi prima della massa, consente di costruire un vantaggio competitivo che si consolida nel tempo.

L’importanza di muoversi prima degli altri

Durante la conversazione, Gerhardt ha sottolineato che in ogni fase di cambiamento tecnologico le aziende che adottano per prime ottengono un posizionamento che gli altri difficilmente riescono a replicare. «Se tutti aspettano che sia sicuro adottare una nuova tecnologia, quando lo faranno non ci sarà più differenza» ha spiegato.

Nel caso dell’intelligenza artificiale in azienda, il tema è particolarmente evidente: i team che già oggi stanno sperimentando riescono a identificare i casi d’uso più rilevanti, sviluppare competenze interne e costruire una cultura aziendale pronta ad accogliere innovazioni successive. Al contrario, chi rimane fermo rischia di muoversi quando l’AI sarà ormai un requisito minimo, non più un differenziale competitivo.

Gerhardt paragona questo atteggiamento a una partita di scacchi: muovere per primi significa dettare il ritmo, costringendo gli avversari a reagire piuttosto che a guidare. Le aziende che comprendono presto le potenzialità dell’AI hanno più tempo per sbagliare, correggere, imparare e arrivare a un modello più maturo quando il resto del mercato sarà ancora in fase sperimentale.

L’esempio dell’inbound marketing e HubSpot (2008)

Per illustrare il concetto, Gerhardt cita il caso dell’inbound marketing nei primi anni Duemila. Nel 2008, HubSpot iniziò a promuovere con forza questa metodologia quando ancora la maggior parte delle aziende era concentrata sulle tecniche tradizionali di vendita e lead generation. All’inizio, il concetto non era affatto mainstream: parlare di attrarre i clienti attraverso contenuti utili piuttosto che inseguirli con messaggi promozionali sembrava rischioso.

Eppure, proprio perché tra i primi a credere nell’inbound, HubSpot riuscì a consolidare un vantaggio che avrebbe definito la sua leadership negli anni successivi. «Essere tra i primi a puntare su un trend significa costruire autorità, esperienza e fiducia quando gli altri ancora esitano» ricorda Gerhardt.

L’analogia con l’intelligenza artificiale in azienda è diretta: le imprese che oggi investono in sperimentazione non solo acquisiscono competenze tecniche, ma diventano punti di riferimento per clienti, partner e talenti. Quando la tecnologia sarà adottata in massa, la loro posizione sarà già consolidata.

Le “scommesse” che fanno la differenza

Gerhardt insiste su un concetto chiave: per ottenere un vantaggio reale serve la disponibilità a fare scommesse. «Non tutte le scommesse saranno vincenti, ma è il portafoglio di esperimenti a fare la differenza» ha spiegato.

Nel caso dell’AI, questo significa provare diverse applicazioni: dall’uso di modelli linguistici come ChatGPT e Claude per la scrittura e l’analisi, a tool come HeyGen per la generazione di contenuti visivi, fino a sistemi di automazione per il supporto clienti o la gestione dei dati. Alcuni tentativi falliranno, altri daranno risultati concreti, ma il vero valore sta nell’aver costruito un bagaglio di esperienze che permette di capire quali soluzioni scalare.

Xiao mette in guardia da un atteggiamento troppo superficiale: «Non basta dire che useremo l’AI. Serve un piano concreto, che includa strumenti, processi e metriche per valutare i risultati». In altre parole, sperimentare significa anche misurare e imparare, senza lasciare che l’entusiasmo per la novità si traduca in progetti improvvisati.

Strumenti da esplorare subito

Gerhardt e Xiao citano alcuni strumenti già oggi utilizzabili per ottenere benefici immediati. ChatGPT e Claude sono due esempi di modelli linguistici che stanno trovando applicazione in molteplici aree: dalla produzione di testi all’analisi di documenti, dal supporto nella scrittura di email all’elaborazione di insight strategici.

Xiao ricorda come piattaforme come HeyGen abbiano permesso a piccoli team di competere con grandi aziende, producendo contenuti visivi a costi molto più bassi. Questi strumenti dimostrano come l’AI consente anche a chi ha poche risorse di “punch above their weight”, cioè di operare come se fosse un’organizzazione molto più grande.

Per le aziende che vogliono muoversi ora, esplorare questi strumenti significa non solo adottare tecnologie più efficienti, ma soprattutto costruire un mindset sperimentale, abituato a testare e adattarsi.

Reinventare workflow e mindset grazie all’AI

Secondo Xiao, la vera trasformazione dell’intelligenza artificiale in azienda non riguarda solo l’adozione di nuovi strumenti, ma il ridisegno dei workflow interni. Automatizzare attività ripetitive consente di liberare tempo e risorse, ma la sfida è capire come redistribuire questi spazi a favore di attività ad alto valore aggiunto.

Gerhardt ha sottolineato che «la creatività sarà sempre il fattore decisivo». L’AI può ridurre la parte meccanica del lavoro, ma non sostituisce la capacità di pensare in modo originale, di immaginare soluzioni nuove e di costruire narrazioni autentiche. È qui che la tecnologia e il capitale umano devono incontrarsi: l’una accelera, l’altro dà senso e direzione.

Reinventare il mindset significa accettare che i processi aziendali non siano più statici. Ogni funzione può essere ridefinita: ciò che oggi viene svolto manualmente potrebbe domani essere automatizzato, e ciò che oggi sembra innovativo potrebbe presto diventare standard. Solo le aziende che sviluppano una cultura del cambiamento costante riusciranno a mantenere la rotta in un contesto in rapida evoluzione.

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