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GenAI nella customer experience: i cinque miti da sfatare



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La Generative AI (GenAI) ha preso d’assalto il mondo degli affari, trasformando il modo in cui le aziende gestiscono la customer experience. Il white paper, frutto della collaborazione tra Konecta e BCG, punta a “tagliare il rumore” e smascherare cinque falsi miti che offuscano il reale potenziale, e i limiti, della GenAI nel servizio clienti

Pubblicato il 6 giu 2025



GenAI customer experience

La Generative AI ha preso d’assalto il mondo degli affari. Oggi è in grado di ridefinire le modalità con cui le aziende interagiscono con i clienti, supportano i dipendenti e, a breve, scalano le proprie operazioni. Nel servizio clienti, in particolare, i primi adottanti ne stanno già sperimentando i vantaggi, uscendo dalla fase pilota e avviando implementazioni su larga scala. Secondo le previsioni, entro il 2028 la GenAI porterà una trasformazione radicale nei contact center.

La GenAI nella customer experience

Eppure, nonostante questa accelerazione, il dibattito resta polarizzato. Da un lato c’è chi la esalta come una svolta epocale per l’efficienza e l’automazione end-to-end. Dall’altro, si teme che impoverisca il lavoro umano e abbassi la qualità del servizio. Queste narrazioni rischiano di disorientare i decisori. Proprio per questo, il white paper “Cutting through the noise: Early lessons from deploying GenAI to transform customer
experience”,
di Konecta e BCG, si propone di “tagliare il rumore” e fare chiarezza sugli impatti effettivi della GenAI, a partire dall’analisi di dati concreti e testimonianze dirette di 400 agenti Konecta in America Latina e nella penisola iberica.


Mito n.1: la GenAI serve solo a ridurre i costi

Molte organizzazioni guardano alla GenAI come a uno strumento per ottimizzare l’efficienza operativa, riducendo tempi di gestione e costi per interazione. Una visione in parte confermata dai dati: BCG evidenzia incrementi di produttività tra il 15% e il 30% nelle prime adozioni. Microsoft riporta un calo del 16% nel tempo medio di gestione delle chat grazie a Copilot, mentre uno studio Stanford-MIT mostra un +14% di produttività tra gli agenti assistiti da GenAI.

Ma c’è di più. Limitarsi a una logica di risparmio rischia di oscurare benefici ben più ampi: migliore ingaggio dei clienti, empowerment degli agenti, incremento dei risultati commerciali. Lo dimostra il caso di una compagnia assicurativa europea: dopo sei settimane di utilizzo di un motore di insight GenAI sviluppato con Konecta e BCG, il tasso di conversione degli agenti è aumentato del 40% rispetto al baseline e del 12% rispetto a un gruppo di controllo.

La chiave? Affiancare alla tecnologia interventi mirati su comportamento e formazione degli agenti. Tecniche di comunicazione empatica, raccolta dati efficiente, chiusura proattiva e gestione delle obiezioni sono potenziate dalla GenAI solo se integrate con coaching e feedback strutturato. Il risultato non è solo velocità, ma qualità relazionale e performance commerciale misurabile.


Mito n.2: la GenAI peggiora la soddisfazione lavorativa degli operatori

Una delle paure più diffuse è che la GenAI riduca il ruolo umano a un semplice monitoraggio, portando all’alienazione degli operatori. Timori alimentati da narrazioni mediatiche su perdita di autonomia e pressioni crescenti. Eppure, i dati raccontano altro: se ben implementata, la GenAI può essere un alleato degli operatori, non una minaccia.

Secondo il Center for Customer Insight di BCG, il 70% dei dipendenti si dichiara entusiasta dell’uso della GenAI sul lavoro. Non solo per l’efficienza, ma per l’opportunità di apprendere e liberarsi da compiti ripetitivi. Casi come IBM e Best Buy mostrano che l’adozione di strumenti GenAI riduce il carico amministrativo e migliora la qualità del servizio. Gli agenti possono così concentrarsi su ciò che sanno fare meglio: risolvere problemi complessi, mostrare empatia, costruire relazioni.

Anche i dati Konecta lo confermano: il 95% degli operatori trova utili le soluzioni di trascrizione e ortografia automatica; l’82% apprezza gli strumenti di coaching basati su analisi conversazionali. Anche i copiloti più avanzati, pur essendo ancora in fase iniziale, sono considerati positivi dal 58% degli operatori.


Mito n.3: la GenAI compromette l’esperienza dei clienti

Molti ritengono che i clienti “non amino parlare con le macchine”. È un’eredità dei sistemi IVR e chatbot di prima generazione, spesso frustranti. Ma non è l’AI il problema: è il cattivo servizio.

La GenAI, se ben progettata, può offrire interazioni più rapide, rilevanti e personalizzate. Lo dimostra una crescita del CSAT (Customer Satisfaction Score) dal 81% all’85% dopo l’introduzione di suggerimenti comportamentali in tempo reale. E l’NPS (Net Promoter Score) ha registrato +4 punti percentuali anche nei casi con interazioni autonome.

La vera differenza sta nel “come” si implementa: scelte d’uso mirate, possibilità di escalation umana, progettazione empatica. Il cliente non rifiuta l’AI: rifiuta di non sentirsi ascoltato.

GenAI Customer Experience
Questi risultati portano a una conclusione chiara: i clienti non rifiutano l’IA in sé, ma rifiutano un servizio scadente. Quando la GenAI è progettata con intenzionalità, implementata con cura e supportata da un chiaro percorso di escalation, diventa un catalizzatore per interazioni più veloci, più intelligenti e, in definitiva, più soddisfacenti.

Mito n.4: basta l’algoritmo giusto per avere successo

La GenAI non è una soluzione plug-and-play. A contare non è solo la potenza del modello, ma il contesto in cui è integrato. Secondo BCG, solo il 10% del successo dipende dagli algoritmi, un altro 20% da dati e infrastrutture. Il restante 70% è determinato da persone, processi e change management.

I casi di successo di Konecta lo dimostrano: i team di implementazione sono composti in gran parte da figure non tecniche come “engagement manager” o “campaign navigator”, fondamentali per tradurre la tecnologia in risultati concreti.


Mito n.5: la GenAI sostituirà l’interazione umana

Il futuro non è “umano contro AI”, ma “umano con AI”. La GenAI eccelle nell’automatizzare attività ripetitive, lasciando agli agenti il compito di risolvere problemi complessi, trasmettere empatia, costruire fiducia.

Solo il 7% dei dirigenti, secondo l’AI Radar 2025 di BCG, prevede una riduzione del personale dovuta alla GenAI. La maggioranza vede invece un’opportunità di evoluzione dei ruoli, in un modello a tre livelli:

  • insight (analisi delle interazioni),
  • augmentation (supporto in tempo reale agli agenti)
  • autonomy (automatizzazione di task semplici).

La sfida è orchestrare in modo intelligente la collaborazione tra agenti umani e digitali, creando un’esperienza fluida, empatica e scalabile.


Conclusioni: la vera trasformazione è nelle persone

La GenAI non è solo uno strumento di automazione: è un abilitatore di trasformazione. I leader che sapranno andare oltre i miti e adottare un approccio integrato – tecnico e umano – saranno quelli in grado di:

  • Sbloccare valore commerciale, non solo risparmi;
  • Aumentare la soddisfazione e le competenze degli agenti;
  • Migliorare l’esperienza cliente, rendendola più veloce, empatica e coerente;
  • Integrare tecnologia e change management in modo efficace;
  • Costruire modelli ibridi in cui l’AI amplifica, non sostituisce, il talento umano.

In breve, l’opportunità GenAI non riguarda la sola autonomia basata sull’AI – riguarda la trasformazione del business abilitata dalla GenAI. Chi saprà metterla al servizio delle persone, e non il contrario, sarà pronto a raccogliere i frutti di un cambiamento profondo.


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