L’intelligenza artificiale ha accelerato la trasformazione delle imprese oltre il piano tecnologico, imponendo una riflessione profonda sulla responsabilità delle decisioni automatizzate. La governance AI è ormai parte integrante delle strategie di rischio e di reputazione: non basta implementare algoritmi, serve garantirne l’uso etico, trasparente e conforme alle normative in arrivo. In questo contesto, la differenza tra le aziende che crescono in modo sostenibile e quelle che restano indietro è spesso determinata da come riescono a strutturare la governance.
L’era dei “principi astratti” sta lasciando spazio a framework pratici, con processi documentati, funzioni di controllo interno e metriche di accountability. L’attenzione non è più soltanto sul “cosa può fare l’AI”, ma su “come deve farlo” e “chi ne risponde”. La governance diventa così un esercizio continuo di equilibrio tra innovazione e conformità, tra velocità e prudenza.
Indice degli argomenti:
Cinque casi pratici di applicazione di governance dell’AI
Questa nuova prospettiva emerge con chiarezza nei casi che seguono, ciascuno rappresentativo di un approccio diverso: dall’integrazione operativa alla valutazione indipendente, fino alla maturità organizzativa e all’autonomia infrastrutturale.
1. Mastercard e la governance “operativa”
Fondata nel 1966, Mastercard è oggi una delle aziende più influenti nel settore dei pagamenti digitali, presente in oltre 210 Paesi e con una lunga tradizione di innovazione tecnologica. Negli ultimi dieci anni ha trasformato radicalmente il proprio modello operativo, integrando sistemi di AI per rilevare frodi in tempo reale, ottimizzare i flussi di transazione e personalizzare le esperienze dei clienti. La complessità di queste operazioni ha reso necessario un approccio alla governance più strutturato e aderente al lavoro dei team.

Per rispondere a questa esigenza, Mastercard ha creato un AI Governance Program basato su tre pilastri: valutazione del rischio, trasparenza e inclusione. Il gruppo ha introdotto scorecard standardizzate, documentazione obbligatoria dei modelli e API per i test di bias, così da integrare la governance nei processi di sviluppo. L’azienda non impone regole dall’alto, ma fornisce strumenti e procedure che rendono più semplice rispettarle.
Questo approccio “operativo” alla governance è stato accolto con favore anche da altri settori, perché unisce rigore e flessibilità. La lezione più interessante di Mastercard è che la governance non è un freno all’innovazione, ma un meccanismo abilitante, capace di rendere l’AI più affidabile e scalabile.
2. Governance e valutazione esterna nel settore finanziario
Nel mondo della finanza, dove le decisioni automatizzate influenzano direttamente la vita dei clienti, la trasparenza algoritmica è diventata una priorità. Un gruppo Fortune 500 dei servizi finanziari, attivo in Nord America ed Europa, ha scelto di sottoporre a revisione esterna la propria architettura AI per verificare la coerenza con le normative e la qualità dei modelli predittivi.

Il progetto è stato affidato a Eliassen Group, società specializzata in risk management e data compliance, che ha utilizzato il framework NIST AI Risk Management per valutare la maturità del sistema. L’analisi ha evidenziato criticità diffuse: ruoli poco definiti, assenza di tracciabilità delle decisioni e mancanza di metriche condivise. L’intervento ha portato alla creazione di dashboard di monitoraggio e di un protocollo di responsabilità multilivello, che coinvolge sviluppatori, compliance officer e board.
Il valore di questo caso sta nel riconoscere che una governance efficace nasce anche dal confronto con soggetti esterni. L’audit indipendente non serve solo a rispettare norme, ma a introdurre un linguaggio comune tra tecnici, legali e decisori, migliorando la qualità dei processi interni e la fiducia del pubblico.
3. Le multinazionali europee e la maturità differenziata

Uno studio pubblicato da AISel – ICIS 2024 ha analizzato sei grandi multinazionali europee attive in settori strategici come energia, telecomunicazioni, manifattura e trasporti. Le aziende coinvolte, fondate tra gli anni ’60 e ’90, hanno vissuto tutte una forte accelerazione digitale nell’ultimo decennio, spinta dalla necessità di integrare AI e automazione nei processi operativi. L’obiettivo dello studio era misurare la maturità della governance AI, cioè la capacità delle imprese di gestire in modo strutturato rischi, processi e valore generato dai modelli.
La ricerca ha rivelato un quadro eterogeneo. Le imprese che considerano l’intelligenza artificiale un asset strategico mostrano una governance più evoluta, integrata nelle funzioni di gestione e nei comitati decisionali. In queste realtà, la governance è parte della cultura aziendale: ogni progetto AI è accompagnato da un piano di documentazione, monitoraggio e validazione etica. Le aziende meno mature, invece, mantengono una visione frammentata, dove le iniziative AI restano isolate e poco controllate.
Lo studio sottolinea anche un aspetto culturale: la maturità della governance non dipende solo dalla dimensione o dal settore, ma dal livello di allineamento interno tra tecnologia e strategia. Le organizzazioni più avanzate coinvolgono risk manager, legali e responsabili di sostenibilità fin dalle prime fasi dei progetti. In questo modo, la governance diventa una leva di innovazione, non un vincolo burocratico.
4. Il caso Anthropic: la fragilità della coerenza
Fondata nel 2021 da ex membri di OpenAI, Anthropic si è rapidamente affermata come una delle startup più influenti nel campo della AI alignment, con l’obiettivo di creare modelli linguistici più sicuri e prevedibili. La serie di modelli Claude è stata adottata in diversi contesti aziendali per la sua attenzione alla sicurezza e al rispetto dei principi etici. Tuttavia, nel 2025, un cambiamento interno nelle policy di mitigazione del bias ha suscitato forti reazioni.

L’azienda aveva temporaneamente ridotto gli impegni pubblici relativi alla neutralità dei modelli, generando un’ondata di critiche da parte di ricercatori e media. Dopo poche settimane, Anthropic ha ripristinato le politiche originarie, dimostrando la difficoltà di mantenere coerenza in un contesto dove ogni scelta di governance ha un impatto reputazionale immediato.
Questo episodio evidenzia un punto cruciale: la governance AI non può basarsi su principi flessibili o comunicazioni tattiche. La fiducia si costruisce con continuità, trasparenza e verifica. Le aziende che non ancorano le proprie politiche a strutture solide e KPI misurabili rischiano di perdere credibilità, indipendentemente dalla qualità tecnica dei propri modelli.
5. Memori.ai e la via italiana all’efficienza locale

Nata a Bologna nel 2020, Memori.ai rappresenta uno dei casi più interessanti del panorama italiano. L’azienda, specializzata in AI conversazionale e memorie digitali, è partita da un’intuizione semplice: rendere la tecnologia più intima e accessibile, mantenendo però il pieno controllo dei dati. Invece di affidarsi a infrastrutture cloud esterne, Memori.ai ha scelto un modello on-premise, ospitando i propri modelli linguistici su server locali.
Nel 2025, la startup ha pubblicato un report tecnico in cui confronta prestazioni, latenza e costi di diversi modelli LLM installati su infrastrutture locali e cloud. I risultati mostrano che l’hosting locale garantisce maggiore privacy e tempi di risposta più rapidi, ma richiede hardware più potente e un team tecnico altamente specializzato. Questa scelta si è rivelata strategica in un periodo in cui molte aziende italiane cercano soluzioni di AI “sovrane”.
Memori.ai incarna la tendenza europea verso un’AI sostenibile e controllata, che privilegia trasparenza, efficienza e indipendenza dalle big tech. Il suo percorso suggerisce che la governance può essere anche una scelta infrastrutturale: decidere dove e come far girare i modelli diventa parte della strategia etica e competitiva dell’impresa.
Dal caso singolo al modello globale
I cinque casi illustrano un’evoluzione chiara: la governance AI è passata da principio astratto a pratica concreta di business. Le aziende più avanzate non vedono la regolazione come un ostacolo, ma come un mezzo per garantire qualità, sicurezza e fiducia. Ogni decisione tecnologica diventa anche una scelta culturale e organizzativa.
Nel prossimo futuro, la sfida principale sarà la gestione degli agenti autonomi, sistemi capaci di prendere decisioni e interagire tra loro con margini di discrezionalità. Sarà necessario ridefinire responsabilità, metriche di rischio e modelli di audit in tempo reale.
In questo scenario, la governance diventa il linguaggio comune tra esseri umani e macchine: un insieme di regole condivise che permettono all’innovazione di restare sotto controllo, senza soffocarla.






