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Xenobot, i primi “robot viventi” in grado di riprodursi

Sviluppati da quattro ricercatori di varie università americane, sono organismi microscopici fatti di cellule di rana che, modellate utilizzando l’intelligenza artificiale, si replicano spontaneamente

Pubblicato il 07 Dic 2021

Sandro Marco Incerti

Ai expert&pioneer; Managing Director Roma Capitale Investments Foundation; Author of ‘K-Economy’

xenobot

La macchina vivente come macchina autoriproducentesi è sempre stata negli interessi delle più brillanti menti. Molto noti sono gli studi matematici di Von Neumann con il suo costruttore universale. Gli automi cellulari sono stati una palestra intellettuale formidabile prima della massiccia diffusione del calcolatore per descrivere le macchine e le loro principali funzionalità. Certamente la funzionalità più affascinante è stata sempre quella della riproduzione: fare una macchina autoreplicante in un ambiente fatto di automi cellulari. Per automa cellulare intendiamo un modello matematico usato per descrivere l’evoluzione di sistemi complessi discreti, studiati in teoria della computazione, matematica, fisica e biologia. Quattro scienziati delle università di Harvard, Tuft e del Vermont hanno pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) i risultati dei loro esperimenti per studiare come si muovono le cellule per riuscire a riprodursi e hanno prodotto una astrazione che sembra funzionare. Le macchine viventi di dimensioni millimetriche, chiamate Xenobot 3.0, non sono né robot tradizionali né una specie di animali, ma organismi viventi programmabili.

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Fonte Università del Vermont

Xenobot: rete di produzione di modelli compositivi (CPPN)

Come noto da sempre, la rappresentazione è al centro dell’intelligenza artificiale. In particolare, quando un problema coinvolge una search, una buona rappresentazione dello spazio della soluzione può fare la differenza tra successo e fallimento. I quattro scienziati di Harvard, Tuft e del Vermont hanno prodotto una astrazione che sembra funzionare. La nuova astrazione ispirata dallo sviluppo naturale, chiamata Rete di produzione di modelli compositivi (CPPN), a differenza delle astrazioni attualmente accettate come i sistemi di riscrittura iterativa e le simulazioni di crescita cellulare, mappa il fenotipo senza interazione locale, cioè, ogni singolo componente del fenotipo è determinato indipendentemente da ogni altro componente. I risultati prodotti con i CPPN attraverso l’evoluzione interattiva di immagini bidimensionali mostrano che tale codifica può comunque produrre motivi strutturali spesso attribuiti ad astrazioni evolutive più convenzionali, suggerendo che l’interazione locale potrebbe non essere essenziale per le proprietà desiderabili della codifica naturale nel modo in cui di solito si presume. (K. Stanley-2007).

La cinematica della replicazione era già nota sulla scala molecolare ma non su quella più estesa di intere cellule e piccoli organismi. Il gruppo studiava da anni sistemi che potessero auto-replicarsi e non ha scelto cellule a caso. Inoltre, per arrivare al risultato ha impiegato un algoritmo di intelligenza artificiale fatto girare sul supercomputer Deep Green dell’università del Vermont. Questo algoritmo ha permesso di testare miliardi di configurazioni in cui le cellule possono disporsi: dalla piramide alla sfera, da parallelepipedi a una disposizione a forma di stella marina fino a moltissime altre. Attraverso quest’analisi essi hanno individuato la forma ideale, ovvero quella più efficace per osservare la replicazione delle cellule.

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Una volta ottenuta a livello teorico questa configurazione, i ricercatori l’hanno ricreata nella pratica, in laboratorio. È fatta di piccole sferette, contenenti poche migliaia di cellule (circa 3.000), che si spostano, inglobano altre cellule (come nell’immagine del video sottoriportato – di qui la somiglianza con pac-man) e nel loro percorso si auto-replicano. Il tutto è spiegato in questo articolo del Daily Mail.

Per ora, come spiega il primo autore Sam Kriegman, nessun animale o vegetale si riproduce nel modo in cui lo fanno gli Xenobot.

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Josh Bongard

“Se riusciamo – spiega Josh Bongard, esperto di robotica e informatica dell’Università del Vermont – a sviluppare tecnologie, apprendendo dagli Xenobot, per cui possiamo dire rapidamente all’intelligenza artificiale: ‘abbiamo bisogno di uno strumento biologico che produca X e Y ed elimini Z’, questo potrebbe portare un grande vantaggio. Oggi, tale processo richiede tempi molto lunghi”.

Secondo gli esperti la strada è promettente: in futuro potremmo studiarli e utilizzarli per creare macchine viventi che rimuovano le microplastiche dai mari, per creare nuovi medicinali e nella medicina rigenerativa per ripristinare tessuti danneggiati o mal funzionanti.

Xenobots: Building the First-Ever Self-Replicating Living Robots

Xenobots: Building the First-Ever Self-Replicating Living Robots

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Video Università del Vermont

Xenobot: alcuni punti fermi

  • Gli Xenobot non sono né un robot tradizionale né una specie animale conosciuta, ma un organismo vivente e programmabile.
  • Sono fatti di cellule staminali adattate da Xenopus laevis, una specie africana di rana.
  • La loro forma è stata progettata da un computer per essere in grado di replicarsi su più generazioni.
  • Nessun animale o pianta nota alla scienza si replica in questo modo.
  • Gli Xenobot aiuteranno a sviluppare organismi progettati al computer per la somministrazione intelligente di farmaci.

Compositional Pattern Producing Networks

L’ AI non è solo reti neurali, come le “squadracce” di pubblicitari dei vari vendors vogliono farci credere. E dagli approcci sotto-pubblicizzati dell’AI viene la proposta più recente e interessante, che va oltre gli automi autoriproducentisi di Von Neumann. Il genetic programming si prende la rivincita e torna alla ribalta in maniera prepotente proponendo le Compositional Pattern Producing Networks, per dare vita a un esperimento spettacolare dove genetica, AI e robotica si incontrano in maniera interdisciplinare. Gli autori presentano un metodo che progetta macchine completamente biologiche da zero: i computer progettano automaticamente nuove macchine in simulazione e i migliori progetti vengono quindi costruiti combinando insieme diversi tessuti biologici. Ciò suggerisce che altri potrebbero utilizzare questo approccio per progettare una varietà di macchine viventi.

Le origini delle macchine autoriproducentisi: il “costruttore universale” di von Neumann

Il costruttore universale di John von Neumann è una macchina auto-replicante in un ambiente di automi cellulari. Fu progettata negli anni ’40 (XX secolo), senza l’uso di un calcolatore. I dettagli fondamentali della macchina furono pubblicati nel libro di von Neumann “Teoria dell’auto-riproduzione automatica”, completato nel 1966 da Arthur W. Burks dopo la morte di von Neumann. Le specifiche definiscono la macchina usando 29 stati, che costituiscono il trasporto del segnale e le operazioni logiche, il segnale è rappresentato come un flusso di bit. Un nastro di celle codifica la sequenza di azioni che la macchina deve eseguire. Usando la testina di scrittura la macchina può stampare (costruire) una nuova serie di celle, permettendo la realizzazione di una copia di se stessa, e del nastro. (fonte Wikipedia).

Negli anni ’90, al tempo degli esperimenti fatti in genetica con le cellule totipotenti, con cellule staminali si volevano mescolare a cellule umane cellule di topo, carota, maiale, etc., per avere organismi geneticamente modificati. Parlo degli esperimenti sulle cosiddette chimere biologiche. Al tempo l’AI e la potenza di calcolo non permettevano di supportare tali esperimenti.

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