La Casa Bianca ha pubblicato, mercoledì 23 luglio 2025, un AI Action Plan di 28 pagine, definito come un insieme di oltre 90 mosse strategiche per accelerare l’industria dell’intelligenza artificiale e rafforzare la supremazia americana contro la Cina. In parallelo verranno firmati più decreti esecutivi per semplificare regole ambientali, infrastrutture per data center ed esportazioni tecnologiche.
Indice degli argomenti:
La “neutralità ideologica” come requisito per i contratti federali
La priorità politica più controversa è la nuova clausola negli appalti: il governo acquisterà soltanto modelli che dimostrino imparzialità ideologica, liberi da orientamenti “woke” o social-engineering. Secondo quanto riferito, solo i fornitori che firmeranno una “certificazione di neutralità politica” potranno ottenere contratti federali.
Bloccare gli “stati regolatori”: leva sui fondi federali
Il piano include una clausola che vincola i fondi federali ai regolatori statali che non impongano normative considerate eccessive sull’AI. Stati come New York, che hanno introdotto norme più rigide, rischiano di perdere finanziamenti.

Deregolamentazione e infrastrutture: energia, chip, export
Per favorire la crescita veloce dell’AI, Trump annuncia:
- semplificazioni ambientali, permessi agevolati su terreni pubblici per data center;
- rilancio della produzione nazionale di chip grazie al “Chips Program Office”;
- nuovi incentivi per erogare pacchetti tecnologici avanzati ai paesi alleati tramite il “American AI Export Program”.
Contro-reazione da parte di civili e tecnologi
Gruppi per i diritti digitali e policy makers avanzano forti riserve:
- Secondo Samir Jain (Center for Democracy & Technology), si rischia la nascita di una sorta di “Ministero della verità algoritmica”.
- Kit Walsh (EFF) mette in guardia contro il controllo dello Stato sull’informazione del tool: “Il governo non può imporre agli sviluppatori di astenersi dal trasmettere altre idee”.
- Alondra Nelson e altri esperti temono che l’equità algoritmica venga sostituita da una forma più opaca di bias.
AI Action Plan: un’AI liberale o una “verità di Stato”?
Il piano sposa una visione aggressiva: «L’AI non deve essere “woke Marxist lunacy”», ha dichiarato Trump. Tuttavia, la definizione di “ideologically neutral” resta vaga e lascia spazio a interpretazioni politiche – potenzialmente a discrezione delle stesse agenzie come la GSA e l’OMB, incaricate del monitoraggio.
Accelerare l’innovazione
La prima direttrice del piano americano mira a liberare il potenziale innovativo dell’intelligenza artificiale eliminando ostacoli percepiti come eccessivamente restrittivi per l’iniziativa privata. L’annullamento dell’ordine esecutivo dell’amministrazione Biden rappresenta una chiara inversione di rotta: al posto di regole vincolanti, l’amministrazione Trump propone un ambiente sperimentale (sandbox), basato su linee guida flessibili e incentivi alla deregolamentazione. La promozione di modelli open source e open weights viene vista come strategia per accelerare la competizione e stimolare la proliferazione di soluzioni AI utilizzabili da imprese e pubbliche amministrazioni.
Un punto centrale del piano riguarda l’adozione, da parte della pubblica amministrazione federale, esclusivamente di modelli considerati “neutrali e privi di bias ideologici”, definizione che nel linguaggio del documento implica l’esplicita rimozione di riferimenti a temi come disinformazione, inclusione (DEI), giustizia sociale o cambiamento climatico. Questo orientamento si riflette anche nella volontà di riformulare i documenti federali sulla gestione del rischio in modo che escludano approcci ritenuti politicizzati. Dal lato della ricerca e sviluppo, il piano prevede la costruzione di un ecosistema pubblico per la valutazione e il test dei modelli: si investe nella creazione di benchmark indipendenti, piattaforme di testbed federali, sfide pubbliche (hackathon) e laboratori automatizzati.
L’obiettivo è fornire strumenti robusti per verificare l’affidabilità, la sicurezza e la capacità predittiva delle applicazioni AI. Viene inoltre enfatizzata la necessità di costruire dataset scientifici pubblici ad alta qualità, considerati essenziali per garantire modelli generalisti ad alte prestazioni, non limitati da dataset chiusi o di parte.
Infine, si rafforza l’impegno verso l’interpretabilità dei sistemi AI, il miglioramento della robustezza contro attacchi avversari (come il data poisoning) e la capacità delle agenzie federali di testare le soluzioni prima del loro impiego. L’attenzione è tutta sul potenziamento dell’ecosistema tecnologico nazionale, lasciando in secondo piano le implicazioni etiche e sociali dell’innovazione accelerata.
Costruire l’infrastruttura AI americana
Il secondo pilastro del piano si concentra sulla costruzione di un’infrastruttura fisica, energetica e computazionale adeguata alla nuova era dell’intelligenza artificiale. L’AI viene trattata esplicitamente come una tecnologia ad altissima intensità di risorse: energia, spazio, componenti elettronici, competenze tecniche e sicurezza. Da qui l’enfasi sulla rimozione degli ostacoli autorizzativi e regolatori per la realizzazione di grandi data center, stabilimenti per la produzione di semiconduttori e impianti per la generazione di energia, anche su terreni pubblici. Il piano prevede l’introduzione di iter autorizzativi accelerati e centralizzati, in grado di superare opposizioni locali o vincoli ambientali.
In parallelo, si incentivano investimenti in fonti energetiche ritenute affidabili e continuative, in particolare il nucleare di nuova generazione e la geotermia, al fine di garantire la continuità operativa delle infrastrutture AI.
L’amministrazione si pone l’obiettivo di realizzare una rete elettrica nazionale modernizzata, capace di sostenere la domanda crescente di calcolo, con particolare attenzione agli stati chiave per la logistica e la manifattura high-tech. La componente umana dell’infrastruttura non è trascurata: il piano individua fabbisogni urgenti di profili tecnici specializzati, come tecnici HVAC, elettricisti e operatori di impianti avanzati, proponendo la creazione di nuovi percorsi formativi brevi e professionali. Sul versante della sicurezza nazionale, il piano prevede la realizzazione di data center strategici ad accesso ristretto, destinati a supportare attività di difesa, intelligence e sicurezza interna.
A questi si affianca la promozione di protocolli “secure-by-design” per tutte le componenti software e hardware AI, e l’istituzione di centri nazionali di condivisione delle minacce e delle vulnerabilità (AI-ISAC), pensati per connettere pubblico e privato nella risposta a incidenti cyber e rischi sistemici.
Nel suo complesso, il secondo pilastro disegna un’infrastruttura AI trattata come asset critico nazionale, comparabile a reti energetiche, ferrovie, o satelliti. Il piano mira a concentrare il vantaggio infrastrutturale sul suolo americano, creando una base tecnologica difficilmente replicabile da altri attori globali.
AI Action Plan: guida internazionale e sicurezza
Il terzo pilastro del piano americano ridefinisce il ruolo degli Stati Uniti come guida globale nella regolazione, nella standardizzazione e nell’impiego strategico dell’intelligenza artificiale. Il documento propone un modello esplicito di diplomazia tecnologica: l’obiettivo non è soltanto promuovere l’adozione internazionale di standard “compatibili” con quelli statunitensi, ma piuttosto esportare l’intera filiera AI americana, hardware, software, modelli, piattaforme, metodologie, verso un’alleanza selezionata di Paesi considerati “amici”. Questo approccio allinea la strategia AI a logiche tipiche della politica estera e commerciale: la tecnologia diventa leva di influenza geopolitica e strumento di contenimento verso la Cina e altri competitor strategici.
L’Amministrazione annuncia l’intenzione di rafforzare il ruolo del Dipartimento di Stato, del Dipartimento del Commercio e della comunità di intelligence nella definizione e nel monitoraggio delle policy AI globali. Gli Stati Uniti si pongono l’obiettivo di ostacolare l’influenza cinese in consessi multilaterali chiave come l’ONU, l’ITU e l’ISO, promuovendo invece l’adozione di standard aperti ma sviluppati sotto egida americana. In questo quadro, il concetto di “AI affidabile” è reinterpretato in chiave geopolitica e securitaria, più che etica. Dal punto di vista della sicurezza, il piano enfatizza i rischi legati ai cosiddetti “frontier models”, ovvero modelli di AI di ultima generazione in grado di produrre effetti sistemici.
Viene istituito un sistema di valutazione del rischio per applicazioni critiche, come armi autonome, minacce CBRNE (chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari, esplosive), intrusioni nei sistemi industriali e si ipotizzano requisiti di registrazione per modelli sopra una certa soglia di capacità.
Uno degli elementi più controversi è l’introduzione di uno screening obbligatorio per la sintesi del DNA attraverso strumenti AI, finalizzato a prevenire usi impropri o bio-terroristici. Questo segnale anticipa un’espansione del perimetro della sicurezza nazionale anche ai laboratori biotecnologici, e rivela l’intenzione di integrare AI, biosicurezza e difesa in un’unica strategia integrata. Nel complesso, la guida internazionale delineata dal piano configura un’egemonia tecnologica fondata non solo sul primato innovativo, ma anche su una rete di controlli strategici, alleanze selettive e deterrenza normativa.
L’AI diventa così un nuovo campo di esercizio del potere sovrano americano sulla scena globale. Sul fronte internazionale, il piano punta all’esportazione controllata dell’intero stack tecnologico AI (hardware, software, modelli, standard) verso Paesi alleati.
Gli Stati Uniti intendono affermare uno standard AI globale “americano”, ostacolando la penetrazione cinese negli organismi multilaterali e promuovendo controlli sulle esportazioni più rigidi, condivisi tra gli alleati. Viene inoltre introdotto un sistema di valutazione dei rischi legati ai modelli AI di frontiera (uso militare, armi CBRNE, backdoor) e uno schema obbligatorio di screening per la biosintesi di DNA.
Un piano industriale e culturale con ambizione egemonica
Il Piano Trump delinea una visione netta e fortemente ideologizzata: l’AI come infrastruttura strategica da proteggere, promuovere e utilizzare come leva di potere. L’intelligenza artificiale è vista non solo come motore dell’economia futura, ma come specchio della cultura politica che la sviluppa. Da qui l’insistenza sulla “neutralità obbligatoria” nei modelli adottati dal governo federale, nel tentativo di contrastare quella che viene definita “woke AI”, e la richiesta esplicita che i modelli siano privi di bias progressisti. L’AI diventa così anche uno strumento di offensiva culturale, riflesso della visione valoriale dell’amministrazione.
L’azione pubblica si concentra su accelerazione, deregolamentazione, supporto all’industria nazionale e promozione internazionale dell’intero stack tecnologico americano, con particolare attenzione alla filiera dei semiconduttori, ai data center e all’energia. L’export dell’AI americana viene organizzato in chiave geopolitica e strategica, sia per rafforzare gli alleati sia per contenere la Cina. Il documento esprime apertamente una volontà di egemonia tecnologica, economica e culturale, in netta contrapposizione con l’approccio europeo, basato su principi di tutela, bilanciamento e cooperazione multilaterale.
La non adesione americana alla dichiarazione di Parigi e il rifiuto di norme comuni su copyright, trasparenza o impatti sociali sottolineano questa distanza. Per l’Italia e l’Europa si apre dunque una sfida complessa: non basta regolamentare, occorre investire in autonomia tecnologica, visione industriale e narrazione culturale. Serve uno sforzo coordinato per costruire infrastrutture, generare modelli, sostenere startup e rafforzare l’ecosistema scientifico. Ma serve anche una visione del futuro che renda l’AI uno strumento di emancipazione democratica, e non solo di supremazia globale.
Conclusioni
Il piano AI dell’amministrazione Trump è un’iniezione poderosa di deregolamentazione e protezionismo ideologico, con l’obiettivo dichiarato di velocizzare la ripresa tecnologica americana. Ma solleva interrogativi profondi: chi decide cosa sia “verità obiettiva”? E che effetti produrrà sull’innovazione, i diritti digitali e la fiducia nelle istituzioni?
Fonti







