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L’AI sta iniziando a penalizzare i lavoratori più giovani. Un segnale da non ignorare



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L’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale generativa sta iniziando a lasciare tracce misurabili nel mercato del lavoro. Il report “Canaries in the Coal Mine? Six Facts about the Recent Employment Effects of Artificial Intelligence” fornisce una delle prime analisi su larga scala: tra i 22 e i 25 anni, negli Usa, la probabilità di occupazione è diminuita del 13%

Pubblicato il 2 set 2025



job curator

L’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale generativa sta iniziando a lasciare tracce misurabili nel mercato del lavoro. Il report “Canaries in the Coal Mine? Six Facts about the Recent Employment Effects of Artificial Intelligence” (Brynjolfsson, Chandar, Chen – agosto 2025) fornisce una delle prime analisi su larga scala basate su dati amministrativi ad alta frequenza, provenienti dal principale fornitore di software per paghe negli Stati Uniti.

L’evidenza più netta riguarda i lavoratori all’inizio della carriera, tra i 22 e i 25 anni: in queste professioni la probabilità di occupazione è diminuita del 13% rispetto ai colleghi più esperti o a chi opera in ambiti meno esposti alla tecnologia.

Non si tratta di un fenomeno generalizzato, ma di un segnale che anticipa come l’AI non stia colpendo in modo uniforme: ad assorbire l’impatto maggiore sono proprio le figure più junior, in ruoli dove l’automazione prevale sull’affiancamento umano.

Obiettivi dello studio

Questo studio è una produzione dello Stanford Digital Economy Lab, istituto di ricerca dello Stanford Institute for Human-Centered Artificial Intelligence della Stanford University.

L’obiettivo dello studio è chiarire come le dinamiche occupazionali si stiano trasformando nei settori più esposti all’automazione guidata dall’AI.

Il titolo richiama una metafora storica: i “canarini nella miniera” erano uccelli portati dai minatori nei tunnel sotterranei come segnale precoce di pericolo. Essendo più sensibili al monossido di carbonio, i canarini smettevano di cantare o morivano prima che il gas diventasse letale per gli esseri umani, dando così il tempo di evacuare.

Nel report, questa immagine diventa un simbolo dei gruppi di lavoratori più esposti agli effetti dell’AI: i giovani all’inizio della carriera, i cui segnali di difficoltà potrebbero anticipare dinamiche più ampie destinate a toccare altre fasce del mercato del lavoro.

Secondo l’AI Index Report, le performance dei modelli sono cresciute in maniera esponenziale: nel 2023 risolvevano appena il 4,4% dei problemi di programmazione su SWE-bench, un benchmark per l’ingegneria del software, mentre nel 2024 la percentuale è balzata al 71,7%. Parallelamente, l’adozione sul lavoro è diventata capillare: ricerche recenti mostrano che nell’estate 2025 il 46% degli adulti statunitensi aveva già utilizzato strumenti di AI generativa per attività professionali.

La metodologia del report

Il valore del report sta anche nella metodologia. I ricercatori hanno analizzato milioni di osservazioni mensili a livello individuale raccolte da ADP, il più grande provider di servizi di payroll negli Stati Uniti. Il dataset copre decine di migliaia di imprese fino a luglio 2025 e consente di collegare le variazioni occupazionali all’esposizione delle diverse professioni alle tecnologie di AI. Questo approccio permette di osservare in tempo reale come l’introduzione delle nuove tecnologie modifichi gli equilibri tra categorie di lavoratori.

 effetti occupazionali AI

Sei evidenze chiave sull’impatto dell’AI

Declino occupazionale nei giovani lavoratori esposti

Il primo fatto documentato riguarda il calo significativo dell’occupazione tra i giovani lavoratori, soprattutto nelle professioni più esposte all’AI. Nei settori come lo sviluppo software e il customer service, il report mostra che i lavoratori tra i 22 e i 25 anni hanno registrato un calo del 20% rispetto al picco del 2022.

Per le stesse occupazioni, i lavoratori più anziani hanno invece visto crescere l’occupazione. L’impatto è dunque generazionale e non solo settoriale, con le fasce junior più vulnerabili rispetto ai colleghi con maggiore esperienza.

La spiegazione proposta dagli autori è legata alla natura delle competenze. I giovani portano sul mercato soprattutto conoscenza codificata, cioè nozioni apprese in percorsi formativi e quindi più facilmente sostituibili dagli algoritmi.

I lavoratori esperti, al contrario, dispongono di conoscenze tacite, maturate con l’esperienza e meno replicabili dalle macchine. Non sorprende quindi che gli effetti negativi si concentrino sulle coorti più giovani, mentre le altre fasce d’età mantengono o rafforzano la loro posizione.

Stagnazione della crescita complessiva per i giovani

Un secondo fatto riguarda l’andamento generale dell’occupazione. Nel complesso, il mercato statunitense resta solido, con una crescita complessiva dei posti di lavoro e tassi di disoccupazione bassi. Tuttavia, l’analisi per fasce d’età evidenzia un andamento divergente: per i giovani tra i 22 e i 25 anni, l’occupazione si è contratta nei settori ad alta esposizione all’AI, mentre per i lavoratori tra i 35 e i 49 anni è cresciuta fino al 9%. Questo divario spiega perché la crescita complessiva dei giovani appaia stagnante, a fronte di una crescita robusta per gli adulti.

La differenza non dipende solo dalla congiuntura economica. Gli autori mostrano che nei settori a bassa esposizione all’AI, i giovani hanno tenuto il passo con i colleghi più anziani. È dunque la specifica esposizione alla tecnologia a determinare la divergenza. Ciò conferma l’idea che i giovani siano diventati i “canarini nella miniera”: i primi a mostrare segnali di difficoltà in contesti dove l’AI entra come forza sostitutiva del lavoro umano.

Automazione contro aumento di produttività

Il terzo fatto riguarda la distinzione tra automazione e aumento. Non tutte le applicazioni dell’AI generano effetti negativi sull’occupazione. Nei casi in cui l’AI sostituisce compiti ripetitivi e codificati, i giovani subiscono contrazioni occupazionali. Nei casi in cui l’AI invece affianca l’attività umana, rendendola più efficiente, l’occupazione non cala e talvolta cresce.

Gli autori dimostrano questa differenza utilizzando l’Anthropic Economic Index, che classifica le interazioni con i modelli di AI in tre categorie:

  • automative (sostitutive),
  • aumentative (di supporto)
  • neutre.

I risultati confermano che i giovani lavoratori subiscono riduzioni soprattutto nei contesti ad alto contenuto automative, mentre nei settori con alta quota di usi aumentativi non emergono effetti negativi significativi. Questa distinzione è cruciale per le politiche del lavoro: non è la presenza dell’AI in sé a determinare l’impatto, ma il tipo di attività che la tecnologia va a svolgere.

Effetti robusti oltre gli shock aziendali

Il quarto fatto riguarda la solidità delle analisi. Per escludere che i risultati fossero legati a shock settoriali o a particolari aziende, gli autori hanno condotto regressioni con effetti fissi a livello di impresa e periodo. Anche tenendo conto di questi fattori, l’effetto resta evidente: per i giovani di 22-25 anni nelle professioni più esposte si registra un calo di 12 punti logaritmici nell’occupazione, statisticamente significativo.

Questo significa che la dinamica osservata non può essere spiegata da fattori come i tassi di interesse, la congiuntura di specifici settori o strategie di singole imprese. Si tratta invece di un fenomeno strutturale, legato all’introduzione e alla diffusione dell’AI generativa nel mercato del lavoro. Le analisi di robustezza escludono anche spiegazioni alternative come l’eccesso di assunzioni post-Covid o la maggiore facilità di lavoro da remoto.

Effetti occupazionali dell’AI: impatto più forte sull’occupazione che sui salari

Il quinto fatto evidenziato dal report riguarda i salari. Nonostante il calo dei posti di lavoro tra i giovani in settori esposti, le retribuzioni restano stabili. L’analisi delle retribuzioni di base annuali, corrette per l’inflazione, mostra che non ci sono differenze significative né per età né per grado di esposizione all’AI.

Questa stabilità salariale suggerisce che le imprese preferiscono regolare l’impatto dell’AI riducendo le assunzioni piuttosto che abbassare i salari dei lavoratori già occupati. Una spiegazione alternativa è la “wage stickiness”, cioè la rigidità dei salari nel breve periodo, già documentata in altre ricerche. In ogni caso, la divergenza tra l’andamento occupazionale e quello retributivo evidenzia che i primi aggiustamenti al progresso tecnologico avvengono principalmente sul volume dei posti di lavoro.

Risultati confermati da test di robustezza

Il sesto fatto riguarda la conferma dei risultati attraverso numerosi test di robustezza. Gli autori hanno escluso le sole professioni tecnologiche, le aziende ICT e le occupazioni da remoto: i risultati restano invariati. Anche l’estensione del campione al periodo pre-2018 non mostra le stesse dinamiche, che invece diventano evidenti solo dal 2022 in avanti, in corrispondenza con la diffusione dei modelli generativi.

Nemmeno le differenze di istruzione spiegano i risultati. Nelle professioni con alta quota di laureati si osserva un calo complessivo, mentre in quelle con bassa quota di laureati i giovani risultano penalizzati soprattutto nei settori più esposti. In questi casi, la vulnerabilità si estende anche fino ai 40 anni, segno che l’esperienza può offrire una protezione minore quando le competenze richieste sono poco legate a percorsi formativi strutturati.

Conclusioni

Il quadro che emerge è chiaro: l’AI generativa sta già producendo effetti tangibili sul mercato del lavoro, colpendo in modo sproporzionato i giovani lavoratori alle prime esperienze nei settori più esposti all’automazione. Sei fatti chiave riassumono l’impatto:

  1. calo dell’occupazione giovanile in ruoli esposti,
  2. stagnazione generale per i giovani,
  3. differenza netta tra automazione e aumento,
  4. effetti robusti al netto degli shock settoriali,
  5. impatto più forte sull’occupazione che sui salari,
  6. conferma attraverso numerosi test di robustezza.

Gli autori sottolineano che, come in precedenti transizioni tecnologiche, il processo di aggiustamento potrebbe generare nuove opportunità nel medio-lungo periodo. Tuttavia, il segnale attuale non può essere ignorato: i “canarini nella miniera” sono i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro, e le loro difficoltà potrebbero anticipare trasformazioni più ampie. Monitorare l’evoluzione dei dati nei prossimi anni sarà cruciale per capire se la traiettoria dell’AI seguirà quella di precedenti rivoluzioni tecnologiche, portando a una crescita diffusa, o se accentuerà ulteriormente le disuguaglianze tra generazioni e settori

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