Customer experience: la tecnologia è in rapida evoluzione, mentre il legame di fiducia e la qualità delle interazioni con i clienti restano ancora in discussione. Questo è il quadro che emerge dal report realizzato da Longitude (Financial Times Group) per Verizon, che ha analizzato l’adozione dell’intelligenza artificiale nella customer experience attraverso due indagini parallele: una condotta su 5.000 consumatori e l’altra su 500 dirigenti senior di sei settori in sette Paesi. L’obiettivo era misurare i progressi reali ottenuti grazie all’AI e verificare se questi benefici si riflettano nell’esperienza percepita dai clienti.
I dati raccolti mostrano una situazione complessa. Le aziende dichiarano di aver ottenuto miglioramenti sensibili negli indicatori di CX e nella fidelizzazione, ma le risposte dei consumatori non confermano lo stesso livello di entusiasmo.
Indice degli argomenti:
Customer experience, i benefici per le aziende
Secondo i dirigenti intervistati, l’intelligenza artificiale ha contribuito in maniera significativa al miglioramento dei processi interni. Il 72% segnala progressi nelle metriche di customer experience e il 66% dichiara un aumento della fedeltà dei clienti. Più della metà attribuisce questi risultati proprio all’introduzione di strumenti AI. Gli ambiti più rilevanti sono l’assistenza clienti, la raccolta dati e la personalizzazione delle interazioni.

Alcuni esempi confermano l’impatto operativo. Prudential Financial ha introdotto strumenti generativi in grado di ridurre drasticamente i tempi di lavorazione delle analisi: una sintesi di ricerche su 50 clienti, che prima richiedeva tre settimane, oggi viene completata in tre minuti. Questo tipo di efficienza consente alle aziende di destinare più risorse ad attività a valore aggiunto, aumentando la produttività senza sacrificare la qualità dei servizi.
La percezione dei consumatori
Il quadro cambia radicalmente se si guarda al lato dei clienti. L’88% si dichiara soddisfatto delle interazioni con operatori umani, contro appena il 60% delle interazioni automatizzate. Questo dato sottolinea come la tecnologia non sia ancora riuscita a replicare la qualità dell’interazione umana. La difficoltà maggiore segnalata dagli utenti riguarda l’accesso agli operatori, spesso nascosto dietro strati di automazione.
La frustrazione è evidente soprattutto nei casi complessi, dove la componente emotiva gioca un ruolo cruciale. Morlon Bell-Izzard, Senior vice president customer experience di Exelon, ha sottolineato che, anche qualora l’AI riuscisse a simulare empatia, non sarebbe sufficiente a soddisfare tutte le esigenze dei clienti. La fiducia e la comprensione rimangono legate a figure umane, soprattutto quando in gioco ci sono problemi delicati come la gestione di pagamenti o la risoluzione di reclami.
Personalizzazione e dati
La personalizzazione è tra i campi più promettenti dell’AI, ma al momento non convince i consumatori. Solo il 26% percepisce miglioramenti, mentre il 30% ritiene che l’uso dell’AI abbia addirittura peggiorato l’esperienza. La maggioranza, pari al 44%, non rileva cambiamenti. Ciò dimostra che gli investimenti in questo ambito non sono ancora riusciti a generare un impatto concreto e visibile.

Il problema principale è legato ai dati. Il 65% dei dirigenti afferma che le regole sulla privacy limitano l’uso delle informazioni per la personalizzazione, mentre il 46% lamenta la scarsa qualità dei dati a disposizione.
Secondo Stacy Sherman, CEO di Doing CX Right, la chiave per superare questo ostacolo è la trasparenza: comunicare chiaramente come e perché vengono utilizzati i dati personali aumenta l’accettazione da parte dei clienti e favorisce relazioni più durature.
Le difficoltà riscontrate nell’adozione dell’AI nella CX
Le aziende indicano come principali ostacoli la scarsa qualità dei dati (46%) e i vincoli normativi sulla privacy (65%), che frenano la possibilità di sviluppare esperienze personalizzate. A ciò si aggiungono resistenze culturali interne, carenza di competenze specialistiche e difficoltà nel creare metriche adeguate per misurare l’effettivo ritorno sugli investimenti.
Dal lato dei consumatori emergono difficoltà altrettanto rilevanti. Il 47% lamenta la mancanza di accesso rapido a un operatore umano durante le interazioni automatizzate, mentre molti segnalano lentezza, linguaggio artificiale e scarsa coerenza tra chatbot e operatori. Inoltre, il 54% dichiara di aver perso fiducia nella capacità delle aziende di gestire correttamente i dati personali. Questo divario tra promesse tecnologiche e percezioni reali rappresenta il vero nodo da sciogliere.
Metriche e ROI ancora incerti
Un altro elemento critico riguarda la misurazione dei risultati. Il 53% delle aziende si limita ad adattare le metriche esistenti per valutare l’impatto dell’AI, mentre un terzo sta cercando di svilupparne di nuove. Tuttavia, la mancanza di indicatori standardizzati rende difficile dimostrare il ritorno sugli investimenti. Molti dirigenti ammettono che l’entusiasmo per i miglioramenti sia basato più su percezioni che su dati concreti.
Alcune aziende hanno già avviato progetti per colmare questa lacuna. Exelon, ad esempio, sta lavorando a nuove metriche specifiche per la generative AI, riconoscendo che i KPI tradizionali non sono più sufficienti. Prudential Financial, invece, utilizza parametri intermedi come la riduzione dei tempi di gestione delle chiamate, in attesa di indicatori più affidabili. La capacità di dimostrare con precisione l’impatto dell’AI diventerà cruciale con l’aumento degli investimenti.
Il ruolo umano resta irrinunciabile
Nonostante i progressi tecnologici, il ruolo umano resta centrale. Solo il 7% dei dirigenti ipotizza un futuro in cui la customer experience sarà interamente automatizzata. La maggioranza prevede un modello ibrido, con investimenti bilanciati tra AI e operatori. Questo approccio riflette la consapevolezza che la tecnologia può ampliare le possibilità, ma non sostituire completamente la componente relazionale.
Nei settori più sensibili, come utility e sanità, l’empatia è un requisito irrinunciabile. Lo stesso Bell-Izzard sottolinea come alcune sfide richiedano non solo soluzioni tecniche, ma anche comprensione e compassione. Per questo motivo, le aziende stanno puntando su programmi di formazione che preparino i dipendenti a gestire interazioni miste, affrontando sia questioni tecniche sia preoccupazioni legate alla privacy e alla qualità delle interazioni.
Le priorità per il futuro
Il report individua quattro priorità strategiche per superare il divario tra benefici aziendali e valore percepito dai clienti.
- La prima è migliorare l’integrazione tra AI e operatori, eliminando i punti di attrito nei passaggi da chatbot a agenti umani.
2. La seconda è sfruttare le capacità predittive dell’AI per anticipare i problemi, trasformando la tecnologia in uno strumento di prevenzione.
3. La terza riguarda la personalizzazione, che dovrà essere non solo efficace ma anche trasparente, per ricostruire la fiducia dei clienti.
4. Infine, le aziende dovranno sviluppare nuove metriche per valutare in modo accurato l’impatto dell’AI, così da collegare gli investimenti a risultati concreti.
Solo con queste azioni sarà possibile trasformare i progressi interni in esperienze realmente percepite come un valore aggiunto dai clienti.





