“Alleanza intelligente”: è questo il concetto che Cristiano De Mei, head of Information technology di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking, porta dell’AI nei suoi speech, nei paper e negli interventi a tavole rotonde.
De Mei descrive l’AI come uno strumento potentissimo, ma pur sempre uno strumento, che funziona bene solo se chi la usa mantiene saldamente il controllo del contesto, degli obiettivi e dei valori in gioco.
La sua convinzione profonda è questa: “l’AI diventa davvero ‘intelligente’ solo quando entra in relazione con persone competenti, curiose e responsabili, capaci di usarla per ampliare, non ridurre, la propria libertà e la propria capacità di agire”.
Indice degli argomenti:
La capacità di dare senso alle informazioni
De Mei insiste molto su questo punto: l’intelligenza umana resta insostituibile in termini di responsabilità, giudizio critico, creatività e capacità di dare senso alle informazioni. E sottolinea sempre quanto AI e intelligenza umano siano profondamente diverse tra loro.
Prendiamo un esempio concreto: l’AI può analizzare migliaia di curriculum in pochi secondi, individuando pattern e correlazioni che a un recruiter richiederebbero settimane. “Ma solo l’essere umano può valutare se un candidato ha quella ‘scintilla’ particolare, quella motivazione autentica, quella capacità di inserirsi in una specifica cultura aziendale”, sottolinea De Mei.

Non pretendere di invadere il campo dell’altro
L’AI eccelle nella velocità di calcolo, nell’analisi di grandi quantità di dati, nella generazione di alternative e scenari, in pochi secondi. “Mentre l’essere umano decide cosa è opportuno fare, quali scenari preferire, quali rischi evitare. E lo fa spesso con una quantità di dati limitata”.
E rimarca: “l’alleanza funziona quando ciascuno porta il proprio contributo distintivo, senza pretendere di invadere il campo dell’altro”.
Ci sono numerosi esempi di come queste alleanze possano tradursi concretamente nel lavoro quotidiano. “Penso all’automatizzazione di attività ripetitive che liberano tempo per compiti più strategici; alla preparazione di analisi preliminari su cui poi l’esperto interviene con il proprio giudizio; al supporto al decision making attraverso simulazioni e scenari multipli; alla creazione di bozze di testi, codici o presentazioni che vengono poi rifinite dal professionista”.

Relazione, fiducia, empatia
Visto il suo ruolo all’interno di un istituto bancario di primo piano, “dedico particolare attenzione ai contesti economici e finanziari, ma le riflessioni sono facilmente applicabili a molti altri settori: dalla formazione al marketing, dalle professioni tecniche fino ai servizi alla persona”.
In ambito finanziario, ad esempio, l’AI può processare in tempo reale migliaia di variabili di mercato, “ma la decisione finale su un investimento deve sempre tenere conto del profilo di rischio del cliente, dei suoi obiettivi di vita, del contesto normativo: tutte dimensioni che richiedono l’intervento umano, la relazione, la fiducia reciproca, l’empatia”.
Regole e confini per gestire le criticità
L’head of Information Technology di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking non nasconde ovviamente le criticità, che delimitano il perimetro dell’utilizzo dell’AI e la cui conoscenza ci consente di fissare regole e confini.
“Bisogna conoscere e affrontare i bias algoritmici – che riflettono e amplificano pregiudizi umani presenti nei dati di addestramento –, i rischi per la privacy, la potenziale dipendenza dagli strumenti digitali, la perdita progressiva di competenze se ci si affida troppo all’automazione senza un percorso parallelo di supporto allo shifting delle competenze”.

L’AI non è magia nera né bacchetta magica
Quando ha iniziato a scrivere il libro ‘AI – Alleanze Intelligenti’, pubblicato da GueriniNext, aveva in mente un obiettivo preciso: “proporre una chiave di lettura concreta dell’intelligenza artificiale, lontana tanto dal catastrofismo quanto dall’entusiasmo ingenuo. Non volevo parlare dell’AI come di una magia nera destinata a sostituirci, né come di una bacchetta magica che risolve ogni problema. La mia prospettiva è diversa: l’AI è un alleato con cui dobbiamo imparare a lavorare”.
De Mei propone, quindi, di affrontare l’AI come ogni altra grande innovazione, con regole chiare, responsabilità definite, formazione adeguata e un serio confronto etico e sociale. “Non bisogna preoccuparsi dell’AI, bisogna occuparsene”.
Dallo scenario al day-by-day professionale
Quello di De Mei è un invito a prendere posizione e un richiamo al senso di urgenza nel farlo: “non possiamo permetterci di subire passivamente l’intelligenza artificiale, delegando ad altri le decisioni su come integrarla nelle nostre vite professionali e personali. Dobbiamo imparare a conoscerla, sperimentarla, integrarla consapevolmente nei processi organizzativi e nelle professioni”.
L’esperto hi-tech di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking prosegue la sua riflessione sull’AI passando dagli elementi di carattere generale al day-by-day professionale.
Nelle esperienze progettuali che ha avuto modo di vivere e nel confronto con tanti professionisti del settore, “ho colto grande sintonia con l’approccio che propongo dal punto di vista filosofico – l’alleanza intelligente – e, nello stesso tempo, ho vissuto, e vivo, gli elementi pratici che sono alla base del successo o del fallimento dell’applicazione dell’AI nel business”.
AI consapevole, tre passi per procedere
Per questo, i concetti e gli spunti che tiene a sottolineare sono innanzitutto tre:
- “cautela nel maneggiare l’AI;
- saper crescere in modo graduale e progressivo;
- equilibrio tra sperimentazione e ordine”.

Per quanto riguarda il primo elemento, la cautela, rimarca: “in una realtà iper-regolamentata è estremamente importante usare cautele sotto tutti i profili di rischio. Temi di compliance, cybersecurity, privacy, diritto d’autore, eccetera, sono elementi cruciali nell’utilizzo corretto dell’intelligenza artificiale”.
Un percorso di adozione dell’AI consapevole e mirato
La possibilità, da parte di un grande gruppo bancario, “di dotarsi di un solido team di professionisti, ben strutturato e preparato, che guida la strategia della Banca circa l’AI adoption, è un valore determinante”.
Ne emergono e derivano “policy chiare, linee guida e analisi di business case, inserimento dell’innovazione all’interno del piano industriale, e altro ancora, che aiutano tutte le anime organizzative a intraprendere un journey di adozione consapevole e mirato ai risultati”.
Saper crescere, dai progetti pilota alla vasta scala
Il secondo punto cruciale, per uno sviluppo equilibrato ed efficace dell’AI, è il “saper crescere: dai piloti all’adozione in scala”.
Spiega De Mei: “è esperienza comune, in tantissime realtà e industry, avviare sperimentazioni e ‘progetti pilota’ per percorrere – senza enormi investimenti e limitando i rischi –, la curva di apprendimento che naturalmente ci troviamo tutti ad affrontare”.
L’esperienza sta mostrando come “fa la differenza, il saper passare dai ‘piloti’ all’adozione ‘a scala’ delle soluzioni. La vera complessità non è costruire una soluzione prototipo, anche molto innovativa. La differenza industriale è fatta di tecnologia, architetture scalabili, qualità dei dati, capacità di misurare adozione e impatti, e infine introdurre sistemi di monitoraggio dei risultati con guardrail robusti”.
La direzione da seguire e i risultati concreti
C’è, poi, il terzo passaggio essenziale: l’equilibrio tra sperimentazione e ordine. Perché, fa notare De Mei, “altro elemento importante di esperienza pratica è la capacità, tipicamente manageriale, di gestire con equilibrio la sperimentazione dell’innovazione con la necessità di misurare i risultati concreti”.
La sottile arte di centrare il punto di break-even tra la strategia ‘try and error’ e la sostenibilità economica, il bilanciamento tra innovazione e rischi, “sono elementi che consentono di usare l’intelligenza artificiale non solo per andare più velocemente, ma per definire bene la direzione nella quale muoversi”.







