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Come ottimizzare l’infrastruttura IT con l’AI: il parere dell’esperto



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L’introduzione di sistemi di intelligenza artificiale sta spingendo le imprese a rivedere dati, workflow e tecnologie legacy. Jason Hardy di Hitachi Vantara spiega come i progetti AI diventano spesso un catalizzatore per ottimizzare l’infrastruttura IT con l’AI: migliore governance dei dati, processi più snelli e un ritorno indiretto ma strategico in termini di efficienza

Pubblicato il 12 set 2025



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L’introduzione di strumenti di intelligenza artificiale nelle imprese è spesso raccontata come una corsa alla capacità di calcolo o come un problema di ritorno sugli investimenti. Eppure, come ha spiegato Jason Hardy, Chief technology officer di Hitachi Vantara, intervistato nel podcast AI in Business di Emerj AI Research, i progetti legati all’AI producono un effetto collaterale significativo: costringono le organizzazioni a ottimizzare l’infrastruttura IT con l’AI, rivedendo la qualità dei dati, i sistemi legacy e i processi interni.

Dal “garbage in, garbage out” alla governance dei dati

Uno dei punti chiave sottolineati da Hardy è l’impatto della qualità dei dati. L’avvio di un progetto AI, anche quando non arriva in piena produzione, rivela rapidamente la solidità o le carenze delle basi informative di un’azienda. «In alcuni progetti ci siamo accorti che i set di dati presentavano lacune e risultavano incompleti: in questi casi vale la regola del garbage in, garbage out» ha dichiarato.

Questo fenomeno porta a un esito immediato: la consapevolezza che la governance dei dati non è più un’opzione ma una necessità. Molte imprese scoprono, attraverso i tentativi di applicazione dell’AI, che i loro dataset sono frammentati, incoerenti o non aggiornati. A quel punto, l’unica strada percorribile è intervenire per rafforzare le pipeline, integrare fonti eterogenee e stabilire regole di gestione più rigorose.

In questo senso, l’intelligenza artificiale diventa uno strumento diagnostico che mette in luce criticità invisibili con i metodi tradizionali.

Effetti collaterali positivi sui sistemi legacy

L’AI non agisce soltanto sui dati, ma si riflette anche sull’architettura tecnologica. Hardy ha raccontato come l’implementazione di sistemi intelligenti obblighi spesso le imprese a confrontarsi con limiti strutturali dei sistemi legacy. «Se un’azienda vuole ottenere un determinato risultato con l’AI, deve chiedersi prima di tutto se i dati sono integri e se l’infrastruttura è pronta a sostenerlo» ha osservato.

Questo significa che l’investimento in AI porta inevitabilmente a ristrutturazioni infrastrutturali: server da aggiornare, architetture da modernizzare, processi di integrazione da ripensare. Anche se l’obiettivo iniziale era ottenere output immediati da un algoritmo, il risultato più duraturo è spesso la revisione del patrimonio IT. È un miglioramento che non sempre si traduce in un ritorno diretto, ma che prepara l’organizzazione a essere più efficiente e scalabile nel medio periodo.

Revisione dei workflow e processi aziendali

Gli interventi non riguardano solo i sistemi tecnologici, ma si estendono ai workflow interni. L’adozione di strumenti di AI costringe a ridefinire le modalità con cui i dati vengono raccolti, processati e utilizzati. Secondo Hardy, «ora si capisce meglio i propri dati. Si sa dove bisogna sistemare i propri processi aziendali per ottenere risultati».

È un cambiamento che mette in discussione pratiche consolidate. Procedure manuali, passaggi ridondanti o controlli poco efficaci emergono come ostacoli alla riuscita dei progetti. La revisione dei workflow diventa così un passaggio obbligato, non tanto per aderire a un modello teorico, quanto perché l’AI non può funzionare se la base operativa non è abbastanza solida.

Nuove competenze IT: dal data cleaning alla gestione ibrida

Un ulteriore effetto della diffusione dell’AI riguarda le competenze richieste ai team IT. Hardy ha sottolineato che i progetti di intelligenza artificiale non sono mai soltanto tecnologici, ma coinvolgono anche persone e organizzazioni. È necessario formare profili capaci di occuparsi di data cleaning, di gestione della qualità dei dati e di amministrazione di infrastrutture ibride, in cui cloud e data center coesistono.

Questa evoluzione sposta l’attenzione dalle sole attività operative a una visione più strategica. Gli specialisti IT diventano figure chiave per tradurre obiettivi di business in requisiti tecnologici, bilanciando performance, compliance e sostenibilità. Il risultato è una trasformazione delle competenze che rafforza il ruolo dei team IT all’interno delle imprese.

ROI nascosto e ritorni indiretti

Il tema del ritorno sugli investimenti rimane centrale. Hardy ha chiarito che i progetti di AI non sempre producono un immediato risparmio o un aumento di ricavi. Tuttavia, l’impatto sulla struttura IT e sulla gestione dei dati rappresenta un valore meno evidente ma altrettanto rilevante. «Il ritorno non è necessariamente un risparmio immediato di milioni di dollari, ma può essere la consapevolezza di conoscere davvero i propri dati o di avere sistemi meglio preparati».

Questo tipo di beneficio può sembrare intangibile nel breve periodo, ma diventa un fattore di competitività nel lungo termine. Avere sistemi più snelli, dati affidabili e processi più lineari significa essere pronti a sfruttare nuove opportunità di AI senza dover ripartire da zero. È un ROI che non appare nei report trimestrali, ma che riduce i rischi futuri e apre possibilità di innovazione.

Ottimizzare l’infrastruttura IT con l’AI: incentivare la modernizzazione

Dalle parole di Hardy emerge che i progetti di intelligenza artificiale sono spesso il grilletto che fa scattare un aggiornamento complessivo dell’IT. Anche quando non raggiungono gli obiettivi iniziali, hanno l’effetto di illuminare zone d’ombra, forzare la risoluzione di criticità strutturali e stimolare la crescita di nuove competenze.

L’AI, dunque, non è solo uno strumento di automazione o analisi predittiva, ma un acceleratore di cambiamento che porta le aziende a ottimizzare l’infrastruttura IT con l’AI, rafforzando la capacità di operare in un contesto sempre più guidato dai dati.

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