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AI Optimization, come cambia il posizionamento digitale nell’era dei chatbot intelligenti



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SEO, advertising e modelli linguistici: strategie per emergere nel nuovo ecosistema dell’intelligenza artificiale generativa

Pubblicato il 7 mag 2025

Maurizio Carmignani

Management Consultant, Trainer, Startup Advisor



AI Optimization

Nel mondo digitale, sta avvenendo un cambiamento profondo e strutturale: l’era della ricerca classica cede il passo a una nuova forma di interazione basata sull’intelligenza artificiale generativa. I chatbot come ChatGPT (OpenAI), Claude (Anthropic), Perplexity.ai e ora anche la funzione AI Overview di Google stanno ridefinendo il modo in cui le persone cercano informazioni online. L’utente non digita più una semplice query sperando in un elenco di link, ma riceve risposte sintetiche, generate in linguaggio naturale, che spesso escludono del tutto l’interazione con i siti web esterni.

Questa trasformazione segna anche l’inizio di una nuova disciplina: l’AI Optimization (AIO), cioè l’insieme di strategie e tecniche per migliorare la presenza di un brand all’interno delle risposte generate dai modelli AI.

La corsa all’AIO, dall’indicizzazione all’influenza sul modello

Per anni, l’ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) ha rappresentato un pilastro strategico per la visibilità online, fondandosi su un insieme di pratiche consolidate come la costruzione di link, l’uso mirato di parole chiave e la cura dei metadati. L’emergere dell’AI Optimization (AIO) segna un’evoluzione radicale di questo paradigma. L’obiettivo non è più solo quello di scalare le classifiche dei motori di ricerca tradizionali, ma di interagire attivamente con i modelli linguistici generativi. L’AIO implica la capacità di rendere i propri contenuti non soltanto indicizzabili, ma anche semanticamente rilevanti, contestualmente coerenti e cognitivamente utili per l’intelligenza artificiale.

In altre parole, si tratta di creare asset digitali che i modelli linguistici riconoscano come autorevoli e adatti a essere integrati nelle loro risposte. La posta in gioco è più alta, non basta più essere trovati, bisogna diventare parte integrante del racconto generato dalla macchina, entrando nella sua logica predittiva e nei suoi meccanismi di priorità informativa. In questo nuovo scenario, contenuto e contesto si fondono, l’AIO richiede un linguaggio chiaro, strutturato, ma anche dinamico, capace di rispondere alle domande implicite che l’utente pone all’AI.

Chi riesce a interpretare questo cambiamento non solo aumenta la propria visibilità, ma partecipa attivamente alla ridefinizione della mappa cognitiva con cui milioni di persone accedono alle informazioni ogni giorno.

AI optimization

AI optimization: la nuova ricerca di Google

La nuova funzione di Google, ad esempio, rappresenta una svolta. La ricerca diventa proattiva, predittiva, assistita, ma anche più chiusa e opaca. Le risposte sembrano oggettive, ma sono frutto di sintesi algoritmiche, con il rischio di consolidare visioni maggioritarie, marginalizzare le fonti minori e ridurre la pluralità informativa.

Google non sta a guardare. Il nuovo modello ibrido (tra chatbot e motore classico) permette di restare nella corsa senza cannibalizzare troppo il core business pubblicitario. Il rilascio in Europa, però, è lento, frenato da norme come il GDPR e l’AI Act. L’esperienza completa è al momento riservata agli utenti dei Search Labs (in inglese e in USA).

Case study: Ramp, Indeed, Chivas Brothers

Un numero crescente di brand internazionali ha già compreso il potenziale strategico dell’AI Optimization e si sta muovendo con decisione per adattare la propria presenza digitale a questa nuova grammatica. Queste aziende hanno avviato collaborazioni con startup tecnologiche specializzate nell’analisi dell’interazione tra contenuti web e modelli linguistici generativi, con l’obiettivo di aumentare la probabilità che il proprio nome emerga spontaneamente nelle risposte generate da chatbot come ChatGPT, Claude o Overviews.

Ramp

Il caso di Ramp, fintech statunitense, è emblematico: ha scelto di integrare la propria struttura informativa con formati conversazionali e contenuti ottimizzati per l’interpretazione semantica, al fine di migliorare il riconoscimento da parte dei modelli. Anche Indeed, il motore di ricerca per il lavoro, ha intrapreso un percorso analogo, ripensando API, metadata e interfaccia informativa per aumentare la sua presenza nelle risposte su carriera, curriculum e strategie occupazionali.

Chivas Brothers

Chivas Brothers, storico marchio scozzese del gruppo Pernod Ricard, ha invece puntato sull’allineamento del proprio storytelling con i modelli linguistici, producendo contenuti legati al lifestyle, alle esperienze sensoriali e all’eredità culturale del brand, facilmente riconoscibili dagli LLM.

Brandtech e Profound

In parallelo, aziende come Brandtech e Profound stanno sviluppando strumenti specifici per monitorare la “Share of Model”, ossia la percentuale di visibilità che un marchio ottiene all’interno delle risposte AI rispetto ai concorrenti. Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma: l’analisi non riguarda più il posizionamento nei risultati di ricerca, ma l’incidenza nel discorso generato autonomamente dall’intelligenza artificiale. Attraverso queste piattaforme, le imprese possono non solo misurare l’efficacia delle strategie di AIO, ma anche intervenire in tempo reale sui contenuti e sugli asset digitali per migliorarne la “digeribilità” da parte dei modelli linguistici.

In sintesi, non si tratta più di competere per la prima posizione su Google, ma per un posto stabile nel flusso narrativo generato dall’intelligenza artificiale. Un obiettivo che richiede un cambio di mentalità e una nuova capacità di scrivere, rappresentarsi e posizionarsi non più solo per gli esseri umani, ma per i sistemi intelligenti che mediano sempre più l’accesso alla conoscenza.

AI optimization

Advertising guidata dagli algoritmi: il potere delle piattaforme

Ma l’evoluzione dell’AI non riguarda solo la ricerca: sta trasformando radicalmente anche il mondo della pubblicità digitale. L’adozione di strumenti come Performance Max di Google e Advantage+ di Meta sta portando a una automazione estrema delle campagne pubblicitarie. Nel nuovo ecosistema dell’advertising digitale, il ruolo dell’essere umano si sta spostando da progettista attivo a supervisore passivo. I marketer definiscono parametri generali come budget, target di riferimento e obiettivi di conversione, ma una volta impostati questi elementi fondamentali, è l’intelligenza artificiale a prendere il controllo operativo dell’intera campagna.

Gli algoritmi decidono in piena autonomia dove pubblicare l’annuncio, quale pubblico colpire in base ai segnali comportamentali rilevati e, in alcuni casi, addirittura come strutturare il contenuto visivo o testuale più efficace in ciascun contesto.

Questo processo trasforma radicalmente l’interazione tra brand e piattaforme digitali: non è più il professionista del marketing a scegliere i canali e i momenti di esposizione, ma un agente intelligente che opera su scala e velocità inaccessibili al ragionamento umano. Questo modello è in grado di migliorare sensibilmente le metriche di performance tradizionali come il tasso di click (CTR) e il costo per acquisizione (CPA), ma pone serie domande sulla trasparenza e sul controllo. I marketer ricevono risultati sintetici, spesso privi di spiegazioni dettagliate sulle logiche decisionali adottate dall’AI.

Il rischio è quello di affidarsi a sistemi che, seppur efficienti, restano per molti versi opachi, rendendo difficile comprendere quali siano i veri fattori che determinano il successo o il fallimento di una campagna pubblicitaria. Per i grandi brand, questa delega tecnologica rappresenta un paradosso: da un lato consente di ottimizzare rapidamente su larga scala, dall’altro comporta la perdita di controllo sulla narrazione e sulla relazione con il proprio pubblico.

In un contesto dominato da intelligenze artificiali, la capacità di bilanciare automazione ed esperienza umana diventa il nuovo terreno competitivo per il marketing digitale.

AI optimization: una sfida per editori, creatori e brand

Nel nuovo ecosistema digitale dominato dall’intelligenza artificiale generativa, emerge una sfida cruciale per editori, autori e imprese: come mantenere visibilità, rilevanza e riconoscibilità in un contesto dove l’AI rielabora, sintetizza e redistribuisce i contenuti senza necessariamente attribuirli alle fonti originarie. I modelli linguistici, pur capaci di produrre risposte sofisticate e coerenti, operano su una logica di astrazione che tende a cancellare il legame diretto tra informazione e autore, tra dato e contesto.

Questo fenomeno pone una questione identitaria ed economica: l’editoria rischia di diventare un fornitore invisibile di materia prima informativa, i cui contenuti vengono inghiottiti da sistemi che generano valore altrove. Per contrastare questa dinamica, le aziende devono andare oltre la mera produzione di contenuti e imparare a progettarli con una nuova finalità: parlare non solo agli utenti, ma anche ai modelli linguistici stessi. Significa strutturare testi, dati, immagini e riferimenti in modo tale da risultare leggibili, riconoscibili e riutilizzabili per l’intelligenza artificiale, mantenendo al tempo stesso un’identità accessibile e trasparente per il lettore umano.

Lavorare sull’”intelligibilità algoritmica” dei contenuti diventa quindi una nuova competenza editoriale e strategica. Chi saprà padroneggiarla avrà maggiori probabilità di entrare nelle risposte AI, mantenendo traccia della propria presenza e autorevolezza. Chi invece rimarrà ancorato a un approccio comunicativo unidirezionale, rischierà di essere assorbito nell’anonimato di una narrazione algoritmica senza firma.

Secondo un report di Bain & Company, l’80% degli utenti usa oggi risposte generate dall’AI per almeno il 40% delle proprie ricerche. Circa il 60% delle ricerche si conclude senza cliccare alcun link. Questo rappresenta una riduzione fino al 25% del traffico organico verso i siti web.

Conclusioni: verso un nuovo marketing cognitivo

L’AI non è solo una tecnologia. È un interlocutore, un mediatore, un filtro cognitivo. Cambia non solo come cerchiamo o compriamo, ma come pensiamo. Per i brand, questo significa abbandonare il controllo lineare delle parole chiave per entrare in relazioni fluide con i modelli linguistici. L’AI Optimization non è solo un’evoluzione tecnica. È un nuovo modo di abitare la visibilità digitale, dove la rilevanza non dipende più esclusivamente dai motori di ricerca tradizionali, ma dalla capacità di interagire efficacemente con intelligenze artificiali che sintetizzano e selezionano le informazioni secondo logiche proprie. In questo contesto, la visibilità è un processo dinamico e conversazionale, basato su reputazione semantica, coerenza narrativa e riconoscibilità algoritmica.

Le aziende che sapranno riconfigurare il proprio linguaggio, adattare i contenuti e progettare asset digitali compatibili con le aspettative dei modelli AI potranno inserirsi nel flusso cognitivo con cui milioni di utenti accedono quotidianamente all’informazione. Avranno così un vantaggio competitivo strutturale, perché non solo saranno presenti, ma saranno anche ascoltate e considerate rilevanti nei momenti decisivi del processo decisionale degli utenti. Questo potere richiede responsabilità. Non basta inseguire la performance tecnica: occorre farlo mantenendo autenticità, trasparenza e capacità critica.

Solo così sarà possibile costruire una presenza digitale capace di durare nel tempo e di contribuire positivamente al nuovo ecosistema informativo mediato dall’intelligenza artificiale.

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