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Sei punti chiave per aiutare i manager ad avere successo nell’era dell’AI agentica



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Nel corso della rivoluzione tecnologica che sta ridefinendo il lavoro e la leadership, la multinazionale della consulenza di direzione lancia un appello chiaro ai vertici aziendali: serve un “grande ripensamento”. Ecco quali sono le sei fasi operative per attuarlo

Pubblicato il 28 ott 2025

Stefano Casini

giornalista



Sei punti chiave per aiutare i manager ad avere successo nell’era dell’AI agentica

“Con un grande potere, si ha grande responsabilità”. La massima che ama sottolineare Spider-Man, il celebre Uomo Ragno della Marvel Comics, vale non solo nel mondo dei supereroi, ma anche in quello dell’intelligenza artificiale agentica.

Ne sanno qualcosa i manager e CEO di tutto il mondo, che ora si ritrovano per le mani le forti potenzialità di questa tecnologia, ma in molti casi devono ancora mettere bene a fuoco come utilizzarla e svilupparla al meglio. Serve dunque un approccio poco emozionale, molto lucido e strategico. Pensando proprio ai vertici aziendali e ai capitani d’impresa, la multinazionale della consulenza di direzione McKinsey & Company – che quegli ambienti e quelle esigenze le conosce molto bene – ha realizzato ‘The Big Rethink: un programma per prosperare nell’era agentica’.

Il “grande ripensamento

È l’agenda in sei punti per “aiutarli, e aiutare le imprese, ad affrontare le questioni chiave relative all’AI, in particolare quella degli agenti virtuali”. Che non solo supportano il lavoro delle persone, ma agiscono, decidono, creano. Sei capitoli di un grande ripensamento, che non riguarda solo la tecnologia, ma il modo stesso di intendere l’organizzazione, la cultura del lavoro e la creazione di valore.

1. L’AI come collega disruptive

Così come i robot hanno rivoluzionato le fabbriche, l’AI agentica sta riscrivendo le regole del lavoro cognitivo. Le macchine non si limitano più a eseguire istruzioni: possono analizzare, scrivere codice, risolvere problemi complessi, redigere piani di marketing o coordinare un team virtuale.

L’artificial intelligence agentica non è più solo uno strumento: è un collega capace di ragionamento, orchestrazione, creatività. “Tutto ciò impone una revisione radicale dei ruoli umani, dei modelli organizzativi e delle strategie di sviluppo”, rileva il report dei consulenti d’impresa.

Il vero limite “non sarà la tecnologia, ma la capacità delle persone di collaborare efficacemente con gli agenti intelligenti. Le aziende dovranno passare da una logica basata sui ruoli a una centrata sulle competenze, promuovendo l’apprendimento continuo”.

2. I nuovi asset strategici

Quando i costi tecnologici si abbassano e le capacità aumentano, le barriere d’ingresso crollano. Nuove realtà possono competere con giganti consolidati grazie a strumenti sempre più accessibili.

“Con l’abbattimento delle barriere d’ingresso e la democratizzazione delle capacità, risorse come proprietà intellettuale, know-how e competenze distintive rischiano di erodersi rapidamente”, rimarca McKinsey.

La nuova sfida competitiva sarà “proteggere e amplificare ciò che rende unica un’impresa: la qualità dei dati, la cultura interna, la capacità di apprendere e di adattarsi”. E gli elementi umani, inimitabili per definizione. Dati, cultura, tecnologia e capacità organizzative diventano i nuovi asset strategici. Le imprese dovranno proteggere e amplificare ciò che le rende uniche. In un mondo dove anche i clienti avranno i propri agenti AI, la trasparenza e l’equità diventeranno fattori distintivi.

3. Trasformazione radicale

Troppo spesso, le aziende si concentrano sull’AI come strumento per tagliare costi o aumentare la produttività. Ma, avverte McKinsey, il vero potenziale dell’intelligenza agentica non è nell’efficienza, bensì nella ridefinizione del valore.

L’AI agentica non serve solo a fare meglio ciò che già si fa: può trasformare radicalmente il modo in cui si crea valore. Significa usare l’AI per creare nuove forme di innovazione, trasformare l’esperienza del cliente e stimolare l’engagement dei dipendenti.

Le aziende statiche e meno innovative – che si limitano a miglioramenti marginali – rischiano di restare escluse dai benefici più dirompenti. Bisogna pensare a nuovi modelli di business, innovare l’esperienza cliente e ridefinire la proposta di valore. Le domande chiave riguardano l’impatto dell’AI sui comportamenti dei clienti e le opportunità per risolvere problemi finora irrisolvibili.

4. Flussi di lavoro da riprogrammare

C’è un paradosso nell’adozione dell’AI: circa l’80% delle aziende dichiara di utilizzarla, ma la stessa percentuale non rileva impatti significativi sui risultati economici. Il motivo? Troppi progetti pilota disconnessi, troppo pochi cambiamenti sistemici. E un focus eccessivo su strumenti orizzontali come chatbot e copiloti.

Meglio un cambio di rotta: integrare l’AI in pochi domini verticali ad alto valore, ripensando i flussi di lavoro end-to-end. Solo così si potrà passare dalla sperimentazione all’impatto sistemico. Solo così si potrà ottenere un salto di produttività reale e sostenibile.

Ai agentica manager

5. Organizzazioni agentiche più snelle, veloci e fluide

L’AI impone anche una trasformazione strutturale. Le strutture aziendali nate per gestire i knowledge worker tradizionali stanno diventando obsolete. Nell’era dell’intelligenza agentica, le organizzazioni dovranno somigliare più a ecosistemi adattivi che a gerarchie rigide: team trasversali, governance distribuita, decisioni rapide e una costante sperimentazione condivisa.

Le organizzazioni “dovranno diventare più piatte, snelle e orientate agli obiettivi”, anticipano gli analisti, “con squadre cross-funzionali capaci di fondere visione di prodotto e delivery tecnologico. Il nuovo modello è ‘Flatter, thinner, faster, more fluid’ – più piatto, snello, veloce e fluido. Un sistema in cui la velocità degli agenti artificiali e la responsabilità umana si rafforzano a vicenda, invece di ostacolarsi”.

La produttività non sarà più misurata in ore-uomo, ma nella capacità di orchestrare efficacemente agenti intelligenti. La sfida sarà bilanciare velocità e responsabilità, autonomia e controllo.

6. Adattarsi continuamente

Nell’era dell’AI, la conoscenza ha un costo marginale quasi nullo. In un contesto in cui il costo della conoscenza tende a zero, la capacità di apprendere più velocemente dei concorrenti diventa il vero vantaggio competitivo.

Le aziende dovranno sviluppare infrastrutture tecnologiche scalabili e flessibili – reti AI mesh, ambienti multicloud, piattaforme aperte – ma anche, e soprattutto, una cultura della sperimentazione continua. Dovranno costruire una cultura del ‘Test-learn-adapt’, ‘prova-impara-integra’. La sfida è costruire organizzazioni che possano cambiare forma in tempo reale, senza smarrire identità e valori.

Il ruolo dei leader aziendali

L’analisi, in sostanza, oltre a indicare sei fasi e tappe di sviluppo, indica questa direzione: “l’AI non è un progetto da delegare ai reparti IT, ma una sfida da guidare in prima persona. Manager e CEO dovranno sviluppare competenze digitali, sperimentare in prima persona e promuovere trasformazioni end-to-end”.

Il progresso dell’AI non è una scelta, ma un’inevitabilità. La vera domanda è se saremo in grado di guidarlo verso la prosperità collettiva o se ci lasceremo travolgere da esso. Per questo, McKinsey invita i dirigenti a “sporcarsi le mani” con la tecnologia, e dovranno farlo “con una bussola etica ben calibrata, per garantire che il progresso tecnologico generi fiducia e prosperità duratura”.

Superando le narrazioni polarizzate dell’innovazione tecnologica – divise tra entusiasti e catastrofisti –, e concentrandosi su scenari concreti, investimenti mirati e governance responsabile

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