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Cloud, AI e sovranità: la vera chiave è il contesto aziendale



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Nel dibattito tra AI, costi e sovranità del dato, il valore strategico delle architetture cloud non si misura soltanto nella scelta tra modelli pubblici o on-premise, ma nella capacità di adattarsi al contesto di ogni impresa. Michele Paolin (Deloitte) delinea una visione in cui efficienza, scalabilità e flessibilità diventano leve di governance

Pubblicato il 25 nov 2025



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La trasformazione digitale sta ridefinendo i confini della sovranità del dato e della gestione del cloud. L’intelligenza artificiale entra nelle architetture IT come fattore di innovazione, ma anche come forza di perturbazione: impone nuove logiche di integrazione, nuovi costi di governance e una riflessione profonda sul valore reale delle infrastrutture.

Nel corso del convegno “Il Cloud tra AI e sovranità: strategie e politiche industriali per un nuovo ecosistema digitale”, organizzato dall’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, Michele Paolin, partner di Deloitte, ha portato una riflessione che sposta il fuoco dal come al perché del cloud. «Bisogna chiedersi prima di tutto quale architettura serva davvero a un’organizzazione – ha osservato – e questo dipende dal contesto in cui opera, dalle sue prospettive industriali e dal modo in cui il business genera valore dai dati.»

In un panorama in cui la spinta verso il cloud e l’automazione promette efficienza e scalabilità, la sfida non è più solo tecnologica. È una questione di governance, visione e capacità di collegare gli obiettivi economici alla struttura dei sistemi digitali.

Il contesto come variabile strategica

Paolin ha introdotto la questione partendo da un paradosso: la stessa intelligenza artificiale che minaccia di rendere obsolete alcune funzioni analitiche – «la consulenza come analisi del codice è a rischio estinzione», ha ironizzato – può al contrario rendere ancora più decisivo il ruolo umano nel definire il quadro strategico.

Nel suo ragionamento, il punto di partenza è una domanda che ogni impresa dovrebbe porsi prima di scegliere un modello di cloud: “Qual è la mia architettura ideale?”. La risposta, spiega, non può prescindere da quattro parametri fondamentali: sovranità, efficienza, scalabilità e flessibilità.

  • Sovranità, perché i dati sensibili devono essere governati in modo conforme alle policy europee e alle esigenze di sicurezza industriale.
  • Efficienza, intesa come equilibrio tra costi e prestazioni.
  • Scalabilità, per garantire che l’architettura possa crescere in funzione dei carichi futuri e delle evoluzioni di mercato.
  • Flessibilità, perché in un ecosistema dove modelli di AI e LLM cambiano rapidamente, è indispensabile poter riconfigurare risorse e partner tecnologici senza rigidità.

La difficoltà – sottolinea Paolin – è che nessuno di questi criteri ha un valore assoluto. Ogni decisione infrastrutturale deve partire dal contesto aziendale, dal settore industriale di appartenenza, dalle disponibilità di capitale e dal modello operativo. «Se un’azienda automotive si sta muovendo verso l’aerospace e la difesa, la sua architettura cambia completamente,» ha spiegato. «Allo stesso modo, se un’impresa ha accesso a finanziamenti che privilegiano il CAPEX, il suo equilibrio tra on-premise e cloud sarà diverso rispetto a chi lavora in logica OPEX.»

On-premise, pubblico o ibrido: la risposta dipende dal business

Il dibattito sulla sovranità del dato è spesso tradotto in un confronto binario tra cloud pubblico e infrastrutture on-premise. Ma, secondo Paolin, la realtà è più sfumata: «Su dati sensibili, meglio restare on-premise; dove servono performance elevate, il cloud pubblico è più adatto. Ma non esiste una risposta univoca: dipende sempre dal contesto.»

Dietro a questa apparente semplicità si nasconde una riflessione strutturale: non basta decidere dove collocare i dati, bisogna capire perché e a quale scopo.
L’adozione di modelli ibridi – in cui la parte sensibile dei dati resta interna e le componenti di calcolo o di inferenza AI sono gestite su cloud pubblico – sta diventando la soluzione più diffusa. Tuttavia, anche questa scelta richiede una forte capacità di orchestrazione e un’analisi costante delle performance e dei rischi.

Paolin porta esempi concreti per mostrare come le decisioni non possano essere standardizzate: un’impresa manifatturiera capital intensive può preferire investire in infrastrutture proprietarie, mentre una startup o un service provider digitale può scegliere il cloud pubblico per ridurre la complessità operativa.
Il principio rimane costante: nessuna architettura è universale, ma ogni architettura deve essere coerente con la strategia e la traiettoria di crescita dell’azienda.

L’AI come leva, non come sostituto

L’intervento di Paolin ha anche messo in luce un punto cruciale del rapporto tra AI e cloud: l’intelligenza artificiale può supportare la definizione delle architetture, ma non sostituirsi al giudizio strategico.

«Posso dare molto contesto al prompt,» ha osservato, «ma a un certo punto lo human in the loop è indispensabile.» La capacità dell’AI di analizzare grandi volumi di dati, ottimizzare risorse e simulare scenari è indiscutibile. Tuttavia, la valutazione del rischio, l’interpretazione delle priorità e la comprensione degli obiettivi aziendali restano prerogative umane.

La sfida è dunque costruire modelli di co-decisione, in cui la componente algoritmica fornisce insight e alternative, mentre la responsabilità finale resta in mano a chi governa la strategia.

In questa prospettiva, l’AI non riduce il valore della consulenza: ne ridefinisce i confini. Il contributo umano si sposta dalla configurazione tecnica alla curation del contesto, cioè alla capacità di interpretare dati, vincoli e opportunità di business in chiave sistemica.

Dal cloud alle strategie industriali

Sul piano più ampio, la riflessione di Paolin evidenzia come il cloud sovrano non sia soltanto un tema di compliance o di infrastruttura tecnologica, ma una leva di politica industriale.
Nel momento in cui il cloud diventa la piattaforma operativa per l’intelligenza artificiale, la posizione geografica, giuridica e operativa dei dati influenza direttamente la competitività delle imprese e la loro capacità di innovare in modo sostenibile.

Per questo, la sovranità del dato va intesa come equilibrio dinamico tra libertà d’innovazione e responsabilità nella gestione delle informazioni. Le imprese europee sono chiamate a sviluppare modelli architetturali che garantiscano sicurezza, interoperabilità e controllo locale, senza rinunciare alla potenza e alla scalabilità delle soluzioni globali.

Nel quadro delineato da Paolin, il futuro del cloud non si gioca nella contrapposizione tra pubblico e privato, ma nella capacità di modellare ecosistemi adattivi, in cui le scelte tecnologiche riflettono le strategie industriali e gli obiettivi economici di lungo periodo.

Una governance contestuale per il cloud sovrano

L’intervento si chiude con un messaggio di equilibrio: non esiste un modello di cloud perfetto, ma esiste un modello “giusto” per ogni impresa.
Definire quella giusta combinazione tra efficienza, sicurezza e flessibilità richiede oggi più che mai una governance capace di leggere il contesto, anticipare le evoluzioni normative e integrare l’AI come supporto analitico, non come sostituto decisionale.

Il cloud sovrano, in questa prospettiva, diventa un orizzonte comune: una condizione di maturità digitale che consente di conciliare innovazione tecnologica, responsabilità economica e autonomia strategica.

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