L’adozione diffusa dell’intelligenza artificiale nelle imprese sta spingendo le organizzazioni a rafforzare la governance e il risk management dedicati all’AI. Oltre il 70% delle grandi aziende globali considera l’AI strategica per il proprio futuro, riconoscendo al contempo la necessità di sistemi trasparenti, imparziali e corretti.
La maggior parte è ancora agli inizi: in un sondaggio recente, il 73% dei dirigenti riteneva importanti linee guida etiche per l’AI, ma solo il 6% delle aziende ne aveva effettivamente sviluppate. Questo divario evidenzia le sfide nel tradurre la consapevolezza etica in pratiche concrete.
Allo stesso tempo, l’evoluzione del quadro normativo, in primis il Regolamento EU AI Act, introduce obblighi stringenti e sanzioni severe (fino al 7% del fatturato globale) per garantire un uso affidabile dell’AI. Ne consegue che le imprese devono strutturare meccanismi interni capaci di gestire i rischi algoritmici, tutelare la reputazione e assicurare la conformità alle nuove regole.
Analizziamo come stanno emergendo nuove figure e comitati dedicati all’etica dell’AI, come la compliance AI viene integrata nei processi aziendali, e in che modo l’AI Act dell’UE sta ridefinendo le priorità di auditabilità, trasparenza e responsabilità, influenzando perfino la scelta di fornitori e partnership B2B.
Indice degli argomenti:
Nuove strutture di governance per l’AI
Per affrontare i rischi e le implicazioni etiche dell’AI, molte aziende hanno creato ruoli e organismi dedicati. Una tendenza di punta è la nomina di un Chief AI Ethics Officer (CAIEO) o figure analoghe (es. Head of Responsible AI, AI Ethics Lead, Chief Responsible AI Officer) nei vertici aziendali. Il compito di questi dirigenti è di operazionalizzare i principi etici nell’uso dell’AI: essi definiscono policy interne, costruiscono framework di accountability per il CEO e il consiglio di amministrazione, e assicurano che lo sviluppo e l’implementazione dei sistemi AI avvengano in modo affidabile e conforme alle normative emergenti.
In aziende all’avanguardia come IBM, Microsoft, Salesforce o BCG esistono già da tempo simili posizioni, indice di una crescente attenzione alla responsabilità algoritmica. Queste figure non agiscono isolate, ma sono spesso supportate da comitati interdisciplinari: ad esempio, IBM ha istituito un AI Ethics Board interno, composto da dirigenti di diverse funzioni, con la missione di diffondere una cultura dell’AI etica, responsabile e affidabile e di centralizzare la governance e le decisioni su tutte le iniziative AI dell’azienda.
Allo stesso modo, Microsoft già nel 2016 ha creato un comitato denominato Aether che riunisce top manager ed esperti per valutare i progetti AI e fornire linee guida etiche sul loro sviluppo. Questi AI council interni, spesso sponsorizzati direttamente dal top management, garantiscono che ogni unità di business integri le considerazioni etiche nelle proprie applicazioni AI, fungendo da meccanismo di controllo e formazione diffuso.
Rischio strategico anche nei CdA
Anche i consigli di amministrazione iniziano a occuparsi di AI come rischio strategico. Se finora solo una minoranza di imprese ha divulgato formalmente un oversight del board sull’AI, la tendenza è in aumento e spinta da investitori e proxy advisor. Il ruolo del corporate governance è infatti cruciale nel delineare chiaramente responsabilità e ruoli per rispondere alle conseguenze delle decisioni algoritmiche. In settori critici come finanza e sanità, meccanismi di oversight ai massimi livelli aiutano a garantire che l’uso dell’AI sia soggetto agli stessi standard di controllo di altri rischi mission-critical. Nascono così comitati etici consultivi, briefing periodici ai board sui rischi AI, e inclusione di esperti di AI tra gli amministratori, a testimonianza che l’etica algoritmica è ormai tema di governance aziendale e non solo tecnico.
Integrazione della compliance AI nei processi aziendali
Oltre alle strutture organizzative, le aziende stanno incorporando la compliance dell’AI direttamente nei loro processi operativi, dalla progettazione di nuovi prodotti alla gestione dei fornitori.
Il caso Unilever
Un esempio emblematico è Unilever, che ha sviluppato un processo di AI Assurance per valutare sistematicamente ogni nuovo utilizzo di AI. L’idea base è di sottoporre ogni applicazione AI, interna o acquistata da fornitori, a un’analisi del rischio intrinseco, sia in termini di efficacia (performance) sia di etica (bias, impatti sociali).
Nessun sistema intelligente può entrare in produzione senza una preventiva revisione e approvazione da parte di questo processo di compliance AI. Unilever ha integrato tali controlli nei meccanismi già esistenti di compliance (come le valutazioni di privacy, sicurezza delle informazioni e le policy di procurement), in modo che la valutazione etica dell’AI diventi parte naturale del ciclo di vita di ogni progetto.
Nel dettaglio, quando un dipendente Unilever, o un fornitore esterno, propone un nuovo caso d’uso di AI, deve sottoporlo in fase progettuale a un esame interno. I casi più complessi vengono anche valutati da esperti esterni indipendenti, così da identificare potenziali problemi di bias, fairness o efficacia prima ancora dello sviluppo. Dopo la realizzazione, si eseguono test statistici per verificare l’assenza di discriminazioni o criticità di performance; se emergono rischi gravi non mitigabili in linea con i valori aziendali, il progetto AI viene bloccato.
Ogni decisione finale su casi AI ad alto impatto è demandata a un comitato esecutivo senior (comprendente rappresentanti di legale, HR, dati e tecnologia), a sottolineare l’approccio collegiale e multidisciplinare al governo dell’AI. Da notare che Unilever estende tale processo anche alle soluzioni fornite da terze parti: ad esempio, se un’agenzia pubblicitaria usa algoritmi AI per il buying pubblicitario, questi rientrano nell’ambito di verifica etica dell’azienda. Questo approccio olistico garantisce che anche i partner esterni aderiscano agli standard etici di Unilever, e infatti la società si avvale di una partnership con la società specializzata Holistic AI per eseguire audit e valutazioni di rischio indipendenti sui suoi sistemi intelligenti.
Altri casi
Molte altre imprese stanno adottando misure simili. Alcune hanno introdotto checklist e template di valutazione etica da far compilare ai team di progetto: ad esempio, Atlassian ha un modulo standard di Responsible Technology Review che traduce i suoi principi etici in domande pratiche per individuare rischi non intenzionali, mitigazioni previste e possibili gap prima del lancio di un nuovo tool.
Sul fronte della trasparenza, c’è chi fornisce vere e proprie “etichette nutrizionali” per l’AI: la piattaforma Twilio, ad esempio, accompagna i suoi algoritmi con AI Nutrition Facts che spiegano in modo chiaro come sono addestrati e con quali dati, aiutando i clienti a fare scelte informate.
Similmente, si diffondono pratiche come le model card (schede descrittive dei modelli AI) per documentare finalità, set di dati, metriche di accuratezza e bias di ogni algoritmo. Queste iniziative migliorano la fiducia degli stakeholder e facilitano audit esterni.
Un altro tassello chiave è la formazione interna: colossi come Google hanno erogato training sui principi etici AI a decine di migliaia di dipendenti (oltre 32.000 entro il 2022) attraverso corsi, quiz e workshop per diffondere consapevolezza sui bias e la progettazione responsabile. Le imprese più mature stanno incorporando l’etica dell’AI “by design” nei propri workflow, così che ogni fase, dalla raccolta dati, all’addestramento dei modelli, al deployment, sia soggetta a controlli di compliance proattiva anziché a correzioni ex post.
L’impatto dell’EU AI Act
Un fattore determinante che sta accelerando queste trasformazioni è l’arrivo del Regolamento Europeo AI Act. Approvato nel 2024, l’AI Act rappresenta il primo quadro normativo organico sull’intelligenza artificiale al mondo, paragonabile per portata al GDPR ma focalizzato sull’AI. Esso introduce un approccio di governance basato sul rischio, classificando le applicazioni di AI in categorie (dall’inaccettabile, il cui uso è vietato, fino ai sistemi ad alto rischio e quelli di rischio minore) e modulando gli obblighi di conseguenza.
In particolare, le AI ad alto rischio, tipicamente quelle impiegate in ambiti critici per salute, sicurezza o diritti fondamentali (es. sanità, trasporti, istruzione, lavoro, credito), sono soggetti a requisiti stringenti di trasparenza, tracciabilità e controllo umano.
Le aziende che sviluppano o utilizzano tali sistemi dovranno implementare sistemi di gestione del rischio dedicati, documentazione tecnica approfondita, misure di sicurezza e qualità dei dati, e garantire che i loro modelli siano spiegabili e monitorabili durante l’uso. Ad esempio, il regolamento richiede di conservare log dei parametri e delle decisioni per consentire audit a posteriori (auditability), nonché di predisporre interfacce che permettano a supervisori umani di intervenire o disattivare il sistema in caso di malfunzionamenti (concetto di human-in-the-loop per assicurare accountability umana).
AI Act e trasparenza
Sul fronte della trasparenza, l’AI Act impone che gli utenti vengano informati quando interagiscono con un sistema AI (pensiamo ai chatbot o ai deepfake generator) e, nel caso di modelli di AI generativa o General Purpose AI, obbliga i fornitori a divulgare informazioni sul training data utilizzato. In effetti, tra i nuovi requisiti vi è la pubblicazione di un “resoconto dettagliato” dei dataset di addestramento impiegati dai modelli più avanzati.
L’EU AI Office ha già rilasciato un template standard per queste schede dei dati, chiedendo ai provider di indicare origine e natura dei dati (incluse fonti web, copertura geografica e linguistica, criteri di esclusione di contenuti illegali, ecc.). Questo livello di trasparenza, prima facoltativo, diventa ora obbligatorio e uniformato, costringendo le aziende a conoscere a fondo e a documentare la propria pipeline di dati. In parallelo, il regolamento sancisce il principio di responsabilità (accountability), attribuendo precisi doveri sia a chi fornisce sistemi di AI (i produttori, importatori o distributori) sia a chi li utilizza in ambito professionale.
Ogni attore deve garantire che i sistemi siano conformi ai requisiti (ad esempio apponendo la marcatura CE per gli AI ad alto rischio) e monitorarne il funzionamento anche dopo l’immissione sul mercato, segnalando eventuali incidenti o malfunzionamenti alle autorità. In pratica, alle aziende viene richiesto di istituire meccanismi interni di controllo permanente sui propri algoritmi, con chiara assegnazione di responsabilità organizzative per la compliance.
Già oggi alcune imprese stanno allineando i propri framework interni a queste direttive: nel caso Unilever, ad esempio, i parametri di valutazione etica usati nel processo AI Assurance rispecchiano le categorie di rischio delineate dall’AI Act (con l’intenzione di applicare gli standard UE globalmente, similmente a quanto fatto con il GDPR).

Dall’AI Act nuove priorità per le funzioni di risk management dell’AI
L’entrata in vigore dell’AI Act (prevista gradualmente tra il 2025 e il 2026) sta dunque fissando nuove priorità per le funzioni di risk management dell’AI.
- Auditabilità significa che i sistemi devono essere ispezionabili: le aziende investono in soluzioni di logging e tracciamento delle decisioni per consentire verifiche indipendenti. Ad esempio, Orange (telco francese) ha migliorato la diversità di genere nelle assunzioni implementando algoritmi di fair ranking e rigorose procedure di audit sui risultati delle sue AI di recruiting, così da individuare e correggere bias, come richiesto dalla normativa.
- Trasparenza implica non solo informare gli utenti finali, ma anche dotarsi di strumenti interni per spiegare le decisioni algoritmiche (explainable AI): alcune banche in Europa hanno introdotto metriche di interpretabilità nei sistemi di valutazione del credito e tripli controlli sul processo (pre- e post-elaborazione dei dati, oltre a monitoraggi in real-time) per assicurare che le decisioni siano comprensibili e non discriminatorie.
- Responsabilità infine vuol dire che dev’esserci sempre “un umano responsabile”: molte aziende hanno adottato policy secondo cui nessuna decisione ad alto impatto sulla vita delle persone può essere lasciata interamente a una macchina, ma richiede sempre un intervento o una validazione umana. Questo principio, sancito anche in una delle linee guida di Unilever, riflette l’orientamento del legislatore europeo nel voler garantire un ultimo livello di accountability riconducibile a persone identificabili.
In definitiva, l’AI Act sta trasformando la gestione dell’AI da ambito “nice to have” a componente obbligatoria del sistema di controllo interno aziendale. Le imprese che non adegueranno i propri modelli operativi potrebbero incorrere in sanzioni milionarie e danni reputazionali. Al contrario, quelle che anticipano i tempi impostando fin da ora processi di audit, documentazione e governo dell’AI robusti ne trarranno benefici: maggiore fiducia da parte di clienti e regolatori, modelli più equi ed efficaci, e un vantaggio competitivo come fornitori affidabili.
Come sottolineano gli esperti, conformarsi all’etica e alla normativa AI non deve essere visto solo come un onere burocratico, ma può diventare un driver di eccellenza operativa.
In un caso di studio nel settore sanitario, l’implementazione di rigorosi controlli (explainability, crittografia dei dati, audit periodici sulle risposte di un chatbot medico) non solo ha assicurato il rispetto delle regole, ma ha addirittura migliorato la qualità del servizio e la fiducia degli utenti. Segno che innovazione responsabile e performance aziendale possono andare di pari passo.
Impatti sulla scelta di fornitori e partnership B2B
Le crescenti esigenze di governance etica dell’AI influenzano anche l’ecosistema di fornitori e partner tecnologici con cui le aziende collaborano. Nell’era pre-regolamentazione, molte imprese acquistavano soluzioni AI “black box” da vendor esterni senza particolare visibilità sui dati o sugli algoritmi sottostanti. Ora questo sta cambiando radicalmente: in uno scenario normativo complesso, le aziende utenti si rendono conto di dover valutare attentamente i rischi portati dai fornitori di AI e di selezionare partner che offrano garanzie di compliance e trasparenza.
Il Regolamento UE ha portata extraterritoriale, applicandosi a qualsiasi sistema AI che abbia effetti sul mercato europeo, anche se sviluppato da aziende statunitensi o cinesi e di fatto costringe tutta la filiera B2B dell’AI ad allinearsi a standard più elevati. Questo significa che un’azienda europea che adotta un servizio di AI da un provider esterno dovrà assicurarsi che quest’ultimo soddisfi gli obblighi normativi: ad esempio, che sia in grado di fornire la documentazione tecnica richiesta, di implementare misure di mitigazione dei bias e di consentire eventuali ispezioni.
I contratti con fornitori di soluzioni AI includono sempre più spesso clausole sull’etica e la conformità AI, imponendo ai vendor di rispettare codici di condotta specifici o di sottoporsi ad audit indipendenti. In ambito finanziario, alcune banche richiedono ai fornitori di modelli di credito di sottoporre i loro algoritmi a test di fairness e di accettare audit di terza parte, pena l’esclusione dalla gara.
Analogamente, nelle risorse umane, aziende come Orange hanno scelto piattaforme cloud (Google Cloud nel caso citato) che permettessero di integrare algoritmi di controllo della parità di trattamento nei loro sistemi di recruitment. Questa due diligence non è più solo un tema contrattuale, ma parte integrante del risk management di fornitura: l’AI ethics entra nelle procedure di vendor selection accanto a criteri tradizionali come qualità, costo e sicurezza informatica.
La compliance con l’AI Act sta diventando un vantaggio competitivo
Per i fornitori di tecnologie AI ciò si traduce in una chiara spinta a differenziarsi in positivo sul versante etico. Offrire prodotti “AI Act compliant” sta diventando un vantaggio competitivo nelle relazioni B2B: un numero crescente di aziende preferirà partner in grado di dimostrare che i propri modelli sono robusti, auditabili e privi di bias. Chi saprà certificare trasparenza (ad esempio fornendo fact sheet sui dati di training, o funzioni di explainability integrate), chi avrà implementato processi di risk assessment e QA etico interni, sarà percepito come un partner più affidabile e meno rischioso.
Non a caso, molte Big Tech stanno aderendo a codici di condotta volontari e iniziative autoregolatorie per anticipare le richieste dei regolatori e dei clienti: Amazon, Microsoft e OpenAI, ad esempio, hanno sottoscritto il Code of Practice europeo per i modelli di AI generali, impegnandosi pubblicamente a rispettarne le raccomandazioni.
Sebbene volontarie, queste mosse inviano un segnale al mercato B2B: i provider intendono collaborare attivamente per assicurare che le loro soluzioni possano essere utilizzate in contesti regolamentati senza esporre i clienti a sanzioni o scandali. Anche partnership mirate stanno emergendo: ad esempio, col diffondersi di servizi di audit algoritmico esterni, un’azienda può affiancare al proprio fornitore AI una terza parte indipendente (come Holistic AI nel caso di Unilever) per verifiche periodiche, fornendo così un ulteriore livello di garanzia nelle relazioni contrattuali.
La gestione etica dell’AI
In definitiva, la gestione etica dell’AI sta diventando un requisito trasversale che incide su tutta la catena del valore. Da un lato le imprese utenti strutturano consigli etici, ruoli dedicati e processi di audit interno per controllare l’AI “in casa”; dall’altro, pretenderanno pari rigore dai prodotti e servizi AI acquistati all’esterno. Questo riallineamento delle aspettative avrà un doppio effetto positivo: filtrerà dal mercato le offerte di AI non all’altezza degli standard (incentivando i fornitori a migliorare trasparenza e mitigazione dei rischi), e rafforzerà la cooperazione tra aziende e partner tecnologici su principi condivisi di fiducia, sicurezza e rispetto dei diritti.
Come notano gli osservatori, integrare da subito la compliance AI nei modelli di business può trasformare un apparente costo in un vantaggio strategico, migliorando l’equità e la solidità delle soluzioni e al contempo la reputazione di chi le fornisce. In un panorama in cui normative e opinione pubblica convergono nell’esigere un’AI più responsabile, le aziende che strutturano una governance avanzata dell’intelligenza artificiale non solo riducono il rischio di incidenti e sanzioni, ma costruiscono una piattaforma di fiducia che apre le porte a nuove opportunità di innovazione.
Le esperienze citate (da Unilever a Orange, dai progetti pilota in sanità alle banche francesi) dimostrano che regole e innovazione possono coesistere: l’AI, se ben governata, può essere audace e trasformativa senza per questo sacrificare i principi etici e il rispetto dell’umanità che dovrebbe sempre guidare la tecnologia.






