scenari

Lavoratori e intelligenza artificiale: perché l’adozione resta lenta e disomogenea



Indirizzo copiato

L’uso dell’AI cresce ma non in modo uniforme: giovani, ricercatori e team tech sperimentano di più. Per colmare il divario servono leadership attiva, formazione mirata e una revisione dei workflow aziendali

Pubblicato il 1 dic 2025



lavoratori intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro, ma i resoconti su come questo avvenga sono spesso confusi, fuori contesto o utilizzati per sostenere scenari apocalittici poco realistici.
Un esempio è uno studio di Microsoft Research pubblicato nell’estate 2025: analizzava dove l’AI potrebbe aiutare i lavoratori, non dove viene adottata per prima. In molti, però, lo hanno interpretato come una lista dei lavori più minacciati.

Solo di recente i ricercatori hanno raccolto abbastanza dati su chi, e in quali ruoli, stia davvero usando l’AI. Questa nuova ondata di studi mostra che la rivoluzione avanza a macchia di leopardo, più che diffondersi in modo uniforme nelle organizzazioni.

L’AI e il divario fra i lavoratori nelle aziende

In molte aziende, ad esempio, esiste un divario tra coloro che potrebbero trarre i maggiori benefici dall’AI e i lavoratori che effettivamente la stanno adottando.
Si dice spesso che i professionisti più senior – grazie all’esperienza necessaria per porre le domande giuste all’AI e riconoscere quando sbaglia – potrebbero usarla in modo particolarmente efficace. Ma non sono sempre loro a salire per primi sul carro dell’AI.

Workhelix, una startup di consulenza fondata da accademici che studiano l’impatto dell’AI sul lavoro, ha analizzato una grande azienda farmaceutica con oltre 50mila dipendenti. Il team ha scoperto che gli utenti più assidui dell’AI erano, di gran lunga, gli stagisti.

La lezione è semplice, afferma l’amministratore delegato James Milin: la disponibilità a sperimentare, più del ruolo professionale, è il fattore decisivo nel determinare l’adozione dell’AI. L’età è un indicatore imperfetto, aggiunge, poiché alcuni giovani lavoratori sono anti-AI e si impegnano attivamente per ostacolare l’adozione dell’AI nelle aziende.

Gli altri utenti entusiasti nella stessa azienda erano gli scienziati della R&D, cosa prevedibile: per tutta la loro carriera, rimanere competitivi ha sempre significato adottare rapidamente nuove tecnologie.

L’adozione dell’AI non è un problema isolato in una sola azienda: riguarda quasi tutte le organizzazioni, secondo i ricercatori. Ciò implica che, come nelle precedenti ondate tecnologiche, le startup piene di giovani talenti hanno l’opportunità di scalzare gli incumbent più lenti a cambiare.
All’interno delle aziende, le persone che potrebbero ricavare il massimo dall’AI potrebbero essere proprio quelle che necessitano di più incoraggiamento, formazione e guida.


McKinsey: due aziende su tre sono ancora nella fase di piloting

La società di consulenza McKinsey – che a sua volta affronta cambiamenti interni dovuti all’AI – da quasi dieci anni intervista dirigenti sull’adozione dell’intelligenza artificiale. Nell’ultimo report, McKinsey ha rilevato che due aziende su tre sono ancora nella fase di piloting. E solo una su venti può essere definita “high performer”, ovvero profondamente integrata con l’AI e capace di ricavarne più del 5% dei profitti.

Questa adozione lenta evidenzia una sfida cruciale: ottenere che i lavoratori utilizzino l’AI è difficile anche dopo che l’azienda ha investito per offrire accesso a tutti, spiega Michael Chui, senior fellow di McKinsey e coautore del report.

Il vero collo di bottiglia è che l’adozione dell’AI richiede modifiche ai workflow, che solitamente coinvolgono più persone.

Come hanno scritto due accademici sul MIT Sloan Management Review, “Il vero ostacolo all’automazione non è la capacità grezza della tecnologia, ma un insieme di vincoli umani, legali e culturali”.

Solow’s Paradox torna d’attualità

Il fenomeno non è nuovo: è un altro esempio di ciò che l’economista Robert Solow descrisse nel 1987, il cosiddetto Solow’s Paradox. All’epoca, studiando l’impatto dei computer sulla produttività, Solow notò che – nonostante gli enormi investimenti – le aziende non diventavano più produttive.

Anni dopo, l’impatto della tecnologia informatica iniziò finalmente a comparire nei dati. Si scoprì che dare alle persone nuovi strumenti non basta: anzi, può inizialmente rallentarle.
Serve tempo affinché i processi aziendali vengano riorganizzati intorno alle nuove tecnologie.

Oggi la stessa dinamica si ripete con l’AI. E, come in passato, l’adozione richiede cambiamenti organizzativi profondi che non possono essere lasciati solo ai dipendenti. La leadership ha un ruolo decisivo.


Quando la leadership accelera davvero l’adozione dell’AI

Un esempio chiaro arriva da LogicMonitor. L’azienda, fondata nel 2007 e specializzata in software per monitorare i sistemi IT, ha deciso di puntare tutto sulla generative AI.
Il primo passo è stato offrire accesso aziendale a ChatGPT Enterprise e, soprattutto, una direttiva del top management che invitava tutti a sperimentare.

Il risultato? Il 96% dei dipendenti utilizza l’AI almeno occasionalmente. I team – dalle vendite al legale, fino all’ingegneria – hanno creato oltre 1.600 chatbot personalizzati per attività quotidiane: preparare call commerciali, redigere contratti, generare documentazione.

I dirigenti senior hanno creato un chatbot ogni otto sviluppati, racconta Alyene Schneidewind, chief performance officer di LogicMonitor. “Mi piace che ci sia un forte uso dall’alto verso il basso”, afferma.

Quando Workhelix ha analizzato chi adottava davvero l’AI in azienda, ha scoperto che il gruppo più attivo era composto da giovani ingegneri con sede in India.
Sulla base di questi dati, LogicMonitor intende ora incentivare gli ingegneri senior statunitensi a incrementare il proprio uso dell’AI.


I lavori più esposti e quelli che adottano più lentamente

Secondo lo studio di Microsoft Research, i lavori più adatti all’AI sono quelli basati su ricerca e scrittura. Molti professionisti di questi settori stanno già sperimentando cambiamenti e perdita di ruoli.
Eppure, paradossalmente, proprio alcuni dei campi con maggiore potenziale – come gli storici – sono anche quelli in cui l’adozione dell’AI è più lenta.

Dopo la pubblicazione dello studio, gli autori hanno chiarito che non voleva essere una previsione sui posti di lavoro destinati a scomparire, ma un’analisi di chi potrebbe trovare l’AI più utile.


Chi adotterà davvero l’AI?

La maggior parte dei lavoratori, in quasi tutte le professioni, ha appena iniziato ad adottare l’AI.
Gli utenti più assidui sono i lavoratori nelle prime fasi di carriera, meno legati a routine consolidate e più motivati a usare l’AI per dimostrare valore ai superiori o distinguersi nel mercato del lavoro.



guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati