Grandi numeri e velocità di diffusione mai visti prima, nello sviluppo delle tecnologie. L’intelligenza artificiale rivolta a un pubblico di massa – che ha avuto la sua partenza in grande stile nel novembre 2022 con il lancio globale di ChatGPT – in soli 3 anni ha raggiunto quota 1,2 miliardi di utenti nel mondo.
Conquista quindi lo scettro di tecnologia che si diffonde più rapidamente nella storia umana, con un ritmo di adozione superiore a quello di internet, dei personal computer e degli smartphone.
In questa corsa, come si posiziona l’Italia? A certificare lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale nel mondo è il primo ‘AI Diffusion Report’ realizzato da Microsoft. Uno studio globale sviluppato dal Microsoft AI for Good Lab, che analizza dove l’AI viene maggiormente utilizzata, sviluppata e costruita. Il Belpaese fa registrare un tasso di diffusione dell’AI del 25,8% tra la popolazione in età lavorativa.
Questo risultato colloca il nostro Paese leggermente al di sopra della media del Nord Globale (pari al 23%), e in una posizione simile a quella di altre grandi economie come gli Stati Uniti (26,3%) e la Germania (26,5%). Ma risulta inferiore rispetto al contesto europeo e a Paesi come Francia (40,9%), Spagna (39,7%) e Regno Unito (36,4%). Nella classifica mondiale l’Italia è al 26esimo posto.

Dietro questi numeri, tra record di velocità e ritardi, si nasconde una realtà molto complessa, fatta di divari economici, infrastrutturali e linguistici, che rischiano di ampliare le disuguaglianze globali.
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Il primo AI Diffusion Report di Microsoft

L’AI Diffusion Report “si basa sull’analisi di dati telemetrici aggregati e anonimi provenienti da oltre un miliardo di dispositivi, integrati con dati di terze parti, per fornire una stima solida e coerente della diffusione reale dell’intelligenza artificiale a livello globale”, rimarcano dal Microsoft AI for Good Lab.
Forte divario nell’adozione
Tra le varie evidenze e tendenze, emerge innanzitutto un forte divario nella diffusione dell’artificial intelligence: applicazioni e benefici non si stanno distribuendo in modo uniforme a livello globale. L’AI sta rapidamente trasformando il Pianeta, ma lo sta facendo con grandi differenze tra diversi Paesi e aree geografiche.

L’adozione di questa tecnologia disruptive nel Nord del mondo è quasi il doppio (23%) di quella nel Sud del mondo (13%).
Questo gap è strettamente correlato al PIL pro capite e all’accesso a quelle che il report definisce le fondamenta dell’AI: elettricità, internet, data center, competenze digitali e lingua. La soglia critica sembra essere, innanzitutto, un PIL pro capite di circa 20mila dollari: al di sotto di questo valore, l’adozione cala drasticamente.
Guida chi ha tecnologie e competenze
I tassi più alti di adozione si riscontrano in Paesi come Emirati Arabi Uniti (59,4% della popolazione in età lavorativa), Singapore (58,6%), Norvegia (45,3%) e Irlanda (41,7%). Questi numeri indicano che una forte infrastruttura tecnologica di base e una buona diffusione delle competenze digitali possono guidare una rapida adozione.

Singapore, ad esempio, ha costruito la propria leadership sull’AI grazie a decenni di investimenti in infrastrutture digitali e formazione. A partire dagli anni ’80, il governo ha promosso l’accesso a Internet e ai computer nelle scuole, rafforzando nel tempo l’educazione Stem e le collaborazioni tra università, industria e istituzioni pubbliche.
Il caso Corea del Sud: imparare ad adottare
Un altro esempio emblematico di come l’adozione tecnologica possa trasformare un Paese è quello della Corea del Sud. Negli Anni ’60, il suo PIL pro capite era basso e simile a quello delle Filippine. Ma grazie a una strategia mirata di adozione tecnologica – a partire dai semiconduttori – e a una forte collaborazione tra pubblico e privato, la Corea ha costruito un’economia avanzata, diventando leader nella produzione di chip e, oggi, anche nell’AI.
Il messaggio è chiaro: non serve necessariamente inventare una tecnologia per beneficiarne su larga scala. Adottarla in modo intelligente può essere altrettanto trasformativo.
Tre pilastri per crescere
In molte nazioni dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale, invece, il tasso di adozione resta sotto il 10%. Il motivo? L’AI si fonda su tre pilastri:
- elettricità,
- connettività
- capacità di calcolo.

Dove questi elementi mancano, l’adozione rallenta. A livello globale, circa quattro miliardi di persone – la metà della popolazione mondiale – non hanno ancora accesso alle condizioni minime per utilizzare l’AI.
Chi costruisce e sviluppa l’AI?
Secondo l’analisi del mondo AI fatta da Microsoft, sono innanzitutto tre le forze che guidano l’avanzamento di ogni tecnologia trasformativa:
- i frontier builders, vale a dire i pionieri che espandono i limiti dell’AI;
- gli infrastructure builders, gli ingegneri e le aziende che forniscono la capacità di calcolo e la connettività;
- gli users, cioè individui, aziende e governi che applicano la tecnologia.
Solo quando queste tre forze evolvono insieme il progresso può davvero accelerare.
Oggi, solo sette Paesi – Stati Uniti, Cina, Corea del Sud, Francia, Regno Unito, Canada e Israele – ospitano e gestiscono modelli di AI di livello “frontier”, quelli più evoluti e all’avanguardia.

Gli Stati Uniti guidano la classifica con GPT-5, ma la distanza con la Cina si è ridotta a meno di sei mesi per l’innovazione dei sistemi. Israele, settimo in questa classifica mondiale, è distante solo 11 mesi di sviluppo dal modello più avanzato. Questo indica che, almeno tra i Paesi più forti, la corsa all’AI è serrata e in accelerazione.
Concentrazione delle infrastrutture
La potenza dell’AI non risiede solo nei modelli, ma anche nei data center che li alimentano. E qui il divario è ancora più marcato: Stati Uniti e Cina da soli ospitano l’86% della capacità globale di calcolo, misurata in gigawatt di consumo energetico dei data center.
L’Europa segue a distanza, mentre l’Africa, l’America Latina e gran parte dell’Asia meridionale restano ai margini. L’infrastruttura di base necessaria per fare sviluppare e correre l’AI rimane così fortemente concentrata. E, non a caso, Usa e Cina sono anche i due Paesi leader per numero e performance dei modelli di AI.

La vicinanza fisica ai data center è cruciale: riduce la latenza, migliora l’esperienza utente e consente di rispettare le normative locali sulla gestione dei dati. Non sorprende, quindi, che i Paesi con maggiore capacità infrastrutturale siano anche quelli con i tassi di adozione più alti.

Un’altra chiave di volta: le competenze digitali
Ma l’infrastruttura da sola non basta. Per usare l’AI servono competenze digitali. Secondo il report, 4,2 miliardi di persone nel mondo possiedono almeno le competenze digitali di base, come navigare online o valutare l’affidabilità delle informazioni. Tuttavia, per sfruttare appieno l’AI servono abilità più avanzate: comprendere come funzionano gli algoritmi, come applicarli nel lavoro quotidiano e come usarli in modo critico e creativo.
Tutto ciò implica un enorme sforzo di formazione e aggiornamento professionale. L’AI non sostituirà tutti i lavori, ma cambierà profondamente le competenze richieste. Chi saprà adattarsi potrà accedere a nuove opportunità; chi resterà indietro rischia l’esclusione.
Il freno delle barriere linguistiche
Tra gli altri freni principali, oltre alle motivazioni economiche e tecnologiche, c’è innanzitutto anche la barriera linguistica.
La lingua è e resta un fattore determinante. Metà dei contenuti del web, il dataset principale per l’addestramento dell’AI, è in inglese, una lingua parlata nativamente solo dal 5% della popolazione mondiale.

Molti modelli sono addestrati principalmente su lingue ad alta diffusione come, oltre all’inglese, il cinese o lo spagnolo, lasciando però indietro miliardi di persone. Ciò crea una barriera sistemica all’accesso e a una diffusione più omogenea e capillare.
Obiettivo: migliorare la vita delle persone
L’AI è una tecnologia generalista, come l’elettricità o Internet. Il suo impatto dipenderà non solo da chi la sviluppa, ma da chi la usa e da come viene usata. Per evitare che diventi un acceleratore di disuguaglianze, servono politiche pubbliche lungimiranti, investimenti in infrastrutture e formazione, e un impegno globale per rendere l’AI accessibile, inclusiva e utile per tutti.
Come rimarca il report di Microsoft, il valore dell’intelligenza artificiale “non si misurerà dal numero di modelli prodotti, ma da quanto saprà migliorare la vita delle persone”. E questa è una sfida che riguarda tutti. Ancora di più i giovani e le nuove generazioni.







