Studio ambrosetti

Aumenti di produttività fino al 18,2% del PIL con l’adozione dell’AI



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Secondo il rapporto “AI 4 Work: Verso un manifesto per l’Intelligenza Artificiale e il lavoro in Italia”, persistono sfide come il gap nelle competenze digitali e la necessità di upskilling, anche se il 100% delle aziende intervistate ha già adottato o prevede di adottare soluzioni di AI Generativa nel prossimo futuro, rispetto al 78% del 2024

Pubblicato il 27 gen 2025



intelligenza artificiale

Secondo lo studio “AI 4 Work: Verso un manifesto per l’Intelligenza Artificiale e il lavoro in Italia”, condotto da The European House – Ambrosetti, l’adozione diffusa dell’AI potrebbe generare un aumento di produttività pari al 18,2% del PIL italiano, corrispondente a 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo.

AI 4 Work

Questo incremento si tradurrebbe in due scenari possibili: nel migliore dei casi, la creazione di 4,2 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre nello scenario peggiore una riduzione di 3,2 milioni di posizioni. È interessante notare come, anche nello scenario più negativo, l’impatto dell’AI risulterebbe comunque inferiore al gap occupazionale di 3,7 milioni di lavoratori previsto entro il 2040 a causa del trend demografico negativo.

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Tutte le aziende intervistate hanno già adottato o prevedono di adottare soluzioni di AI generativa

L’analisi di circa 500mila annunci di lavoro su LinkedIn ha rivelato che già il 6,16% delle posizioni aperte richiede esplicitamente competenze legate all’AI, con picchi del 12% registrati ad agosto 2024. Questi dati evidenziano come l’AI stia rapidamente penetrando nel tessuto produttivo italiano, con il 100% delle aziende intervistate che ha già adottato o prevede di adottare soluzioni di AI Generativa nel prossimo futuro, in netto aumento rispetto al 78% dell’anno precedente.

Gli effetti sulla produttività sono già tangibili: il 47% delle imprese riporta aumenti superiori al 5%, mentre il 74% ha registrato incrementi oltre l’1%. Considerando che la crescita complessiva della produttività italiana negli ultimi due decenni è stata dell’1,6%, questi numeri assumono un’importanza ancora maggiore.

Le proiezioni per il futuro sono ancora più ottimistiche, con un’azienda su due che prevede un aumento di produttività superiore al 10% nei prossimi due anni.

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Scenari e proiezioni: l’AI come motore di crescita economica

L’intelligenza artificiale si sta delineando come un potente motore di crescita economica per l’Italia, con potenziali impatti trasformativi su diversi settori chiave. Lo studio “AI 4 Work” ha elaborato proiezioni che dipingono uno scenario di forte espansione economica guidata dall’AI. In particolare, si stima che le PMI italiane potrebbero beneficiare di un incremento di 122 miliardi di euro in valore aggiunto, dimostrando che le opportunità offerte dall’AI non sono appannaggio esclusivo delle grandi imprese.

Un aspetto particolarmente rilevante riguarda l’impatto previsto sul Made in Italy, uno dei pilastri dell’economia nazionale. Le proiezioni indicano che l’AI Generativa potrebbe portare a un aumento dei margini di esportazione fino a 121 miliardi di euro, corrispondente al 19,5% dei ricavi totali dell’export manifatturiero italiano. Settori di punta come l’ingegneria meccanica e la farmaceutica potrebbero vedere espansioni sostanziali dei margini, con incrementi rispettivamente di 20 miliardi e 13 miliardi di euro. Questi dati sottolineano il ruolo cruciale che l’AI Generativa potrebbe giocare nel rafforzare la posizione economica globale dell’Italia.

L’analisi settoriale rivela che i guadagni in termini di produttività generati dall’adozione dell’AI variano significativamente tra i diversi comparti economici. Le attività finanziarie, il settore ICT e il real estate mostrano i potenziali incrementi più elevati, con aumenti di produttività stimati rispettivamente del 26,7%, 25,2% e 24,4%.

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D’altra parte, settori come l’agricoltura, l’estrazione e il settore idrico presentano incrementi più contenuti, compresi tra il 13% e il 17%. A livello di categorie professionali, l’impatto maggiore si prevede per ruoli impiegatizi e tecnici nel settore dei servizi, con aumenti di produttività fino al 27,6% per tecnici del settore finanziario. Al contrario, le occupazioni meno impattate risultano essere quelle operaie e del settore primario ed estrattivo, con incrementi di produttività inferiori al 3%.

Competenze digitali e AI: il gap da colmare in Italia

L’Italia si trova ad affrontare una sfida significativa nel campo delle competenze digitali e dell’intelligenza artificiale, con un gap considerevole rispetto ad altri paesi europei. Secondo i dati del Digital Economy and Society Index (DESI) 2022, l’Italia si posiziona al 25° posto su 27 paesi UE per competenze digitali di base della popolazione. Meno di un adulto su due in Italia è alfabetizzato digitalmente, con circa 15 milioni di adulti da formare entro il 2030 per raggiungere l’obiettivo dell’80% della popolazione con competenze digitali di base fissato dal Digital Compass europeo.

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Il divario è particolarmente evidente nelle competenze digitali avanzate: l’Italia è ultima in Europa per numero di laureati ICT, con meno di 1 studente in discipline ICT ogni 1.000 abitanti.

Questo ritardo si riflette anche nel mercato del lavoro, dove la quota di esperti ICT occupati in Italia (4,1%) è la più bassa tra le prime 10 economie europee, ben al di sotto della media UE del 4,8%. Il problema dello skill mismatch è particolarmente acuto, con un lavoratore su tre in Italia che non possiede le competenze richieste dal mercato. Questo divario di competenze rischia di frenare l’adozione e lo sfruttamento efficace dell’AI nel tessuto produttivo italiano.

Lo studio “AI 4 Work” evidenzia come le aziende italiane stiano già sperimentando difficoltà nel reperire profili con competenze adeguate in ambito AI. Per colmare questo gap, è necessario un approccio su più fronti: da un lato, accelerare la formazione delle competenze digitali di base della popolazione italiana, dall’altro, creare partnership pubblico-private per il reskilling e l’upskilling dei lavoratori a rischio di automazione.

È inoltre fondamentale promuovere l’inserimento di insegnamenti AI-based all’interno di tutti i corsi di laurea nelle università italiane, non limitandosi ai soli corsi STEM. La sfida delle competenze digitali e AI si intreccia con quella della parità di genere: in Italia, solo il 16% dei lavoratori ICT è donna, un dato che sottolinea la necessità di politiche mirate per incentivare la partecipazione femminile in questi settori cruciali per il futuro.

L’Osservatorio permanente: monitorare gli effetti dell’AI sul lavoro

La rapida evoluzione dell’intelligenza artificiale e il suo impatto pervasivo sul mercato del lavoro richiedono un monitoraggio costante e approfondito. In questo contesto, la proposta di istituire un Osservatorio permanente sull’AI e il lavoro in Italia emerge come una necessità strategica.

Secondo le raccomandazioni dello studio “AI 4 Work”, l’Osservatorio dovrebbe fungere da piattaforma permanente operante secondo la logica di un think tank, dedicato allo studio e al monitoraggio degli impatti dell’AI sul mondo del lavoro. L’obiettivo principale sarebbe quello di fornire una comprensione dettagliata e aggiornata delle trasformazioni in atto, supportando così decisioni informate da parte di policy maker, imprese e parti sociali.

Una delle funzioni chiave dell’Osservatorio sarebbe la creazione e il mantenimento di un database aggiornato che raccolga dati sull’esposizione all’AI delle persone per fasce d’età, dei territori per rischio occupazionale, dei settori economici e delle imprese per dimensione e grado di digitalizzazione. Questo strumento permetterebbe di mappare in tempo reale l’evoluzione dell’adozione dell’AI nel tessuto produttivo italiano, identificando tempestivamente trend emergenti, opportunità e potenziali criticità. L’Osservatorio si configurerebbe come un hub di confronto multistakeholder permanente, mettendo a sistema policy maker, parti sociali e sindacati, imprese, università e centri di ricerca. Questa sinergia tra diversi attori permetterebbe di elaborare analisi più complete e proposte più efficaci per gestire la transizione verso un’economia sempre più basata sull’AI.

Tra i compiti dell’Osservatorio potrebbe rientrare anche l’elaborazione di scenari previsionali sull’impatto dell’AI sui diversi settori economici e professionali, fornendo così alle imprese e ai lavoratori strumenti per anticipare e adattarsi ai cambiamenti. Inoltre, l’Osservatorio potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel monitorare l’efficacia delle politiche pubbliche in materia di AI e lavoro, fornendo feedback e raccomandazioni per eventuali aggiustamenti. La creazione di un simile organismo rappresenterebbe un passo importante verso una gestione proattiva e informata della rivoluzione dell’AI nel mercato del lavoro italiano, contribuendo a massimizzarne i benefici e a mitigarne i potenziali rischi.

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Human in the loop: il ruolo cruciale dell’essere umano nell’era dell’AI

Il principio “human in the loop” emerge come un elemento fondamentale per garantire un’integrazione etica e responsabile dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Questo approccio, che valorizza il ruolo attivo dell’essere umano nei processi decisionali gestiti dall’AI, si sta affermando come una best practice a livello internazionale, come evidenziato dallo studio “AI 4 Work”.

L’implementazione dello “human in the loop” si traduce nella necessità di definire linee guida applicabili in tutti i settori che prevedano la supervisione umana obbligatoria nei processi decisionali gestiti dall’AI.

Questo allineamento con i principi dell’AI Act dell’Unione Europea e dell’Hiroshima AI Process dei Paesi G7 sottolinea l’importanza di un approccio armonizzato a livello internazionale. La supervisione umana non si limita a un mero controllo finale, ma implica un coinvolgimento attivo in tutte le fasi di sviluppo, implementazione e utilizzo dei sistemi di AI. Questo approccio mira a garantire che le decisioni critiche non siano delegate interamente agli algoritmi, preservando l’elemento di giudizio umano, particolarmente cruciale in situazioni complesse o eticamente sensibili.

Un aspetto innovativo proposto dallo studio è la valorizzazione del ruolo attivo dei lavoratori nei processi di supervisione dell’AI. Si suggerisce di stimolare le parti sociali a prevedere meccanismi di rappresentanza dei lavoratori in tutte le fasi di supervisione, dalla progettazione all’implementazione dei sistemi di AI. Questo non solo garantirebbe una maggiore trasparenza e accountability, ma potrebbe anche contribuire a mitigare le preoccupazioni dei lavoratori riguardo all’impatto dell’AI sui loro ruoli.

L’adozione del principio “human in the loop” comporta anche sfide significative in termini di formazione e aggiornamento delle competenze. I lavoratori coinvolti nella supervisione dei sistemi di AI devono essere adeguatamente preparati per comprendere e interagire efficacemente con queste tecnologie.

Ciò richiede un investimento continuo in programmi di formazione e upskilling, con un focus particolare sulle competenze di analisi critica, problem-solving e decision-making in contesti ad alta intensità tecnologica. In ultima analisi, lo “human in the loop” non è solo una salvaguardia tecnica, ma un principio etico che pone l’essere umano al centro della rivoluzione dell’AI, assicurando che la tecnologia rimanga uno strumento al servizio dell’uomo e non viceversa.

Upskilling e reskilling: strategie per adattarsi al cambiamento tecnologico

Lo studio “AI 4 Work” evidenzia come l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori di oggi e di domani sia fondamentale per rispondere alle nuove sfide nella gestione dell’AI e nella mitigazione dei rischi nel mondo del lavoro. La ricerca ha rilevato che il 6,16% degli annunci di lavoro su LinkedIn richiede già esplicitamente competenze legate all’AI, con picchi del 12% in alcuni periodi, sottolineando l’urgenza di interventi mirati. Le strategie di upskilling e reskilling devono operare su più livelli.

In primo luogo, è necessario accelerare la formazione delle competenze digitali di base della popolazione italiana. Con meno di un adulto su due alfabetizzato digitalmente, colmare questo gap è essenziale per creare una base solida su cui costruire competenze più avanzate. Parallelamente, è fondamentale creare partnership pubblico-private per il reskilling e l’upskilling dei lavoratori a rischio di automazione. Queste collaborazioni potrebbero facilitare la transizione di lavoratori da settori in declino a quelli in crescita, sfruttando le opportunità create dall’AI.

Un’attenzione particolare deve essere rivolta alla promozione di programmi di formazione continua, che permettano ai lavoratori di aggiornare costantemente le proprie competenze in un contesto tecnologico in rapida evoluzione.

Lo studio raccomanda anche di promuovere l’inserimento di insegnamenti AI-based all’interno di tutti i corsi di laurea nelle università italiane, non limitandosi ai soli corsi STEM. Questo approccio interdisciplinare potrebbe contribuire a diffondere una comprensione più ampia delle potenzialità e delle implicazioni dell’AI in diversi campi professionali.

Per rendere efficaci queste strategie, è essenziale un approccio personalizzato che tenga conto delle diverse esigenze dei lavoratori in base all’età, al settore di appartenenza e al livello di competenze esistenti. Ad esempio, per i lavoratori più anziani potrebbero essere necessari programmi specifici che partano dalle loro esperienze e competenze consolidate per integrarle con le nuove tecnologie.

Per i giovani, invece, potrebbe essere più rilevante un focus sulle competenze emergenti e sulle tecnologie di frontiera. Il successo di queste iniziative richiede un impegno congiunto da parte di istituzioni, imprese e lavoratori stessi. Le aziende, in particolare, dovrebbero vedere l’investimento in upskilling e reskilling non come un costo, ma come un investimento strategico per mantenere la propria competitività in un mercato sempre più guidato dall’AI.

Allo stesso tempo, le politiche pubbliche dovrebbero incentivare e supportare questi sforzi, ad esempio attraverso crediti d’imposta per la formazione o programmi di finanziamento mirati.

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