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AI readiness: la roadmap per preparare team e strategie aziendali



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Costruire l’AI readiness significa preparare team e processi con azioni mirate nel breve, medio e lungo termine per integrare l’intelligenza artificiale. Parla Jake Bird, direttore di JI Marketing

Pubblicato il 3 ott 2025



Ai readiness

L’adozione dell’intelligenza artificiale non è un processo istantaneo, ma un percorso di trasformazione che richiede consapevolezza, formazione e pianificazione. L’AI readiness non si esaurisce nell’introduzione di strumenti, ma passa dalla preparazione dei team fino allo sviluppo di soluzioni proprietarie.

Nel podcast B2B Marketing, Jake Bird, direttore di JI Marketing, ha delineato una vera e propria roadmap per le imprese che intendono sfruttare il potenziale dell’AI senza cadere nell’illusione delle scorciatoie.

Jake Bird è attualmente direttore presso JI Marketing; vanta un’esperienza maturata in precedenti ruoli presso Sphere, Seeblue e Seeblue Marketing. Bird ha conseguito una laurea in Scienze (BSc) in Geografia (Umana) presso l’Università di Cardiff / Prifysgol Caerdydd nel 2013-2016.

Il primo passo: costruire competenze diffuse

Jake Bird

Secondo Bird, l’azione prioritaria riguarda la crescita delle competenze all’interno delle organizzazioni. «Quello a breve termine, ed è ciò che consiglio alla maggior parte delle aziende, è concentrarsi prima sul proprio team. È solo una vittoria rapida», spiega. Formare i dipendenti sull’uso di tre o quattro strumenti di base e sulle tecniche di prompting consente di ottenere benefici immediati.

Il risultato è duplice: da un lato, le attività amministrative e operative diventano più rapide; dall’altro, i professionisti hanno più tempo per ideare nuove soluzioni. Bird sottolinea come anche un semplice risparmio del 20% del tempo settimanale si trasformi in un effetto moltiplicatore che coinvolge l’intera azienda. Questo primo step è dunque il fondamento dell’AI readiness, perché mette le persone nella condizione di sperimentare e individuare nuovi casi d’uso.

La fase intermedia: workflow e agenti interni

Una volta creato un nucleo di competenze diffuse, la sfida si sposta sul piano organizzativo. Bird descrive questa fase come la costruzione di workflow e agenti interni che automatizzino compiti semplici e ripetitivi. L’idea non è sostituire i professionisti, ma liberarli da attività a basso valore aggiunto.

«Quali sono gli strumenti che creerai, i flussi di lavoro, gli agenti che sono interni e che ti aiuteranno a fare le cose meglio e più velocemente?», si domanda Bird durante l’intervista. L’obiettivo è ridurre la frammentazione, integrare i dati e rendere scalabili processi che oggi richiedono ancora un notevole dispendio di tempo umano.

La AI readiness in questa fase si misura dalla capacità di strutturare i processi in modo che l’intelligenza artificiale diventi parte integrante del funzionamento quotidiano, senza ridursi a un insieme di strumenti isolati.

Lungo termine: sviluppi proprietari e prototipazione

Il terzo step della roadmap riguarda il lungo termine e coinvolge lo sviluppo di soluzioni proprietarie. Bird invita le imprese a sfruttare le potenzialità della prototipazione rapida: «Puoi avere idee interessanti come azienda e pensare che questa sia una cosa che useremo internamente. Questo diventa parte del nostro servizio gestito o delle nostre informazioni proprietarie su come facciamo le cose».

Costruire prototipi significa testare ipotesi, verificarne la scalabilità e valutare la possibilità di trasformarle in prodotti o servizi da offrire ai clienti. In questa prospettiva, l’AI readiness non è più soltanto una questione di efficienza interna, ma diventa anche un fattore di innovazione e di differenziazione competitiva.

Bird sottolinea l’importanza di questa fase come punto di incontro tra sperimentazione e consolidamento: i prototipi offrono una prova di concetto prima di coinvolgere sviluppatori e risorse su progetti più complessi.

Prepararsi al successo: l’AI come sistema da orchestrare

Dall’intervista emerge un concetto fondamentale: l’AI, per funzionare, ha bisogno di essere guidata. «Non puoi semplicemente puntare l’AI a tutti i tuoi dati e dire: puoi dargli un senso?», avverte Bird. È necessario che le persone stabiliscano priorità, definiscano cosa è utile e strutturino il lavoro in modo che gli strumenti possano esprimere il loro potenziale.

Questa visione restituisce centralità al ruolo umano, nonostante l’avanzata della tecnologia. L’AI readiness non è quindi un processo passivo, ma un atto di progettazione consapevole: preparare dati, formare team, costruire processi e infine sperimentare soluzioni proprietarie. Solo così l’intelligenza artificiale smette di essere un insieme di funzionalità isolate e diventa un vero abilitatore strategico.

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