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ChatGPT mette in allarme i retailer: il rischio è perdere il controllo dello shopping online



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L’integrazione del chatbot di OpenAI nelle esperienze d’acquisto promette di semplificare la vita dei consumatori, ma potrebbe minacciare il controllo dei retailer sul commercio online. Partnership come quella con Walmart segnano l’inizio di una rivoluzione che offre comodità agli utenti ma rischia di ridurre traffico, fedeltà e ricavi pubblicitari per le aziende

Pubblicato il 24 ott 2025



ChatGPT retailer

ChatGPT promette di rendere la vita dei consumatori molto più semplice. L’effetto sui retailer, però, sarà più complesso.
A metà ottobre 2025, Walmart – il più grande rivenditore americano – ha annunciato che permetterà agli utenti di acquistare i propri prodotti direttamente all’interno di ChatGPT di OpenAI. La notizia ha entusiasmato gli investitori: il titolo è salito di quasi il 5% in un giorno, aggiungendo circa 40 miliardi di dollari alla capitalizzazione di mercato.
Anche Etsy e Shopify hanno beneficiato di un effetto simile, con aumenti rispettivamente del 16% e del 6% dopo l’annuncio delle loro partnership con ChatGPT.


Dallo “shopping conversazionale” al pagamento istantaneo

Gran parte del traffico web dei retailer arriva già da canali esterni, come la ricerca su Google. Tuttavia, finora i clienti dovevano visitare i siti dei negozi per completare l’acquisto.
Con la nuova funzione Instant Checkout, ChatGPT permette di passare da una richiesta come “trovami i passeggini più leggeri sotto i 300 dollari” alla selezione e al pagamento, tutto senza uscire dalla chat.
OpenAI ha spiegato che gli esercenti pagheranno una piccola commissione per ogni transazione completata, e ha garantito che i risultati mostrati saranno “organici e non sponsorizzati”.


La corsa alla presenza nei chatbot

Per i retailer, la logica è chiara: se gli utenti cercano consigli d’acquisto nei chatbot, è meglio esserci per primi.
“Vuoi essere il più vicino possibile al punto della scoperta”, spiega Oliver Chen, analista di TD Cowen. Secondo Similarweb, la quota di traffico dei siti retail proveniente da strumenti di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT è ancora ridotta, ma cresce rapidamente.
ChatGPT detiene oggi circa il 75% del traffico globale dei chatbot, e secondo un paper del team economico di OpenAI, circa il 2% delle conversazioni riguarda lo shopping. Uno studio di Adobe ha rilevato che il 38% dei consumatori statunitensi ha già usato l’AI generativa per acquisti online, dai consigli sui prodotti alla ricerca di offerte.


I vantaggi per i marketplace e i grandi rivenditori

Etsy e Walmart sono tra i venditori che trarranno maggior beneficio da questa visibilità. Etsy, con milioni di articoli artigianali difficili da trovare, può sfruttare ChatGPT come piattaforma di ispirazione per regali o idee originali. Walmart, invece, punta sulla varietà, i prezzi competitivi e la consegna rapida, elementi che i chatbot possono mettere in risalto.


Il prezzo dell’intermediazione

Ma permettere agli utenti di saltare i siti e le app dei retailer potrebbe avere un costo.
Le compagnie aeree, per esempio, hanno avuto rapporti tesi con i siti di prenotazione di terze parti, arrivando in alcuni casi a ritirare le proprie tariffe da quelle piattaforme per evitare commissioni e spingere la vendita di servizi aggiuntivi direttamente dai propri portali.
Analogamente, il checkout diretto tramite chatbot potrebbe ridurre la fedeltà dei clienti e le opportunità di vendite aggiuntive, oltre a intaccare le entrate pubblicitarie.

Secondo Emarketer, oltre il 60% dei circa 59 miliardi di dollari che le aziende spenderanno quest’anno in pubblicità sui siti dei retailer riguarda inserzioni basate sulla ricerca interna.
“Se la fase di scoperta si sposta a monte, verso gli assistenti AI universali, anche i budget pubblicitari la seguiranno”, avverte il rapporto.


Amazon fa muro contro i chatbot

OpenAI non ospita ancora pubblicità, ma sta esplorando modi per monetizzare la piattaforma, assumendo esperti del settore pubblicitario da big tech rivali.
È anche per questo che Amazon, gigante della pubblicità online, sta tenendo i chatbot esterni a distanza. L’azienda avrebbe bloccato le piattaforme di AI generativa dal raccogliere dati dal proprio sito, impedendo così che i suoi prodotti compaiano su ChatGPT.
Nel frattempo, Amazon sta sviluppando funzionalità AI proprietarie per lo shopping, inclusa una che permetterà di acquistare prodotti anche al di fuori del suo marketplace.


Uno scenario di equilibrio (forse)

Per i retailer, lo scenario migliore potrebbe essere quello in cui gli utenti usano chatbot universali come ChatGPT solo per acquisti complessi o di alto valore, come divani o elettrodomestici. Le spese di routine, come la spesa alimentare, potrebbero restare ancorate a piattaforme come Amazon o Walmart.
Come ricorda Simeon Gutman, analista di Morgan Stanley, “l’e-commerce non ha mai soppiantato completamente il retail tradizionale, e allo stesso modo le piattaforme GenAI difficilmente prenderanno il sopravvento su tutto lo shopping”.


Quando il chatbot diventa il centro della vita quotidiana

Il vero rischio per i retailer arriverà se i consumatori organizzeranno la propria vita attorno a un unico chatbot, usandolo per acquistare di tutto – dai prodotti per la casa all’abbigliamento stagionale – senza mai visitare un sito di e-commerce.
La scelta di Walmart di collaborare con ChatGPT è quindi cruciale: potrebbe accelerare l’adozione dell’AI generativa da parte di clienti e concorrenti.
Se però l’uso di ChatGPT nello shopping diventasse così diffuso da ridurre fedeltà e ricavi pubblicitari, i retailer potrebbero reagire, ritirandosi dalle partnership o chiedendo una quota dei profitti generati dai bot, come Google fa con le testate giornalistiche.


Lo shopping veloce e senza attriti è il sogno di ogni retailer. Ma consegnare le chiavi del rapporto con i clienti a ChatGPT potrebbe trasformarsi in una decisione molto costosa.

Il parallelo con Overviews di Google è immediato e inquietante. Come l’esperimento di Mountain View, che sintetizza le risposte delle ricerche sottraendo traffico ai siti editoriali, anche l’integrazione di ChatGPT nello shopping rischia di disintermediare i retailer. Entrambi i casi mostrano lo stesso schema: piattaforme di AI che, in nome della comodità, si appropriano del punto di contatto con l’utente, relegando brand, negozi e persino media a semplici fornitori di contenuti o prodotti.
Nel breve periodo, Walmart e gli altri partner cavalcano l’onda dell’innovazione. Ma, come gli editori con Google, potrebbero presto scoprire di aver ceduto troppo potere – e troppi dati – a un intermediario che controlla la scoperta, la scelta e, infine, la vendita.


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