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AI, bolla finanziaria o industriale? Ecco cosa insegnano le bolle del passato



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Jeff Bezos definisce l’attuale entusiasmo per l’intelligenza artificiale una “bolla buona”: una bolla industriale che, pur gonfiandosi e sgonfiandosi, lascia dietro di sé infrastrutture e progresso reale. Come accadde con le ferrovie e internet, dall’eccesso di investimenti nasceranno innovazioni durature. Le bolle finanziarie distruggono valore, quelle industriali lo creano

Pubblicato il 30 ott 2025

Andrea Facchini

Financial analyst – MoneyRiskAnalysis

Andrea Tironi

Project Manager – Digital Transformation



AI, bolla finanziaria o industriale? Ecco cosa insegnano le bolle del passato

Jeff Bezos ha dichiarato recentemente che l’intelligenza artificiale è in una bolla. Sì, ma in una “bolla buona”. “Questa dell’AI è una sorta di bolla industriale, diversa dalle bolle finanziarie”, ha spiegato il fondatore di Amazon. “Le bolle industriali non sono affatto così dannose: possono perfino rivelarsi positive, perché quando la polvere si posa e si vede chi sono i vincitori, la società beneficia di quelle invenzioni”.
Secondo Bezos, l’attuale entusiasmo intorno all’intelligenza artificiale ha scatenato un’ondata di investimenti indiscriminati: “Ogni esperimento trova finanziamenti, ogni azienda trova finanziamenti: sia le buone idee, che quelle cattive. E, in mezzo a questo entusiasmo, per gli investitori diventa difficile distinguere le une dalle altre. Probabilmente è ciò che sta accadendo anche oggi”.

Bolle industriali e bolle finanziarie

Non un’esplosione di irrazionalità finanziaria come quella del 2008, ma un’ondata di entusiasmo che – pur destinata a gonfiarsi e poi sgonfiarsi – lascerà dietro di sé progresso reale. Bezos distingue due tipi di bolle: quelle finanziarie, che distruggono valore, e quelle industriali, che lo creano anche quando falliscono.
Le prime – come la crisi dei mutui subprime del 2008 – si basano su illusioni contabili e sulla leva del debito, gonfiando i bilanci ma non l’innovazione. Quando esplodono, non resta nulla se non rovine e sfiducia.

Le seconde invece – come la bolla delle dot-com o quella attuale dell’AI – nascono da un eccesso di fiducia nel futuro: gli investitori sbagliano le valutazioni, ma costruiscono infrastrutture che restano in piedi anche dopo il crollo.

bolle industriali AI
Jeff Bezos

Le ferrovie: la prima grande bolla industriale

Per capire cosa intende Bezos, basta guardare indietro di due secoli. Nella seconda metà dell’Ottocento, la febbre delle ferrovie travolse Inghilterra e Stati Uniti. Gli investitori si contendevano ogni nuovo tratto di binario come oggi fanno con i data center. Le società ferroviarie si moltiplicarono, i capitali affluivano a fiumi e sembrava che il mondo intero sarebbe diventato una rete di acciaio.
Poi arrivò il crollo: centinaia di compagnie fallirono, milioni di risparmiatori persero tutto. Ma cosa rimase? Rimase la rete ferroviaria, rimase la logistica moderna, rimase l’infrastruttura che rese possibile la rivoluzione industriale.

Dalle dot-com al trionfo del digitale

Più di un secolo dopo, la storia si ripeté con la bolla di internet alla fine degli anni Novanta. Anche lì, l’euforia era alle stelle: bastava aggiungere “.com” al nome di un’azienda per farla volare in Borsa. Gli investitori compravano azioni di società senza ricavi, spesso senza prodotto. Sembrava una follia – e lo era – ma quella follia aveva un sottotesto: la consapevolezza che il mondo digitale avrebbe cambiato tutto.
Quando il Nasdaq crollò del 78% tra il 2000 e il 2002, migliaia di startup sparirono e miliardi di dollari evaporarono.

Ma da quelle macerie nacquero Google, Amazon, eBay e PayPal. E soprattutto rimase la fibra ottica, rimase l’infrastruttura che oggi permette lo streaming, il cloud, l’e-commerce e la finanza digitale. La bolla scoppiò, ma la tecnologia sopravvisse – e cambiò il mondo.

Il 2008 e le bolle senza valore

Nel 2008, invece, avvenne il contrario. La bolla dei mutui subprime non creò nulla: nessuna infrastruttura, nessuna innovazione, solo catene di derivati costruite su debiti tossici. Era una bolla “finanziaria pura”, basata sull’illusione di poter moltiplicare ricchezza partendo dal nulla. Quando esplose, non lasciò dietro di sé fabbriche, ferrovie o reti di fibra, ma solo disoccupazione e sfiducia nel sistema bancario.
Un parallelo evidente può essere fatto con il mondo delle criptovalute, dove si ripete in chiave digitale la stessa illusione finanziaria del 2008.

Molte società vivono solo della salita dei prezzi di un asset volatile, senza creare valore reale. È una finanza autoreferenziale, fatta di speculazione e leva, in cui basta un calo di fiducia per far crollare tutto. E come allora, quando svanisce la liquidità “virtuale”, resta soltanto il vuoto.

La nuova bolla dell’intelligenza artificiale

Oggi viviamo un’altra stagione di euforia: quella dell’intelligenza artificiale. Team di sei persone ottengono miliardi di dollari di finanziamenti senza avere ancora un prodotto. Valutazioni alle stelle, startup ovunque, algoritmi che promettono miracoli e spesso non funzionano. Sì, è una bolla – ma una bolla industriale, come quella delle ferrovie o di internet.
Quando il clamore passerà, rimarranno i data center, le GPU, le reti neurali e gli strumenti di automazione. Tutto questo sarà il terreno su cui cresceranno le vere applicazioni dell’AI.

Bezos la chiama “productive chaos”: un caos produttivo in cui ogni idea, anche la più assurda, ha diritto di esistere. Quando la bolla scoppierà, resteranno infrastrutture, competenze e tecnologie a basso costo.
Il messaggio di Bezos non è ignorare i rischi, ma riconoscere che la crescita passa per l’eccesso. L’umanità si evolve sbagliando, investendo troppo, imparando da ciò che rimane. Le bolle sono la forma emotiva del progresso: ci fanno credere nell’impossibile, e solo dopo il loro scoppio capiamo cosa fosse davvero possibile.

Quando l’attuale euforia sull’AI finirà, forse scopriremo che Bezos aveva ragione: questa era davvero una “bolla buona”. C’è da augurarselo.

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