Un recente studio condotto dal Yale Budget Lab in collaborazione con il Brookings Institution mette in luce che l’adozione su larga scala di ChatGPT e di altre AI generative non ha finora provocato effetti rilevanti sul mercato del lavoro statunitense.
Analizzando i dati ufficiali sull’occupazione e confrontando le evoluzioni della composizione delle professioni con passate rivoluzioni tecnologiche (computer, internet), gli autori non riscontrano un’accelerazione eccezionale del cambiamento occupazionale attribuibile all’AI generativa. (Fonte: The Budget Lab at Yale)
Secondo Molly Kinder del Brookings, “negli ultimi tre anni il mercato del lavoro è stato una storia di continuità più che di rottura” e non siamo davanti a un’“apocalisse occupazionale” generalizzata (Fonte: Financial Times).
Martha Gimbel del Yale Budget Lab aggiunge che, pur percependo un mercato del lavoro “che non va benissimo”, le varie analisi condotte non mostrano evidenze che l’AI stia soppiantando masse di lavoratori.

Indice degli argomenti:
I limiti dell’analisi e cosa resta da monitorare
Gli autori avvertono chiaramente che il loro studio offre un’istantanea iniziale, non una previsione definitiva.
Alcuni punti critici:
- Le misure di “esposizione all’AI” (cioè quanto una professione può essere influenzata dall’IA) restano in parte teoriche e basate su stime, non su dati reali di effettivo impiego dell’AI nei processi aziendali. (The Budget Lab at Yale)
- Cambiamenti nella composizione delle professioni (“mix occupazionale”) mostrano qualche accelerazione rispetto al passato, ma già trend simili erano in atto prima del lancio di ChatGPT.
- Nell’analisi specifica dei neolaureati (fascia 20-24 anni), il tasso di disoccupazione è salito fino al 9,3% in agosto, ma i ricercatori non individuano una differenza chiara tra le opportunità disponibili per questa fascia e quelle offerte a laureati più “anziani” (25-29 anni) che possa essere attribuita all’AI.
In sostanza: per ora, non ci sono prove robuste che l’AI stia generando grandi perdite occupazionali a livello macroeconomico (Fonte: Financial Times)
Le voci contrarie: rischi concentrati sui giovani e sui ruoli iniziali
Non mancano però segnali e studi che accendono l’allarme, specialmente sulle fasce giovanili e sui ruoli “entry-level”.
- Uno studio della Stanford University sostiene che l’AI stia già erodendo occupazioni, con un impatto più marcato sui giovani (Fonte: Forbes)
- Fonti giornalistiche riportano che i laureati segnalano che l’AI sta riducendo le opportunità di ruoli iniziali, e che il fenomeno è percepito con crescente preoccupazione (Fonte: staffingindustry.com).
- Il sito Computer Weekly segnala che grandi firme come le “Big Four” in contabilità avrebbero ridotto le assunzioni nei ruoli di carriera iniziale fino al 29% negli ultimi due anni, mentre alcune aziende tech avrebbero diminuite le assunzioni di neo-laureati dal 25% al 50%, anche se non tutto può essere attribuito all’AI (Fonte: computerweekly.com)
- Allarme analogo arriva da un rapporto della British Standards Institution: su 850 dirigenti intervistati, il 39% dichiara che l’AI ha già spinto tagli nei ruoli entry-level, il 43% prevede ulteriori riduzioni entro un anno (Fonte: Financial Times)
- C’è chi avverte che i CEO tech gonfino le previsioni per stimolare investimenti: ad esempio, Dario Amodei (Anthropic) ha previsto che l’AI potrebbe eliminare metà dei ruoli entry-level, con tasso di disoccupazione al 10-20% nei prossimi 5 anni (Fonte: Financial Times).
- Dáron Acemoglu, premio Nobel, mette in guardia che l’hype sull’AI può spingere le aziende ad accelerare investimenti prematuri: “non molti stanno facendo qualcosa di molto creativo con l’AI” al momento (Fonte: Financial Times).
- Uno studio recente stima che l’AI potrebbe dislocare tra il 6 e il 7% del lavoro negli Stati Uniti, anche se definisce questo effetto come probabilmente “transitorio” (Fonte: Financial Times).
- Altri scenari elaborati a livello internazionale stimano che l’AI possa provocare perdite occupazionali tra il 7% e il 30% in orizzonti di medio-lungo termine (5-20 anni), anche se queste stime sono soggette a grandi incertezze (Fonte: GOV.UK).
Un’ulteriore traccia rilevante viene dalla letteratura accademica: uno studio (Eloundou et al.) ha stimato che circa l’80% della forza lavoro statunitense potrebbe avere almeno il 10% dei propri compiti influenzati da LLM (modelli linguistici) e circa il 19% potrebbe vedere almeno metà delle proprie mansioni toccate dall’AI (Fonte: arXiv).
Un altro studio (“Towards the Terminator Economy”) ha elaborato un indice di “esposizione all’AI” mostrando che circa un terzo dell’occupazione statunitense è altamente esposta, soprattutto nei lavori “white collar” (Fonte: arXiv).
Quindi: benché l’impatto macroscopico non sia evidente, la pressione è più forte nei segmenti più fragili del mercato del lavoro.
Quali lezioni e implicazioni per il futuro
Le evidenze attuali suggeriscono che:
- L’evoluzione occupazionale richiede tempo
Le grandi rivoluzioni tecnologiche non producono effetti immediati su vasta scala: computer e internet impiegarono anni per trasformare settori interi. - Le prime vittime possibili sono i ruoli iniziali e i giovani
Anche se la disoccupazione generale può restare stabile, le posizioni meno qualificate, entry-level o i neolaureati potrebbero risentire prima degli scossoni: numerose indagini indicano riduzioni nelle assunzioni ai livelli iniziali. - Non basta guardare al salario: chi ha competenze in AI ottiene anche benefìci non monetari
Uno studio recente mostra che i ruoli legati all’AI non offrono solo stipendi più alti, ma anche maggiori benefici (lavoro da remoto, congedi, incentivi) (Fonte: arXiv). - Il reclutamento sta cambiando: più attenzione alle competenze che al titolo di studio
Alcune ricerche rilevano che, specie nei ruoli legati a AI, il requisito formale del titolo di studio perde peso rispetto alle abilità concrete (Fonte: arXiv). - Quello che conta è il monitoraggio continuo
Lo studio di Yale prevede aggiornamenti mensili per osservare come evolverà l’impatto dell’AI nel tempo.






