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WTO: c’è il rischio che l’intelligenza artificiale allarghi la forbice della ricchezza globale



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Secondo l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), l’AI potrebbe aumentare il commercio globale dei beni e dei servizi fino al 40% entro il 2040, ma senza politiche mirate rischia di “accentuare le disuguaglianze anziché ridurle”. I paesi poveri devono colmare il divario digitale e ottenere accesso a regolamentazioni e infrastrutture per evitare esclusione economica massiccia; una sfida politica

Pubblicato il 17 set 2025



WTO AI

L’intelligenza artificiale rischia di innescare una nuova era di disuguaglianza globale, a meno che i paesi a basso reddito non partecipino concretamente ai benefici, avverte la direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), Ngozi Okonjo-Iweala.

Cosa dice il World Trade Report

Secondo il recente World Trade Report dell’WTO, l’AI potrebbe far crescere il valore degli scambi di beni e servizi mondiali di quasi il 40% entro il 2040, e il prodotto interno lordo globale del 12-13%, purché vi siano investimenti robusti nelle infrastrutture digitali.

Tuttavia, lo studio mette in guardia: se le economie meno sviluppate non riusciranno a “chiudere per metà il divario delle infrastrutture digitali”, i guadagni di reddito resteranno molto inferiori. Per le economie ad alto reddito si prevede una crescita del reddito del 14%, mentre per quelle più povere solo dell’8%. Ma colmando il gap digitale a metà, la crescita per i paesi poveri potrebbe salire al 15%.

Aumento previsto degli scambi commerciali tra il 2025 e il 2040
L’area ombreggiata rappresenta la gamma di stime relative a quattro scenari, dalla “divergenza tecnologica” al “recupero dell’IA”. (Fonte: WTO)
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Ngozi Okonjo-Iweala (Shutterstock)

Okonjo-Iweala ha ammonito che “L’intelligenza artificiale potrebbe accentuare le disuguaglianze invece di ridurle”, richiamando l’attenzione sul fatto che “Negli ultimi decenni la globalizzazione ha portato grandi vantaggi sia ai paesi ricchi che a quelli poveri, ma molte persone e regioni non hanno beneficiato adeguatamente di tali vantaggi”; una esclusione che ha avuto gravissime conseguenze sulle attuali tensioni commerciali. “Non possiamo permetterci di ripetere lo stesso errore con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale”, ha affermato Okonjo-Iweala.

Un numero ristretto di aziende controlla l’80% del mercato globale dei chip

Un’altra criticità è la concentrazione delle risorse dell’AI nei paesi ricchi: hardware, potere computazionale, regolamentazione tecnica. Un numero ristretto di aziende controlla oggi oltre l’80% del mercato globale dei chip, mentre l’estrazione di materie prime critiche – come gallio e germanio, essenziali per i semiconduttori – è concentrata in poche nazioni.

Il rapporto del WTO mette in luce la necessità fondamentale di evitare una frammentazione regolatoria a livello internazionale: se “le giurisdizioni applicano norme diverse in settori quali la gestione dei dati e la proprietà intellettuale”, questo può diventare un ostacolo per i paesi in via di sviluppo, spesso quelli che adottano le politiche più restrittive.

Infine, il documento sottolinea che la base manifatturiera dell’hardware per l’AI deve essere estesa nei paesi emergenti per garantire un modello di sviluppo inclusivo – un fenomeno già visto con la diffusione di Internet e dei telefoni cellulari ‒ e che le regole del commercio internazionale devono adeguarsi ai tempi, dato che quelle sui servizi non sono state aggiornate dal periodo pre-Internet.


Prospettive e proposte

  • Potenziamento degli investimenti nelle infrastrutture digitali dei paesi poveri: banda larga, data center, accesso all’elettricità stabile, formazione tecnica.
  • Cooperazione multilaterale per regole comuni su gestione dei dati, proprietà intellettuale, standard etici per l’AI.
  • Politiche di supporto per le piccole e medie imprese nei paesi in via di sviluppo, affinché possano accedere alle tecnologie AI e competere sui mercati globali.
  • Maggiore trasparenza e distribuzione dell’innovazione AI: incoraggiare la produzione locale di hardware, diversificare le catene di approvvigionamento, evitare monopoli materiali o tecnologici.

L’AI non basta a sé stessa: serve politica, non solo algoritmi

L’avvertimento della direttrice generale dell’OMC, Ngozi Okonjo-Iweala, è tanto chiaro quanto scomodo: “L’intelligenza artificiale potrebbe accentuare le disuguaglianze invece di ridurle.” Ed è un messaggio che andrebbe inciso a caratteri cubitali nei documenti di policy dei governi, soprattutto di quelli che oggi guidano la corsa globale all’AI.

Perché il rischio non è teorico. La storia della globalizzazione ci ha già mostrato cosa accade quando l’innovazione corre più veloce delle politiche redistributive: crescita concentrata, benefici polarizzati, tensioni sociali.

Negli anni Novanta si celebrava Internet come strumento di democratizzazione, ma il risultato è stato un oligopolio di piattaforme americane e cinesi che oggi dettano le regole. L’AI, se mal gestita, potrebbe replicare lo stesso schema, solo su scala ancora più vasta.

Il nodo non è la tecnologia, ma il contesto politico ed economico che la circonda. I numeri del WTO lo dicono con brutalità: senza colmare il divario digitale, i paesi poveri cresceranno della metà rispetto alle economie ricche. In altre parole, chi parte svantaggiato resterà indietro di decenni, intrappolato in una condizione di esclusione strutturale.

E c’è un altro rischio, più sottile ma altrettanto pericoloso: la frammentazione regolatoria. Ognuno scrive regole proprie su dati e proprietà intellettuale, creando un mosaico caotico che finisce per penalizzare soprattutto i paesi più deboli, costretti spesso ad adottare standard eccessivamente rigidi per paura di essere marginalizzati.

Quali soluzioni per evitare un nuovo gap tecnologico ed economico

Le soluzioni non mancano: infrastrutture digitali accessibili, trasferimento tecnologico, regole multilaterali condivise. Ma servono volontà politica e un nuovo approccio alla governance economica. L’AI non è un dono calato dal cielo, è un acceleratore: può moltiplicare crescita e innovazione, oppure può consolidare monopoli e disuguaglianze.

La vera sfida, dunque, non è tecnica, è politica. Non si tratta di scrivere il prossimo algoritmo più efficiente, ma di stabilire chi avrà accesso agli strumenti, ai dati, all’energia necessaria per farli funzionare. Perché senza inclusione, l’AI rischia di essere ricordata come l’ennesima rivoluzione tecnologica che ha arricchito pochi e lasciato molti indietro.

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