Thinking Machines Lab, la startup fondata da Mira Murati, ex Chief Technology Officer di OpenAI, ha ufficializzato la chiusura di un seed round da 2 miliardi di dollari guidato da Andreessen Horowitz. La notizia non è solo clamorosa per l’entità del finanziamento, ma soprattutto per la valutazione attribuita alla neonata impresa: 12 miliardi di dollari, rendendola uno dei più grandi round seed – ovvero round di finanziamento iniziale – nella storia della Silicon Valley.
Alla raccolta hanno partecipato anche Nvidia, Accel, ServiceNow, CISCO, AMD e Jane Street, una line-up che sancisce la legittimità industriale del progetto.
Già a giugno diverse testate avevano riportato che il round da 2 miliardi era in fase di chiusura, ma con una valutazione da 10 miliardi. In appena un mese, quel valore è aumentato di altri due miliardi, segno di una fame crescente degli investitori verso nuove AI Lab credibili e di rottura.

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La visione multimodale: l’AI che imita il disordine umano
Anche se Thinking Machines Lab non ha ancora svelato i dettagli tecnici del proprio lavoro, Murati ha cominciato a far trapelare qualcosa tramite un post su X: “Stiamo sviluppando un’intelligenza artificiale multimodale che funziona in modo naturale con il modo in cui interagisci con il mondo: attraverso la conversazione, la vista e il modo disordinato in cui collaboriamo”, ha affermato.

Il primo prodotto dovrebbe essere annunciato “nei prossimi mesi” e includerà una “significant open source offering”, ovvero una parte sostanziale del software sarà resa disponibile liberamente. “Siamo entusiasti di poter condividere nei prossimi mesi il nostro primo prodotto, che includerà una componente open source significativa e sarà utile per i ricercatori e le startup che sviluppano modelli personalizzati. Presto condivideremo anche le nostre migliori conoscenze scientifiche per aiutare la comunità di ricerca a comprendere meglio i sistemi di AI all’avanguardia”.
La componente open-source è vista non solo come una scelta strategica, ma anche come una provocazione nei confronti dei giganti come OpenAI e Google, sempre più orientati a chiudere i propri modelli dietro API a pagamento. In un mercato affamato di trasparenza, la promessa di rilasciare “la nostra migliore scienza” è una mossa che costruisce fiducia e legittimità accademica.
Una squadra d’élite e una governance blindata
A rendere ancora più potente il progetto è il team: Murati ha già attirato ex colleghi di OpenAI come John Schulman, Barrett Zoph e Luke Metz, oltre a Lilian Weng e Andrew Tulloch, nomi che rappresentano l’élite della progettazione di modelli avanzati.
La startup sta anche reclutando nuove figure con “una comprovata esperienza nella costruzione di prodotti AI di successo da zero”, come si legge sul sito ufficiale.
Ma la vera differenza rispetto a OpenAI è la governance: Murati ha strutturato Thinking Machines Lab in modo da avere controllo pieno sul board, evitando i conflitti che nel 2023 avevano fatto esplodere OpenAI. Qui, non ci sono mezze misure: è lei a guidare, con potere di veto sulle strategie, e non un comitato che cambia umore ogni trimestre.
Il nodo infrastrutture e la corsa alla frontiera
Thinking Machines Lab ha siglato un accordo con Google Cloud per supportare i propri modelli AI, una mossa che evidenzia la necessità di infrastrutture cloud scalabili.
Murati lo ha chiarito: “Stiamo costruendo una base solida, affidabile ed efficiente.”
Una frase che va oltre le rassicurazioni per i venture capitalist: significa puntare su ottimizzazione operativa, efficienza dei costi e sostenibilità tecnica, tutte sfide cruciali per chi vuole fare AI generativa su larga scala. In un’epoca in cui il costo di training può arrivare a milioni al giorno, la vera innovazione sta spesso nella gestione dell’infrastruttura, non nella pubblicazione di nuovi paper.
Meta ha tentato l’acquisizione: un segnale di potenziale
Secondo fonti vicine all’azienda, Meta avrebbe avviato trattative per acquisire Thinking Machines Lab, con l’obiettivo di rafforzare i propri sforzi nel campo della superintelligenza. Le trattative però non sono andate in porto, ma il solo fatto che siano avvenute dimostra quanto la startup sia già considerata un player strategico, nonostante non abbia ancora lanciato un prodotto.
Una minaccia reale per i giganti dell’AI
Thinking Machines Lab è considerata da diversi analisti una delle poche startup in grado di sfidare seriamente i leader del settore, come OpenAI, Anthropic e Google DeepMind. Grazie a un capitale iniziale miliardario, un team esperto e una roadmap tecnica credibile, la sfida è reale. E mentre la concorrenza investe miliardi in ricerca chiusa, Murati punta su trasparenza, collaborazione e infrastrutture aperte.
Certo, il rischio di essere surclassati dai giganti resta. Ma il vantaggio reputazionale e l’attenzione della community scientifica possono fare la differenza, soprattutto in un ecosistema in cui chi condivide vince la fiducia – e spesso anche i talenti.
Conclusione: rivoluzione o hype?
Thinking Machines Lab è giovane, audace e ancora avvolta da una certa dose di mistero. Ma con 2 miliardi in cassa, una valutazione da 12, una squadra stellare e una visione chiaramente alternativa, è già molto più di una startup: è un’ipotesi concreta di standard futuro.
Murati ha scelto un nome – Thinking Machines – che richiama la storia e il fallimento di una pioniera degli anni ’80. Ma oggi il contesto è cambiato. “Almeno questa volta abbiamo un hardware abbastanza potente”, afferma soddisfatta.
Ma non è sull’hardware che si gioca la partita. È sulla capacità di costruire sistemi realmente intelligenti, scalabili e accessibili. E se la promessa di Murati sarà mantenuta, potrebbe cambiare davvero tutto. OpenAI è avvisata.






