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Gen AI, upskilling e cambio culturale: gli ingredienti per innovare la sanità italiana



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Siamo in una fase di transizione, fatta di sperimentazioni diffuse, ma ancora poco integrate nei flussi ordinari del lavoro sanitario. La distanza tra potenziale e pratica quotidiana si può colmare con interventi di diverso tipo, dalla formazione mirata del personale sanitario all’uso di dati di qualità, fino allo sviluppo di modelli di Gen AI e responsible AI

Pubblicato il 23 ott 2025

Stefano Casini

giornalista



Gen AI sanità

La GenAI rappresenta una grande promessa anche per la sanità, con molteplici obiettivi: innanzitutto, migliorare processi, attività ed esperienza di cura. La spinta del mercato aiuta a capire la velocità del fenomeno: entro il 2027 la Gen AI rappresenterà circa il 30% del mercato AI complessivo, con il tasso di crescita medio annuo più elevato nella sanità, pari all’85%.

Il dato emerge dallo studio di Boston Consulting Group (BCG), realizzato in collaborazione con Donne Leader in Sanità, dal titolo “AI e leadership femminile in Sanità, opportunità, sfide e crescita”.

Un’accelerazione sostenuta dall’uso di modelli generativi per sintetizzare documenti clinici, scrivere bozze di lettere e relazioni di dimissione dei pazienti, supportare la programmazione delle risorse e ottimizzare ricerca e supply chain farmaceutica.

In un contesto di cambiamenti tecnologici e demografici, l’AI generativa si sta quindi diffondendo rapidamente nei reparti, negli ambulatori e nelle centrali amministrative della sanità italiana.

A monte di questo sviluppo, c’è una dinamica strutturale che rende l’ascesa dell’AI così rapida nel comparto: l’invecchiamento della popolazione (entro il 2050 il 30% degli italiani avranno più di 65 anni secondo l’Istat), il conseguente aumento delle cronicità e la carenza di personale rendono necessario un salto di produttività.

Lo sviluppo dell’AI nella sanità

In Italia mancano già oggi circa 50mila infermieri e si stima una carenza di circa 16.500 medici entro la fine del 2025, ciò significa che senza un’innovazione organizzativa e tecnologica scalabile, la sostenibilità del sistema rischia di essere compromessa.

Eppure, l’adozione reale è ancora parziale. Fino al 70% delle attività amministrative possono essere automatizzate, liberando risorse per l’assistenza ai pazienti. Ma solo il 45% degli operatori sanitari italiani utilizza già strumenti di Gen AI almeno una volta alla settimana (48% donne, 37% uomini), sempre secondo i risultati e le stime dello studio di Boston Consulting Group (BCG).

Gen AI sanità

Tra gli ostacoli emergono:

  • accesso limitato agli strumenti,
  • scarsa familiarità e formazione discontinua,
  • interrogativi sulla qualità dei dati e sulla validazione dei risultati nei contesti d’uso.

È una fotografia coerente con una fase di transizione, fatta di sperimentazioni diffuse, ma ancora poco integrate nei flussi ordinari del lavoro sanitario.

Gen AI e Responsible AI per le cure

Lo studio di BCG pone anche l’attenzione sulla Responsible AI come competenza trasversale. I modelli generativi apprendono da grandi quantità di testi e immagini: se i dati di addestramento contengono pregiudizi, gli output tendono a riprodurli. La letteratura sui bias di genere mostra che questo può avere effetti concreti, ad esempio nel modo in cui si riconoscono i ruoli professionali.

Gen AI sanità

In effetti, chiedendo agli attuali strumenti di generazione di immagini di creare il ritratto di un medico o di un infermiere, la GenAI restituisce l’immagine di un medico maschio e di un’infermiera donna, entrambi giovani e caucasici. La risposta non è solo tecnologica, ma anche etica: “serve aumentare la consapevolezza sull’importanza della partecipazione femminile nello sviluppo tecnologico della Gen AI, guidandone l’evoluzione e contribuendo a renderla meno soggetta al divario di genere e, allo stesso tempo, più efficace”, rilevano gli analisti.

Le leve e proposte d’azione

L’analisi non si limita alla “diagnosi” del settore, propone anche alcune leve concrete d’azione. La distanza tra potenziale e pratica quotidiana si può colmare con interventi di diverso tipo, dall’upskilling mirato del personale sanitario all’uso di dati di qualità e ben selezionati fino allo sviluppo di modelli di Responsible AI.

Servono formazione, accesso agli strumenti e presidi etici guidati da professionisti nei ruoli chiave. “La promessa di sviluppo e innovazione è concreta, ma non automatica”, rileva lo studio di settore, “poiché richiede investimenti in competenze, dati affidabili e una governance responsabile che trasformi i progetti pilota in pratica quotidiana”.

Innovazione e percorso da seguire

Ecco un possibile percorso da seguire:

  • in ingresso, “selezione e recruiting supportati da tassonomie di competenze e da strumenti per monitorare la parità di genere nei processi”;
  • nella fase di crescita, “upskilling e reskilling con programmi modulari, mappature delle attività più esposte all’automazione, coaching e mentoring per rafforzare la leadership”.
Gen AI sanità

Sul piano industriale e di sistema, “servizi AI embedded, ovvero integrati nei processi clinici e amministrativi, approccio centrato sugli utenti – che include profili clinici, amministrativi e pazienti e considera le differenze di genere – e sviluppo di ecosistemi per l’innovazione, in grado di connettere domanda e offerta e accompagnare la scalabilità”.

La sfida culturale

La sfida non è solo tecnologica, ma anche culturale. “L’intelligenza artificiale – soprattutto la GenAI – è un’opportunità straordinaria per trasformare la sanità non solo sul piano dell’innovazione, ma come leva per un sistema più sostenibile e accessibile ai pazienti”, sottolinea Alessandra Catozzella, managing director e partner di BCG: “questa trasformazione richiede però la ridefinizione delle professionalità e, in un settore in cui il 74% della forza lavoro è femminile, l’impatto sulla leadership delle donne non può essere lasciato al caso”.

Gen AI sanità

Che osserva: “eppure, oggi solo il 7% delle professioniste della sanità si sente supportata nell’adozione dell’AI, contro il 17% degli uomini. Nell’era dell’AI, la leadership femminile non si misura più soltanto dalla presenza nei board, ma dalla capacità di guidare il cambiamento, orientare le scelte tecnologiche e presidiare i temi etici e di equità”.

Il ruolo delle politiche pubbliche “è abilitante, così come la collaborazione tra aziende sanitarie, università e imprese”, per trasformare le sperimentazioni in standard operativi. L’AI arriverà comunque nei processi clinici e amministrativi, “la differenza la farà la capacità di accompagnarne l’adozione con competenze e responsabilità”, conclude Catozzella.

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