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L’India sta diventando il nuovo epicentro dell’intelligenza artificiale



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Grandi aziende americane come OpenAI, Microsoft, Google e Meta investono miliardi, attratte da un bacino di oltre 900 milioni di utenti internet. Il Paese offre dati, infrastrutture digitali e un ecosistema in espansione, ma restano aperte le sfide della monetizzazione e della dipendenza tecnologica

Pubblicato il 23 set 2025



India AI

Sam Altman, cofondatore di OpenAI, è convinto che l’adozione dell’intelligenza artificiale in India è stata “senza paragoni in nessun’altra parte del mondo”. Il Paese è già il secondo mercato per numero di utenti di ChatGPT e potrebbe presto diventare il primo.
Ad agosto, OpenAI ha lanciato una versione più economica del chatbot pensata per il mercato locale e prevede di aprire un ufficio a Nuova Delhi entro l’anno. Secondo Bloomberg, Altman potrebbe annunciare anche la costruzione di un enorme data center.


La corsa degli altri colossi americani

OpenAI non è sola. Microsoft ha promesso di investire 3 miliardi di dollari per ampliare le infrastrutture AI in India. Google e Meta hanno avviato partnership con Reliance Industries di Mukesh Ambani per realizzare data center e diffondere l’uso dell’AI nelle imprese indiane.
La startup Perplexity ha invece scelto un approccio aggressivo: grazie a un accordo con Bharti Airtel, offre gratuitamente per un anno il suo servizio (normalmente 240 dollari l’anno) a 360 milioni di clienti. L’iniziativa ha fatto balzare i download in India dell’800% in un solo mese.


Opportunità e limiti del mercato indiano

Con circa 900 milioni di utenti internet, l’India è il secondo Paese più connesso al mondo dopo la Cina, ma a differenza di quest’ultima resta aperta alle aziende americane. Android domina oltre il 90% degli smartphone e WhatsApp conta più di 500 milioni di utenti attivi.
Tuttavia, monetizzare resta difficile. Come dimostra Netflix, che in India costa appena 1,69 dollari al mese contro i 7,99 negli Stati Uniti, le aziende devono abbassare i prezzi. A differenza del cloud, però, l’AI ha costi di elaborazione elevati e uniformi, indipendenti dalla geografia.


L’India come laboratorio globale

Secondo Dmitry Shevelenko, chief business officer di Perplexity, offrire il servizio gratis è un investimento per “dimostrare il nostro valore” e trasformare gli utenti in abbonati. L’India, aggiunge, è tra i Paesi con il più alto tasso di interazione.
Un dirigente di un’azienda AI descrive il Paese come un “terreno di prova ideale” per sperimentare nuovi prodotti. Molti utenti, ad esempio, preferiscono interagire vocalmente piuttosto che scrivere, anche per barriere di alfabetizzazione.


Il valore dei dati e il quadro normativo

Le grandi aziende hanno già sfruttato i principali dataset pubblici disponibili a livello globale. Gli utenti indiani rappresentano una nuova fonte preziosa: le loro ricerche online forniscono dati reali e diversificati. La “India Stack”, l’infrastruttura digitale nazionale che integra identità biometrica e pagamenti digitali, ha portato online centinaia di milioni di cittadini, creando un flusso di informazioni inedite.
Inoltre, le normative sono favorevoli: “non esiste nulla che impedisca il trasferimento dei dati raccolti in India per addestrare modelli all’estero”, osserva Konark Bhandari del Carnegie Endowment.


Dipendenza tecnologica e rischio per le aziende locali

Gli utenti indiani accolgono positivamente l’arrivo dell’AI straniera, ma emergono preoccupazioni. Alcuni temono che le big tech americane possano “uccidere le prospettive dell’India” scoraggiando gli investimenti nelle startup locali, come avverte Venugopal Garre di Bernstein.
Il rischio è di replicare quanto accaduto in precedenti rivoluzioni tecnologiche: mentre gli americani costruivano le piattaforme, gli indiani restavano fornitori di servizi accessori. Nonostante il Paese abbia milioni di sviluppatori, il numero di ricercatori AI rimane basso.

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Una leadership ancora da definire

Sam Altman vede invece un futuro luminoso: l’India, ha detto, può diventare “uno dei leader della rivoluzione dell’AI”. La vera domanda è quale ruolo sceglierà: quello di gigante dei dati e degli utenti, o quello di creatore di nuove tecnologie proprie?


L’India sta diventando il terreno di conquista ideale per i colossi americani dell’AI, ma dietro l’entusiasmo si nasconde un equilibrio fragile. Il Paese offre numeri straordinari – utenti, dati, infrastrutture – ma non ricavi proporzionati. Le big tech puntano più sull’estrazione di dati che sulla costruzione di un ecosistema indigeno, con il rischio di soffocare le imprese locali e trasformare l’India in un grande laboratorio a cielo aperto piuttosto che in un vero polo tecnologico autonomo.

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