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Da strumento a collega: come l’AI sta cambiando produttività, relazioni e lavoro



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Una ricerca Upwork svela il lato nascosto dell’adozione dell’intelligenza artificiale: maggiore produttività, ma anche burnout, disconnessione e nuovi modelli di relazione tra umani e tecnologie

Pubblicato il 4 ago 2025

Maurizio Carmignani

Management Consultant, Trainer, Startup Advisor



AI lavoro

L’intelligenza artificiale sta finalmente offrendo i guadagni di produttività promessi, ma al prezzo di una crescente disconnessione emotiva e relazionale. Secondo il nuovo studio condotto da Upwork e Workplace Intelligence su 2.500 lavoratori tra dipendenti, dirigenti e freelance in quattro paesi[2], i lavoratori più produttivi con l’AI sono anche i più esposti a burnout, solitudine e intenzioni di dimissioni.

Le relazioni umane sul lavoro si stanno ridefinendo: l’AI diventa un compagno affidabile, neutrale e meno giudicante. Tuttavia, è nei modelli agili dei freelance che si intravede una via sostenibile al lavoro del futuro. Serve una nuova progettazione dell’esperienza lavorativa, che metta al centro non solo la tecnologia, ma anche le relazioni.

L’AI aumenta la produttività dei lavoratori, ma a caro prezzo

Secondo lo studio, i lavoratori riportano un incremento del 40% della produttività grazie agli strumenti di AI. Questo dato è basato sull’auto-percezione dei lavoratori che hanno dichiarato nei sondaggi di sentirsi il 40% più produttivi utilizzando l’intelligenza artificiale, non su una misurazione oggettiva della performance.

Questi risultati non sono senza conseguenze: tra coloro che usano l’AI in modo intensivo, l’88% dichiara di soffrire di burnout, il 67% si fida più dell’AI che dei colleghi e il 64% afferma di avere un miglior rapporto con l’AI rispetto ai propri compagni di team. Un paradosso produttivo che rivela una crescente solitudine.

Questa solitudine non nasce solo da un sovraccarico di lavoro. Secondo il report, è accompagnata da una disconnessione più ampia: il 62% dei lavoratori AI-power user dichiara di non comprendere la strategia AI dell’organizzazione in cui lavora. Inoltre, il 50% dei manager intermedi, categoria spesso in prima linea nell’adozione operativa dell’AI, preferisce interagire con l’AI piuttosto che con le persone.

Tutti segnali che indicano un indebolimento delle relazioni umane nel lavoro quotidiano, a vantaggio di un’interazione funzionale, neutrale, ma anche priva di reciprocità emotiva. Questa nuova condizione relazionale è confermata da un altro dato sorprendente: il 54% degli utenti intensivi percepisce l’AI come più empatica dei propri colleghi, un sintomo profondo di spostamento del legame fiduciario dalle persone agli strumenti.

Si profila così un modello in cui l’AI, oltre ad essere un supporto operativo, diventa un rifugio sociale privo di conflittualità e giudizio, ma che può erodere la base cooperativa delle organizzazioni.

Disconnessione strategica: chi usa meglio l’AI è anche chi si sente più disallineato

Un dato apparentemente paradossale. Lo studio mostra che i lavoratori più produttivi grazie all’AI sono anche quelli più disconnessi dalla strategia AI della propria azienda. Il 62% dichiara di non avere alcuna idea su quali siano gli obiettivi aziendali in tema di intelligenza artificiale, contro il 47% del 2024. Questa distanza è emersa anche nelle interviste, molti utenti esperti non si oppongono all’adozione dell’AI, ma ne criticano l’eccesso di entusiasmo o la scarsa comprensione strategica da parte della leadership.

Relazioni sociali con l’AI: più educazione, più fiducia, più empatia

L’indagine evidenzia che il rapporto con l’AI non è solo strumentale, l’85% degli utenti più esperti si comporta con maggiore cortesia verso l’AI rispetto ai colleghi umani, il 79% afferma che l’AI è più cortese con loro. Il 67% si fida più dell’AI che delle persone, il 64% ha un rapporto migliore con l’AI, e il 54% ritiene l’AI più empatica.

Antropomorfizzazione diffusa: la tecnologia trattata come una persona

Le interazioni con l’AI assumono forme sempre più “umane”, il 46% dice “per favore” e “grazie” a ogni richiesta, il 44% tratta l’AI come un partner di conversazione, il 42% fa brainstorming con l’AI come con un collega. Queste dinamiche suggeriscono che l’antropomorfizzazione non sia un’anomalia, ma un possibile meccanismo di compensazione per la mancanza di fiducia e connessione tra le persone.

Diversi partecipanti hanno dichiarato di preferire l’interazione con l’AI in situazioni legate alla generazione di idee o al richiamo alle responsabilità.

Stephen, direttore generale, spiega che “un promemoria da un’AI è meno conflittuale rispetto a un messaggio da un collega”. Kate, dirigente nel settore life sciences, aggiunge: “Quando mi blocco, non voglio disturbare nessuno. L’AI mi offre un punto di partenza”. In questi casi, l’AI diventa un collaboratore non giudicante, e proprio per questo affidabile.

AI lavoratori

AI e lavoratori: il modello freelance, meno stress, più controllo, più apprendimento

I freelance dichiarano un impatto positivo dell’AI sulla carriera nell’88% dei casi. Per loro, l’AI è prima di tutto un partner per l’apprendimento: il 90% afferma che li aiuta a imparare più rapidamente e il 42% ritiene che favorisca la specializzazione. Inoltre, sono più propensi a sentirsi in controllo e a utilizzare l’AI per potenziare la propria autonomia.

Il 68% dei freelance su Upwork è interessato a lavorare con agenti AI. A differenza dei lavoratori a tempo pieno, i freelance percepiscono l’AI come uno strumento che potenzia le proprie capacità. Il 34% afferma con convinzione che l’AI dà loro un vantaggio competitivo, contro il 28% dei FTE.

Solo il 30% dei dipendenti a tempo pieno ritiene che l’AI abbia ampliato i propri progetti, ma pochi ne collegano l’uso a promozioni, aumenti o nuove opportunità di carriera.

Una nuova formula: umani + AI + riprogettazione

Avevamo già scritto sul tema della relazione tra lavoratori e strumenti intelligenti raccontando un esperimento sul campo con 776 professionisti di Procter & Gamble che ha mostrato che l’intelligenza artificiale generativa può agire come un vero teammate, migliorando le performance, rompendo i silos funzionali e generando impatti positivi sull’emotività dei lavoratori. Questo studio ne offre un’ulteriore conferma quantitativa e qualitativa.

Per garantire una produttività sostenibile, non basta adottare l’AI. Serve ripensare il lavoro, progettare l’esperienza lavorativa in modo che valorizzi la connessione umana, l’autonomia e la fiducia. I team più agili del futuro integreranno dipendenti, freelance e agenti AI in modo complementare, con nuovi ruoli e modelli di governance. L’AI non è solo uno strumento: può essere vissuta come un collega, ma non deve sostituire la connessione umana. Il cuore del lavoro resta la relazione.

I leader dovranno progettare ecosistemi che tengano conto non solo dell’efficienza ma anche della qualità delle relazioni umane e digitali. Le organizzazioni che prospereranno saranno quelle capaci di progettare relazioni sostenibili: tra umani e AI, ma soprattutto tra le persone.

Nota metodologica

I dati provengono da un sondaggio condotto da Walr, per conto di Upwork e Workplace Intelligence, tra il 24 marzo e il 9 aprile 2025, su un campione di 2.500 lavoratori (1.250 dirigenti C-level, 625 dipendenti a tempo pieno, 625 freelance) in Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Canada. I partecipanti avevano tra i 18 e i 78 anni, con almeno un diploma di scuola superiore, e usavano un computer almeno saltuariamente per lavoro. Sono stati inoltre realizzati focus group ad aprile e maggio 2025 con 16 leader aziendali e 24 freelancer statunitensi che utilizzano l’AI nel lavoro almeno alcune volte al mese.

From Tools to Teammates: Navigating the New Human-AI Relationship https://www.upwork.com/research/navigating-human-ai-relationships

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