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Pay per Crawl, la terza via tra blocco e sfruttamento dei contenuti online



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Il marketplace di Cloudflare introduce micropagamenti per lo scraping AI, offrendo agli editori controllo, trasparenza e remunerazione. In beta, il modello promette di riequilibrare il rapporto tra contenuti e intelligenza artificiale, ma solleva nodi su prezzi, governance, adesione dei big player, tutela di ricerca aperta e usi non commerciali

Pubblicato il 22 dic 2025

Alessio Pecoraro

Head of Marketing & Communication SCnet



Pay per Crawl, la terza via tra blocco e sfruttamento dei contenuti online

Si chiama Pay per Crawl ed è un marketplace che si propone di ridefinire i rapporti tra editori digitali e aziende di intelligenza artificiale, introducendo un modello più trasparente, controllabile e, idealmente, remunerativo per i creatori di contenuti.

Lo ha creato Cloudflare, il colosso dell’infrastruttura internet che serve circa il 20% del web globale. Pay per Crawl segna una tappa significativa nell’evoluzione delle dinamiche tra i siti web e i crawler AI, in un momento storico in cui lo scraping massivo da parte dei modelli di intelligenza artificiale generativa ha sollevato crescenti preoccupazioni legate alla proprietà dei contenuti, al consenso e alla sostenibilità economica per gli editori.

L’alba di un nuovo paradigma: da scraping selvaggio a mercato controllato

Nel nuovo sistema proposto da Cloudflare, una sorta di terza via, i proprietari di siti web potranno decidere se consentire o meno l’accesso ai crawler AI, in modo selettivo. In particolare, potranno:

  • bloccare del tutto i crawler AI;
  • consentire lo scraping gratuitamente;
  • richiedere un micropagamento per ogni “crawl”, cioè ogni visita dei bot al proprio sito.

Questa logica introduce un elemento fondamentale finora assente: la possibilità per gli editori di monetizzare l’accesso ai propri contenuti, spostando l’equilibrio di potere rispetto agli attori dell’AI che finora hanno costruito modelli multimiliardari partendo da dati prelevati in modo unilaterale.

“Non tutti i contenuti di un sito web sono passibili di essere tutelati di diritti di esclusiva di proprietà intellettuale. Tuttavia, per quelli che lo sono, questa potrebbe essere una strada innovativa e anzi rappresenta forse un’evoluzione inevitabile in un contesto in cui il web ha assunto un valore strategico per l’addestramento delle AI.

Il concetto di ‘pay-per-crawl’ introduce un principio economico di base: se i tuoi contenuti vengono utilizzati per creare valore (come nei modelli AI), allora hai diritto a una forma di compenso, una sorta di licenza. Tuttavia, nella pratica, ci sono ancora molte sfide: chi stabilisce quali sono i contenuti proteggibili – dunque oggetto di compenso – e quelli non proteggibili? Chi stabilisce il prezzo del contenuto?

“Come si definisce il ‘valore’ di un contenuto ai fini dell’addestramento AI?”, spiega Cristiana Andreotta, avvocato esperta di proprietà intellettuale, che aggiunge: “Forse servirà una regolamentazione minima comune – sulla scia dell’AI Act europeo – che dovrà coinvolgere grandi player e istituzioni e che consenta di evitare il rischio di creare un web a più velocità, dove solo chi può permettersi di pagare accede ai contenuti di qualità. I prezzi dovranno essere allo stesso tempo sostenibili per chi acquista ma comunque remunerativi per i titolari. Ma è senza dubbio un passo importante verso una nuova governance del web, dove la proprietà intellettuale può riacquisire centralità” conclude Andreotta.

Pay per Crawl: come funziona

Attualmente l’iniziativa è in fase beta. Solo alcuni editori selezionati sono stati invitati a partecipare a questo “esperimento” – come lo definisce Cloudflare stessa – che servirà per testare la scalabilità, l’interoperabilità tecnica e l’interesse di mercato.

Gli strumenti messi a disposizione permettono agli editori di identificare e differenziare i crawler AI, distinguendo tra quelli che operano per finalità di training, per indicizzazione nei motori di ricerca AI o per altri scopi. Gli editori potranno anche tenere traccia delle visite dei bot attraverso una dashboard dedicata, già lanciata nei mesi scorsi, in grado di offrire una visualizzazione dettagliata del traffico AI.

Questo si affianca a una funzionalità “one-click” per bloccare tutti i bot AI, introdotta da Cloudflare nel 2023, che aveva già segnalato una prima presa di posizione concreta verso la tutela dei contenuti online.

“Stiamo cercando di costruire un’infrastruttura di fiducia tra chi crea contenuti e chi addestra o utilizza modelli di AI. Finora c’è stato uno sbilanciamento. Questo è un primo passo verso un ecosistema più equo,” ha dichiarato il CEO di Cloudflare, Matthew Prince.

Tra visione e realtà

Sebbene Pay per Crawl rappresenti un tentativo pionieristico di regolamentare economicamente l’interazione tra AI e contenuti web, il suo successo dipenderà da numerosi fattori.

  • La partecipazione delle grandi aziende di AI: affinché il sistema funzioni, è necessario che attori come OpenAI, Google, Meta e altri aderiscano volontariamente al marketplace e accettino di pagare per accedere ai contenuti. Non è scontato.
  • L’identificabilità dei crawler: non tutti i bot AI si presentano con un user agent trasparente. Alcuni operano in modo camuffato o attraverso proxy. La reale efficacia del sistema dipenderà dalla capacità di Cloudflare di autenticare l’identità dei crawler e far rispettare le regole.
  • La definizione di tariffe: trattandosi di micropagamenti, sarà cruciale trovare un equilibrio tra sostenibilità economica per le aziende AI e ricompensa significativa per gli editori.

“Sarei soddisfatto se il pagamento potesse avvenire in dati, le aziende guadagnerebbero molto in questo modo” dice Francesco Folloni, esperto di SEO e imprenditore, che allarga lo sguardo: “Il futuro potrebbe essere fuori dall’ambiente on-line, eventi in presenza e flusso che si sviluppa tramite canali di messaggistica e incontri face to face. Se pensiamo come si pensava con la SEO siamo fuori strada”.

Un futuro più equo

Dietro a Pay per Crawl c’è però un’intuizione importante: il web non è un commons, bene comune, illimitato e gratuito, ma un ecosistema fatto di contenuti prodotti da persone, organizzazioni e imprese che hanno bisogno di tutela e compenso. L’AI generativa, con la sua fame insaziabile di dati, ha messo a nudo le fragilità di questo modello. Le risposte – siano esse legali, tecniche o economiche – stanno ancora prendendo forma.

Cloudflare, dal canto suo, si propone come un intermediario tra le due sponde: quella dei creatori di contenuti e quella degli sviluppatori di intelligenze artificiali. Con oltre il 20% del traffico internet mondiale che passa per la sua rete, la società californiana ha le dimensioni e la posizione per provare a influenzare concretamente gli equilibri.

Se il marketplace Pay per Crawl dovesse consolidarsi, potremmo assistere a un cambiamento epocale nel modo in cui i contenuti web vengono utilizzati per addestrare e alimentare i sistemi di AI: da un processo opaco e unilaterale a un’operazione consapevole, tracciabile e potenzialmente remunerata.

Si può pensare a un ecosistema digitale più equo? “Il rapporto è inevitabilmente conflittuale – spiega Cristiana Andreotta – ma anche complementare. La AI si nutre di contenuti, ma senza regole rischia di erodere la sostenibilità economica e culturale di chi quei contenuti li crea. La proprietà intellettuale deve evolversi per tenere conto di questa nuova dinamica. Un ecosistema digitale più equo è possibile se si abbandona la logica binaria del ‘libero per tutti’ vs ‘tutto blindato’. Servono soluzioni intermedie: licenze flessibili e tracciabili con compensi proporzionali al valore generato, piattaforme trasparenti che riconoscano e remunerino l’uso dei contenuti, l’accessibilità alla conoscenza per scopi educativi deve rimanere libera”.

Un passaggio, questo, che potrebbe fare la differenza non solo per gli editori, ma per l’intero futuro del web aperto.

Accesso alla conoscenza, ricerca e usi non commerciali

Non mancano le preoccupazioni. Un blocco predefinito dei crawler AI potrebbe compromettere anche usi legittimi e non commerciali, come la ricerca accademica o i progetti di archiviazione del web. “Non tutti i sistemi di AI competono con gli editori. Non tutti sono commerciali”, ricorda Shayne Longpre, ricercatrice del MIT Media Lab di Cambridge in Massachusetts.

“L’uso personale e la ricerca aperta non dovrebbero essere sacrificati. Non esiste innovazione senza accesso alla conoscenza, ma nemmeno senza riconoscimento del lavoro intellettuale. La risposta sta in un equilibrio dinamico tra diritti e doveri di chi accede (es. ricercatori, aziende, sviluppatori AI), da un lato, e diritti e doveri di chi crea (es. giornalisti, autori, artisti), dall’altro, con regole trasparenti e interoperabili che permettano usi legittimi (come la ricerca) ma blocchino lo sfruttamento commerciale ed economico senza consenso, lasciando così privo di riconoscimento il lavoro di altri”.

Longpre ha ragione: la ricerca aperta e l’uso personale sono pilastri della crescita culturale e tecnologica. Ma serve un contrappeso, e forse proprio iniziative come quella di Cloudflare – se ben strutturate e regolamentate – possono aiutare a far emergere una “grammatica nuova per la proprietà intellettuale nell’era dell’intelligenza artificiale” secondo l’opinione di Cristina Andreotta.

Da parte sua, Cloudflare sostiene di voler favorire un web più trasparente e negoziabile, non chiuso. “Verificando un crawler e le sue intenzioni, il proprietario di un sito ha un controllo più capillare – il che significa che può lasciarlo più aperto, se lo desidera,” dichiara Will Allen VP Product dell’azienda californiana.

Conclusioni

Un esperimento in beta prova a riscrivere il rapporto tra aziende di intelligenza artificiale e proprietari di siti web, aprendo la strada a una possibile monetizzazione dello scraping. Un nuovo equilibrio, una terza via, tra protezione, trasparenza e valore dei contenuti.

Siamo oltre l’innovazione tecnica. Si tratta di una presa di posizione etica e politica sul futuro del web. Un modello di interazione più maturo, dove trasparenza, consenso e remunerazione diventano i pilastri di una nuova governance digitale.

Certo, le incertezze non mancano a partire dalla partecipazione all’esperimento dei grandi player fino al futuro dell’esperienza utente sul web, ma intanto Pay per Crawl e il blocco predefinito dei bot AI rappresentano il tentativo più strutturato finora di regolare l’utilizzo dei contenuti online da parte dell’intelligenza artificiale.

Non è un sistema perfetto, ma è un primo passo verso un equilibrio che finora è mancato. Un nuovo approccio che potrebbe dare agli editori e ai content creator la possibilità di monetizzare i propri contenuti, alle aziende di proteggere il proprio brand e decidere consapevolmente con chi e a quali condizioni condividere il proprio lavoro.

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