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Hollywood dichiara guerra all’AI cinese: Disney, Universal e Warner Bros contro MiniMax



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Disney, Universal e Warner Bros Discovery hanno avviato un’azione legale contro MiniMax, start-up cinese proprietaria dell’app Hailuo AI, accusata di aperte violazioni del copyright. La causa, la prima contro un’azienda cinese del settore, arriva mentre MiniMax punta alla quotazione a Hong Kong. In gioco c’è il futuro dei diritti nell’era dell’intelligenza artificiale

Pubblicato il 16 set 2025



Hollywood MiniMax

Disney, Universal e Warner Bros Discovery, colossi di Hollywood, hanno avviato un’azione legale contro MiniMax, start-up cinese proprietaria dell’app Hailuo AI, accusata di aperte violazioni del copyright. L’accusa è che Hailuo AI, presentata come “uno studio di Hollywood in tasca”, produca immagini e video scaricabili di alta qualità utilizzando personaggi protetti da copyright. Tra i casi citati figurano Darth Vader di Disney e i Minions di Universal, apparsi in campagne pubblicitarie legate al marchio MiniMax.

Pubblicità ingannevole e sfruttamento dell’immaginario

Secondo i querelanti, la società cinese avrebbe persino utilizzato l’immagine del Joker, di proprietà Warner Bros, per promuovere il servizio su Instagram. Una pratica che, oltre a violare il diritto d’autore, darebbe ai consumatori l’impressione ingannevole di un endorsement ufficiale da parte delle major.

Un player emergente nell’AI cinese

MiniMax, con sede a Shanghai, è sostenuta da investitori di peso come HongShan (ex Sequoia China), Hillhouse e Alibaba. Nota anche per il chatbot Talkie, la società ha guadagnato attenzione per la qualità dei suoi modelli text-to-video, sebbene resti indietro rispetto a rivali come Midjourney e Kling AI in termini di popolarità.

MiniMax verso la quotazione a Hong Kong

La battaglia legale arriva in un momento cruciale: MiniMax sta preparando la sua quotazione a Hong Kong per finanziare l’espansione internazionale. L’azienda, che lo scorso anno ha visto Talkie come principale fonte di ricavi, cerca ora di diversificare il proprio portafoglio, soprattutto dopo il temporaneo ritiro dell’app dagli store statunitensi di Apple a dicembre.

Precedenti negli Stati Uniti: il caso Midjourney

Non è la prima volta che Hollywood muove guerra all’AI. A giugno, Disney e Universal hanno fatto causa a Midjourney, start-up americana di image generation, definendola una “voragine di plagio”. Midjourney ha replicato invocando il “fair use. Alcune corti distrettuali californiane hanno recentemente confermato che l’uso di opere protette per addestrare modelli AI può rientrare in questa eccezione.

Il nodo di fondo: regole e diritti nell’era AI

La vicenda mette in luce la tensione crescente tra l’industria creativa e i nuovi attori tecnologici. Da un lato, gli studios rivendicano la tutela dei propri asset; dall’altro, il settore dell’intelligenza artificiale si muove in un’area grigia dal punto di vista legale. La posta in gioco è la definizione dei confini del copyright nell’era digitale.


La causa intentata da Disney, Universal e Warner Bros contro MiniMax non è soltanto una disputa legale sul copyright. È il sintomo di un conflitto strutturale: da una parte le major di Hollywood, che basano i propri utili su franchise miliardari e sulla protezione ferrea dei loro asset creativi; dall’altra, le piattaforme di intelligenza artificiale che promettono di democratizzare – e industrializzare – la produzione di contenuti.

La mossa contro MiniMax assume una valenza geopolitica ed economica. Colpire una start-up cinese, sostenuta da giganti come Alibaba e pronta alla quotazione a Hong Kong, significa lanciare un segnale: i confini della proprietà intellettuale non possono essere elusi per cavalcare l’espansione internazionale. In questo senso, Hollywood si erge a guardiano del valore dei contenuti nel mercato globale.

Il paradosso, però, è evidente. Gli stessi studi che oggi denunciano una “voragine di plagio” sono stati lenti a sperimentare con l’AI, lasciando spazio a player più agili, spesso nati dal basso. Il rischio è che, mentre le major spendono milioni in tribunali, i consumatori e gli sviluppatori si spostino sempre più verso strumenti capaci di offrire “un Hollywood tascabile”, legali o meno che siano.

Il vero nodo non è se Hailuo AI o Midjourney abbiano violato o meno il copyright. È piuttosto capire se l’attuale quadro normativo sia in grado di regolare un’industria che si muove a velocità esponenziale. Le prime sentenze californiane sul “fair use” nell’addestramento dei modelli AI lo dimostrano: la giurisprudenza non è ancora allineata con la realtà del mercato.

Per Hollywood, questa battaglia legale è difensiva. Per il settore dell’intelligenza artificiale, è il preludio a una ridefinizione delle regole del gioco. Alla fine, non si tratta solo di chi possiede Darth Vader o i Minions, ma di chi controllerà il valore, economico e culturale, dei contenuti nell’era dell’automazione creativa.

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