“Il rischio concreto è che le PMI, spaventate dalla burocrazia e dalla possibilità di sbagliare, decidano di non investire affatto nell’intelligenza artificiale. E questa sarebbe una sconfitta per il Paese”. Non usa giri di parole e va dritto al problema – a uno dei diversi problemi – Alberto Tripi, Special advisor per l’AI di Confindustria, nell’analizzare e commentare l’entrata in vigore delle nuove norme dell’AI Act europeo.

Doveva, o dovrebbe, essere lo strumento normativo utile ed essenziale per portare regole e chiarezza all’interno di un mondo in veloce e spesso caotica evoluzione. Si sta rivelando un intervento controverso, contestato e causa di molte polemiche.
Tant’è che, ad esempio, Anitec-Assinform, l’associazione confindustriale per l’Information and Communication Technology (ICT), ne ha già chiesto e auspicato il rinvio di 2 anni.
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I rischi portati dall’AI Act europeo
Tripi è, in pratica, la voce di Confindustria sui temi e sul mondo dell’AI: “c’è il rischio che l’AI Act, pur partendo da obiettivi condivisibili – come tutelare i diritti fondamentali e garantire un uso etico dell’intelligenza artificiale -, si traduca in un eccesso di complessità normativa. Le imprese, in particolare le PMI, potrebbero trovarsi di fronte a obblighi difficili da interpretare e da applicare, soprattutto in assenza di strumenti concreti di accompagnamento”.
Oggi ci troviamo già a fare i conti con un mosaico normativo europeo sul digitale, “spesso incoerente e sovrapposto”. Il risultato è un clima di incertezza. Serve un cambio di passo: “semplificare le regole, renderle comprensibili e applicabili, e soprattutto far sì che accompagnino l’innovazione invece di soffocarla”.
Le regole troppo complesse sono un ostacolo
Perché le regole “servono, su questo non ci sono dubbi. Ma quando sono troppo complesse rischiano di diventare un ostacolo, soprattutto per le piccole imprese. Io stesso, con anni di esperienza alle spalle, ho fatto fatica a districarmi tra gli articoli dell’AI Act, figuriamoci un piccolo imprenditore”.
Se non si interviene con semplificazioni e con un approccio più pragmatico, il rischio è che l’AI Act finisca per rallentare – invece che incentivare – la crescita tecnologica del tessuto produttivo europeo.
Insomma, niente di nuovo, purtroppo, sotto il cielo di Bruxelles, Strasburgo o Roma: già tante volte l’intervento normativo – soprattutto in materie tecniche e tecnologiche – si rivela poco praticabile, troppo contorto e burocratico, lontano dalle dimensioni e dalle esigenze reali del mondo delle imprese e produttivo. Questa rischia di rivelarsi l’ennesima puntata della lunga serie.
L’AI Act può essere un’opportunità importante
E pensare che l’AI Act può e deve rappresentare un’opportunità importante: offrire una cornice regolatoria all’interno della quale le imprese possono sviluppare tecnologie che rispettino i diritti delle persone, delle minoranze e i principi fondamentali della democrazia.
Ma attenzione, dicono Tripi e Confindustria: “affinché questa normativa non diventi solo un insieme di vincoli, è fondamentale che si traduca anche in un ambiente favorevole all’innovazione. Abbiamo un disperato bisogno di un approccio pragmatico, in cui la tutela dei diritti conviva con norme applicabili e sostenibili per le imprese”. Solo così l’intelligenza artificiale potrà diventare davvero un motore di sviluppo e crescita per il nostro Paese.
L’AI impatta su tutta la collettività
Il forte timore è che la normativa scoraggi l’adozione dell’AI proprio da parte di chi ne avrebbe più bisogno per innovare e restare competitivo. Ed è un rischio che non possiamo permetterci, perché l’intelligenza artificiale non è solo una leva per la competitività delle imprese, ma una tecnologia abilitante con ricadute dirette sulla vita dell’intera collettività.
Può, ad esempio, contribuire a smaltire le liste d’attesa nella Sanità, migliorando la gestione delle agende ospedaliere e l’allocazione delle risorse; rendere più accessibili e trasparenti i servizi pubblici; prevenire incidenti grazie all’analisi predittiva e alla manutenzione intelligente delle infrastrutture; ridurre l’impatto energetico delle produzioni manifatturiere, con evidenti benefici sia economici che ambientali.
Aiutare l’innovazione, non soffocarla
L’AI può “migliorare l’efficienza dei trasporti, della giustizia, dell’istruzione. Insomma, l’AI è una leva di efficienza e sicurezza per il sistema-Paese, non solo un tema tecnologico per addetti ai lavori”, sottolineano in Confindustria. E proprio per questo “è cruciale che le regole ne accompagnino lo sviluppo, senza soffocarlo, e che si favorisca un’adozione consapevole, diffusa e accessibile a tutti”.
Non solo. L’analisi e la critica della nuova misura europea continuano: “perché l’adozione dell’AI porti vero valore, non può essere calata dall’alto: deve diventare un processo condiviso, che coinvolga tutta l’organizzazione, non solo il vertice”, dato che le tecnologie funzionano solo se chi le utilizza le comprende e le integra nel proprio lavoro quotidiano.
Il motore culturale del cambiamento
A questo si aggiunge un altro elemento fondamentale: “l’accesso a dati di qualità. Gli algoritmi non sono intelligenti di per sé. Lo diventano solo se alimentati con dati ben strutturati e attendibili”.
E poi c’è un tema culturale, che è altrettanto centrale: “serve investire nella costruzione di un mindset orientato all’innovazione. Ma soprattutto, ed è una vera urgenza per le imprese, occorre un piano strutturato per formare competenze tecniche, digitali e STEM, che oggi sono ancora troppo scarse”, indica lo Special advisor per l’AI di Confindustria. Perché “senza persone preparate, l’intelligenza artificiale rischia di restare un’opportunità mancata”.




