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AI Readiness Index 2025: in Italia le aziende già pronte per l’AI sono solo il 10%



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Il nuovo studio di Cisco mostra come le aziende più mature nell’adozione dell’AI ottengano valore più rapidamente, grazie a infrastrutture scalabili, governance solida e investimenti strutturati

Pubblicato il 14 nov 2025



Cisco AI Readiness Index 2025

Il Cisco AI Readiness Index 2025 evidenzia un divario netto tra le aziende pienamente pronte all’adozione dell’AI, identificate come pacesetter (pionieri), e la media del mercato. In Italia rappresentano il 10% del campione, mentre a livello globale si attestano al 13%. Questa categoria emerge per la capacità di trasformare i progetti pilota in iniziative operative, con una probabilità cinque volte superiore rispetto alla media italiana e una possibilità del 60% più alta di ottenere valore misurabile.

Il vantaggio dei pacesetter deriva da una combinazione di visione strategica, pianificazione rigorosa e infrastrutture progettate per sostenere l’evoluzione dell’AI. La rapidità con cui i casi d’uso maturano in valore operativo dimostra come il livello di preparazione sia un driver decisivo per la competitività.

L’avanzata degli agenti AI e il limite delle infrastrutture

Il report sottolinea come l’AI agentica stia diventando un elemento centrale nelle strategie aziendali. In Italia, il 77% delle organizzazioni prevede l’implementazione di agenti AI e il 34% si aspetta che lavorino a fianco dei dipendenti entro un anno. Questa crescita espone però le carenze infrastrutturali: solo l’8% delle aziende italiane dichiara reti realmente flessibili e adattabili.

L’introduzione degli agenti AI richiede infrastrutture capaci di gestire flussi continui di dati, modelli più complessi e interventi autonomi. L’aumento previsto dei carichi di lavoro, stimato oltre il 30% entro tre anni per il 45% del campione italiano, mostra come molte aziende rischino di non sostenere l’impatto operativo di questa nuova fase evolutiva.

Debito infrastrutturale: la nuova minaccia alla crescita

Cisco introduce il concetto di debito infrastrutturale legato all’AI, una forma moderna di debito tecnologico che limita la capacità di ottenere valore nel tempo. Aggiornamenti rimandati, architetture non uniformi e capacità GPU insufficienti creano colli di bottiglia che rallentano l’adozione di soluzioni avanzate.

Lo studio rileva che il 62% delle aziende italiane non riesce a centralizzare i dati e che solo il 20% dispone di una capacità GPU adeguata. L’effetto combinato di questi fattori può erodere la sostenibilità delle iniziative AI, impedendo scalabilità e continuità operativa.

I pacesetter: infrastrutture scalabili e governance solida

I pacesetter adottano un approccio sistemico, con investimenti che bilanciano strategia, dati, governance e competenze. Il 99% dispone di una strategia AI chiara e il 96% ha definito piani finanziari a breve e lungo termine. Inoltre, il 71% dichiara infrastrutture pienamente flessibili e il 77% investirà entro un anno in nuova capacità data center.

La sicurezza è un altro elemento distintivo: l’87% dei pacesetter conosce le minacce specifiche legate all’AI e il 75% dispone dei controlli necessari per gestire agenti autonomi, contro rispettivamente il 35% e il 32% del campione italiano. Questo livello di controllo consente loro di evitare accumuli di debito infrastrutturale, mantenendo continuità e capacità di innovazione.

Verso un modello operativo basato su agenti

L’AI non è più soltanto un mezzo per automatizzare compiti. L’ascesa degli agenti AI inaugura un modello operativo in cui sistemi autonomi affiancano i team, prendono decisioni e supportano processi complessi. Il 40% delle aziende prevede benefici per i dipendenti entro 12 mesi e oltre l’80% attende un aumento della produttività entro tre anni.

Per trarre valore reale da questi sistemi serve però una linea di continuità tra strategia, investimenti e governance. Senza un’infrastruttura coerente, anche gli agenti più avanzati rischiano di non trovare spazio operativo.

L’importanza della misurazione del valore

Uno degli elementi più deboli nelle aziende meno mature riguarda la capacità di misurare l’impatto dell’AI. Solo il 21% delle organizzazioni italiane monitora sistematicamente i risultati, mentre tra i pacesetter questa percentuale raggiunge il 95%. Misurare ciò che funziona permette di allocare risorse in modo più efficace e accelerare la maturazione dei casi d’uso.

Il valore ottenuto dai pacesetter conferma la validità di questo approccio: oltre il 90% segnala miglioramenti in profittabilità, produttività e capacità di innovazione.

Conclusioni: la readiness come motore di valore

Il Cisco AI Readiness Index 2025 mostra come la differenza tra ambizione e impatto sia determinata dal livello di preparazione. Le aziende più mature hanno già costruito un vantaggio competitivo difficile da colmare, grazie a un equilibrio tra strategia, infrastrutture scalabili, data governance e sicurezza.

Il percorso indicato dai pacesetter non si basa su investimenti isolati, ma su un modello disciplinato e continuo. In un contesto in cui agenti AI, complessità dei dati e carichi di lavoro crescono rapidamente, la readiness diventa la condizione indispensabile per trasformare l’AI in valore misurabile e sostenibile.

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