Arrivati all’autunno 2025, i giganti del settore tecnologico ribadiscono in modo inequivocabile che la loro marcia in avanti negli investimenti in intelligenza artificiale non si arresta. Google, Meta, Microsoft e Amazon hanno annunciato aumenti massicci nelle spese per infrastrutture – in particolare data center, chip e server – per rispondere a una domanda che, a loro dire, continua a superare l’offerta.
Ma queste decisioni suscitano preoccupazioni crescenti: i critici del settore temono che il mercato stia entrando in una fase speculativa – una “bolla AI” – fatta di costose scommesse infrastrutturali che potrebbero non trovare un ritorno proporzionato.
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La nuova corsa all’oro digitale
Google ha dichiarato di voler aumentare di ulteriori 6 miliardi di dollari gli investimenti destinati ai progetti legati all’AI, dopo aver già speso quasi 64 miliardi nei nove mesi precedenti.
Microsoft, dal canto suo, ha superato le previsioni degli investitori, spendendo 35 miliardi in un solo trimestre – 5 miliardi in più rispetto a quanto annunciato solo pochi mesi fa.
Meta, la società madre di Facebook, Instagram e WhatsApp, ha portato la sua spesa annuale a 70 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto al 2024.
Anche Amazon non è da meno: il colosso dell’e-commerce ha definito “molto aggressiva” la propria strategia di espansione, destinando 125 miliardi di dollari per il 2025 e promettendo cifre ancora maggiori l’anno successivo.
Nel complesso, le quattro aziende hanno speso oltre 360 miliardi di dollari in investimenti in beni capitali, inclusa la costruzione di nuovi data center. Un ritmo di spesa così alto non si vedeva dai tempi della bolla delle dot-com, e non sorprende che molti osservatori del settore inizino a domandarsi se la storia non stia per ripetersi.
Tra fiducia e timori di una nuova bolla
Le Big Tech giustificano l’aumento vertiginoso delle spese con l’esigenza di rispondere a una domanda crescente di potenza di calcolo. Secondo Amy Hood, direttrice finanziaria di Microsoft, “la domanda non solo non rallenta, ma si espande su più fronti contemporaneamente”.
Tuttavia, il quadro generale solleva non poche preoccupazioni. L’intelligenza artificiale rimane una tecnologia costosa, il cui ritorno economico concreto è ancora difficile da stimare. Molti analisti sottolineano come l’entusiasmo attuale ricordi da vicino la frenesia degli anni Novanta, quando l’euforia per Internet portò a valutazioni insostenibili e a una successiva crisi.
Lo stesso presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha cercato di rassicurare i mercati, sostenendo che le condizioni attuali non ricordano la bolla dot-com. A differenza di allora, ha spiegato, le aziende coinvolte oggi sono solide, generano profitti e finanziano i propri investimenti con capitali propri piuttosto che con credito facile. Tuttavia, Powell non ha affrontato il rischio che le aziende più piccole, prive della solidità finanziaria dei colossi del settore, possano trovarsi esposte a un indebitamento eccessivo nella corsa all’AI.
Il nodo del debito e della sostenibilità
Un recente rapporto della Bank of England ha evidenziato un potenziale rischio crescente: la costruzione di data center, finora sostenuta dalle liquidità interne delle grandi compagnie, sarà sempre più spesso finanziata con debito. Se l’intelligenza artificiale dovesse deludere le aspettative, o se le infrastrutture costruite risultassero sovradimensionate, la vulnerabilità del sistema potrebbe aumentare in modo significativo.
A ciò si aggiunge un problema tecnico-finanziario spesso trascurato: la rapida obsolescenza delle tecnologie utilizzate. GPU, chip e server specializzati per l’AI perdono valore in pochi anni, costringendo le aziende a sostituirli di continuo. Questo fenomeno potrebbe ridurre la redditività a lungo termine degli investimenti, mettendo pressione sui bilanci.

L’entusiasmo del settore e le voci critiche
Nonostante i segnali di allarme, le aziende sembrano più determinate che mai. Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, ha spiegato che la quantità di dati elaborati dai sistemi AI dell’azienda è venti volte superiore rispetto all’anno scorso.
Andy Jassy, CEO di Amazon, ha annunciato che la capacità di cloud computing del gruppo è raddoppiata dal 2022 e raddoppierà di nuovo entro il 2027.
Mark Zuckerberg, invece, giustifica le spese record di Meta con una visione di lungo periodo. L’obiettivo, ha detto, è prepararsi all’arrivo della “superintelligenza”, un livello di intelligenza artificiale superiore a quella umana. “Se la superintelligenza dovesse arrivare prima del previsto, saremo pronti a cogliere un’opportunità generazionale”, ha spiegato. “Nel peggiore dei casi, rallenteremo temporaneamente gli investimenti e utilizzeremo l’infrastruttura per i nostri servizi principali”.
Ciononostante, diverse istituzioni accademiche e finanziarie invitano alla prudenza. Un rapporto del MIT ha rivelato che circa il 95% delle aziende che hanno adottato progetti di intelligenza artificiale generativa non ha ottenuto ritorni economici significativi.
Sam Altman, CEO di OpenAI, ha avvertito che il mercato è “sovraeccitato” e che alcuni investitori si stanno muovendo con una fiducia eccessiva, ignorando i rischi sistemici di una bolla.
Prospettive e incognite del futuro
Il “grande boom dell’AI”, come lo definisce Reuters, non mostra segni di rallentamento. Si tratta di un fenomeno che ormai coinvolge non solo le aziende tecnologiche ma anche settori come l’energia, i semiconduttori e le infrastrutture industriali. Secondo alcune stime, entro il 2030 la spesa globale per l’AI e le sue infrastrutture potrebbe raggiungere i quattro trilioni (migliaia di miliardi) di dollari.
Di fronte a questi numeri, gli scenari futuri restano aperti. È possibile che nei prossimi anni si verifichi una correzione del mercato, con una selezione naturale tra progetti sostenibili e investimenti azzardati. Le aziende più solide, dotate di capitali propri e bilanci robusti, potrebbero uscire rafforzate, mentre i player minori rischiano di essere spazzati via da un’eventuale inversione del ciclo.
Per ora, la corsa continua senza sosta. L’intelligenza artificiale è diventata la nuova frontiera del potere economico globale, e le Big Tech sembrano disposte a tutto pur di garantirsi un vantaggio strategico in quella che molti definiscono la più grande trasformazione industriale del secolo.






