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AI, bolla o non bolla? Ecco tutte le paure e le promesse in gioco



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L’intelligenza artificiale è ormai il cuore dell’economia globale, tra promesse di crescita e timori di una nuova bolla. OpenAI e le big tech investono trilioni in infrastrutture, ma i ricavi non tengono il passo. Gli esperti si dividono: per alcuni l’AI trasformerà la produttività, per altri potrebbe trascinare l’economia in crisi

Pubblicato il 17 ott 2025

Alessandro Longo

Direttore AI4business.it e Agenda Digitale



AI bolla
intelligenza artificiale

L’AI sta diventando, nel bene e nel male, pietra angolare dell’economia. Anche se ancora i risultati pratici nella produttività non si vedono, dall’uso dell’AI, si stanno concretizzando due opposte previsioni.

La prima: l’AI è una bolla e a farsi male non saranno solo gli investitori ma anche molte altre aziende e l’economia nel complesso. In primis quella USA e a cascata quella dei Paesi fortemente allacciati agli USA, quindi Italia compresa.

La seconda: c’è ancora forte speranza degli investitori – come si vede dalle scommesse economiche e dalle quotazioni in gioco – che l’AI possa cambiare in meglio l’economia, rilanciando la produttività globale. L’AI ha il potenziale per aggiungere 15,7 trilioni di dollari al PIL globale entro il 2030, contribuendo sia alla produttività che ai consumi, secondo Pwc.

In mezzo tra le due previsioni varie voci di esperti che evidenziano rischi e opportunità specifiche, per chi saprà cogliere i vantaggi dell’AI e chi invece se li farà sfuggire o punterà sui cavalli sbagliati.

In gioco ci sono cifre straordinarie

Certo, le cifre in gioco sono straordinarie. Il caso OpenAI fa scuola. Prevede investimenti da mille miliardi di dollari (un trilione) nei prossimi 10 anni per costruire una delle infrastrutture AI più potenti del mondo. Le big tech tradizionali non sono da meno. Alcune stime dicono che questo edificio starà in piedi solo se i ricavi dati dall’AI aumenteranno presto di due ordini di grandezza.

Sono necessari due trilioni (mila miliardi) di dollari di entrate annuali per finanziare la potenza di calcolo necessaria a soddisfare la domanda prevista di AI entro il 2030, secondo una nuova ricerca di Bain & Company. E anche considerando i risparmi (e non solo i ricavi) associati all’AI, siamo ora sotto di 800 miliardi di dollari rispetto a quella stima. Morgan Stanley stima che i ricavi dell’AI sono stati 45 miliardi nel 2024. Insomma, servirà davvero una svolta importante per tenere in piedi la scommessa.

Il caso OpenAI

Approfondiamo il caso OpenAI. L’azienda dietro ChatGPT, sta investendo enormemente per costruire un’infrastruttura che soddisfi le crescenti richieste del mercato dell’AI. Attualmente, la società ha in programma di acquistare 26 gigawatt (GW) di capacità di calcolo da aziende come Oracle, Nvidia, AMD e Broadcom. Il costo stimato per questa capacità supera i mille miliardi di dollari nei prossimi 10 anni, ma le cifre potrebbero salire anche oltre 1.300 miliardi di dollari se consideriamo i piani a lungo termine.

A fronte di questi enormi investimenti, i ricavi di OpenAI sono ancora lontani dall’essere sufficienti per coprire i costi operativi. ChatGPT, che conta oltre 800 milioni di utenti, genera circa 13 miliardi di dollari di ricavi annuali. Tuttavia, solo il 5% di questi utenti sono abbonati paganti, il che implica circa 40 milioni di abbonati, mentre il resto usa il servizio gratuitamente. OpenAI punta a raddoppiare il numero di abbonati paganti, ma il raggiungimento di questo obiettivo richiede tempo e una crescita che non è garantita.

Se confrontiamo questi numeri con gli enormi costi in gioco, la questione diventa evidente: se l’adozione dell’AI non accelererà come previsto, l’industria non riuscirà a generare i ricavi necessari per giustificare i miliardi investiti.

Per giustificare questi investimenti, OpenAI sta cercando di diversificare le proprie fonti di reddito. A quanto emerso nei giorni scorsi sul Financial Times la società sta mostrando un piano quinquennale con nuovi flussi di ricavo. Verrebbero da nuovi strumenti di acquisto online, vendite di contenuti tramite il suo servizio di creazione video Sora e nuove soluzioni basate su agenti AI.

OpenAI sta anche valutando l’introduzione della pubblicità nei suoi prodotti, così come un ingresso nel settore dell‘hardware con il lancio di dispositivi di assistenza personale basati sull’intelligenza artificiale, sviluppati con l’ex designer di Apple Jony Ive. C’è anche una collaborazione con Nvidia per migliorare assieme l’efficienza dei chip AI.

Tuttavia, la strada per raggiungere i ricavi necessari è lunga e incerta. OpenAI ha già introdotto una nuova funzione di checkout in ChatGPT, guadagnando una percentuale sulle vendite degli articoli acquistati attraverso la piattaforma, ma questi guadagni sono ancora limitati rispetto agli investimenti.

La scommessa delle Big tech

Le cifre in gioco non riguardano solo OpenAI. Le più grandi aziende tecnologiche del mondo stanno investendo pesantemente nell’infrastruttura AI. Microsoft, Amazon, Meta, Alphabet e altre realtà stanno puntando miliardi di dollari per costruire la potenza di calcolo necessaria a sostenere l’AI. Solo nel 2025, questi colossi investiranno circa 400 miliardi di dollari per potenziare la loro capacità computazionale.

Microsoft, ad esempio, ha annunciato che spenderà circa 80 miliardi di dollari nel suo anno fiscale 2025, mentre Amazon prevede investimenti superiori ai 100 miliardi di dollari. Questi sforzi sono mirati a costruire data center e chip avanzati che possano alimentare le nuove applicazioni AI.

Che succede se scoppia la bolla

I numeri in gioco sono enormi, ma la crescita dei ricavi non è garantita. Se la domanda di AI non dovesse decollare come previsto, le aziende che hanno investito pesantemente in questo settore potrebbero trovarsi con enormi capacità inutilizzate e risorse sovradimensionate. Le similitudini con la bolla dot-com sono evidenti, secondo molti esperti: negli anni ’90, le telecomunicazioni investirono pesantemente nella costruzione di infrastrutture in fibra ottica, credendo che la domanda di internet sarebbe cresciuta in modo esponenziale. Quando la bolla scoppiò, molte aziende si trovarono con risorse inutilizzate e un mercato che non giustificava gli investimenti.

Oggi, l’AI sta attraversando una dinamica simile. Il 7 ottobre 2025, il Comitato per la Politica Finanziaria della Bank of England ha avvertito che le valutazioni delle azioni delle principali aziende tecnologiche focalizzate sull’AI, come OpenAI e Anthropic, sono aumentate rapidamente, raggiungendo livelli comparabili a quelli della bolla delle dot-com del 2000. Queste valutazioni elevate potrebbero essere vulnerabili a una correzione improvvisa se le aspettative sugli impatti economici dell’AI non dovessero materializzarsi come previsto. Il comitato ha sottolineato che tale correzione potrebbe avere effetti a catena sui mercati finanziari globali, inclusi quelli del Regno Unito.

Le aziende stanno investendo miliardi in data center e capacità computazionale, ma se la domanda non cresce come previsto, queste risorse potrebbero rimanere inutilizzate, come nel caso della fibra ottica negli anni ’90.

Le differenze fra oggi e la bolla dei ’90

Con due differenze importanti. Una a favore e l’altra contro l’AI. La prima è che le big tech sono molto meglio posizionate e con molta più liquidità rispetto alle dot com cadute; internet all’epoca per altro era una cosa per pochi, mentre ora l’AI la usano in tantissimi.

La seconda è che la fibra ha un ciclo di vita su diversi decenni, mentre i chip AI diventano obsoleti in pochi anni. Non è detto quindi che tutta questa infrastruttura – chip e datacenter – poi tornerà utile nel lungo periodo.

Se gli investimenti non dovessero generare i ritorni sperati, l’intero settore potrebbe trovarsi in difficoltà, con impatti devastanti per le aziende coinvolte e per l’economia globale.

Le ricadute sull’economia globale

La crisi nel settore dell’AI avrebbe impatti devastanti non solo per le aziende coinvolte, ma per l’intera economia globale. Le aziende che gestiscono data center, come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e altre, dipendono dalla crescita dell’AI per giustificare i massicci investimenti in infrastrutture.

Sono molte le aziende di costruzioni coinvolte per realizzare i datacenter.

Anche il settore finanziario potrebbe essere duramente colpito. Molti investitori, inclusi fondi sovrani e istituzionali, hanno scommesso sul successo dell’AI, e un fallimento del settore potrebbe causare perdite enormi per questi investitori. Le valutazioni di mercato di molte aziende tecnologiche potrebbero precipitare, portando a una crisi nei mercati finanziari globali.

Poi è vero che rispetto alle dot com, le big tech hanno perlopiù finanziato con le loro tasche questa scommessa; ma sempre più ora stanno ricorrendo alle banche, aumentando così l’esposizione al rischio dell’intero settore finanziario.

Le opinioni

Non si sa come andrà, ovviamente. Questo chiaro-oscuro emerge in molte delle dichiarazioni recenti.

Jeff Bezos, fondatore ed executive chairman di Amazon, ha recentemente espresso le sue preoccupazioni riguardo l’attuale entusiasmo per l’intelligenza artificiale, paragonandolo alla creazione di una bolla economica. Durante l’Italian Tech Week, il 3 ottobre 2025, Bezos ha sottolineato che quando gli investitori sono presi dall’euforia, tendono a finanziare qualsiasi progetto, senza riuscire a distinguere tra le buone idee e le cattive. Secondo Bezos, una “bolla industriale”, come quella che potrebbe sorgere attorno all’AI, non sarebbe catastrofica come una bolla bancaria, ma potrebbe essere positiva nel lungo termine. “Quando la polvere si poserà e si vedranno i vincitori, la società beneficerà di quelle invenzioni,” ha detto Bezos, suggerendo che, sebbene gli investitori possano perdere denaro, l’innovazione derivante da questo processo potrebbe essere un vantaggio per il progresso sociale ed economico.

Joseph Briggs, economista di Goldman Sachs, ha recentemente difeso la sostenibilità degli enormi investimenti che stanno affluendo nell’infrastruttura dell’AI negli Stati Uniti. Il 16 ottobre, Briggs ha sottolineato che, mentre il caso macroeconomico per gli investimenti nell’AI rimane forte, non è ancora chiaro chi saranno i veri vincitori di questa nuova era. Il rapido cambiamento tecnologico e i bassi costi di switching (cambio di fornitore) potrebbero limitare i vantaggi iniziali per le aziende che sono state le prime a entrare nel settore. Secondo Briggs, il futuro dell’AI è promettente, ma la strada per arrivare a un ritorno economico chiaro è ancora incerta.

Morten Wierod, CEO di ABB, ha parlato della situazione attuale del mercato AI in modo realistico, dicendo che, pur non vedendo una bolla economica, l’industria sta affrontando delle limitazioni in termini di capacità di costruzione. Il 16 ottobre, Wierod ha spiegato che gli investimenti nell’AI sono già enormi, parlando di “trilioni di dollari” in gioco, ma ha aggiunto che la mancanza di persone e risorse per costruire l’infrastruttura necessaria potrebbe causare ritardi nei progetti. Sebbene non ci sia una bolla speculativa immediata, l’impatto della lentezza nella costruzione dell’infrastruttura potrebbe ostacolare l’implementazione rapida e su larga scala delle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale.

Pierre-Olivier Gourinchas, capo economista del Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha analizzato il boom degli investimenti nell’AI negli Stati Uniti, suggerendo che potrebbe esserci una correzione simile a quella vissuta durante la bolla delle dot-com. Tuttavia, ha precisato che non si tratterebbe di un evento sistemico capace di distruggere l’economia globale o statunitense. L’AI, infatti, non è finanziata da debito, il che significa che, in caso di correzione del mercato, solo alcuni azionisti e investitori di capitale azionario potrebbero subire gravi perdite. Nonostante i rischi, Gourinchas è relativamente ottimista sul fatto che, nel lungo termine, l’AI contribuirà in modo positivo all’economia globale, ma mette in guardia contro l’incertezza sui veri vincitori.

Sam Altman, CEO di OpenAI, ha parlato candidamente sulla questione dell’entusiasmo che circonda l’AI, ammettendo che attualmente siamo in una fase in cui gli investitori sono “sovraeccitati”. In un’intervista con The Verge ad agosto, Altman ha dichiarato: “Qualcuno perderà una quantità fenomenale di denaro. Non sappiamo chi, ma molte persone faranno una quantità fenomenale di denaro.” Altman ha sottolineato che, pur riconoscendo i rischi legati agli investimenti e all’euforia, l’AI è destinata a crescere e a offrire enormi opportunità.

Tuttavia, come osservato anche da UBS, una grande parte degli investitori che temono una bolla sta comunque continuando a scommettere sull’AI, sentendosi sicuri che si trovi solo a metà di un ciclo di crescita. Questo suggerisce che, nonostante le preoccupazioni, molti investitori sono ancora convinti del potenziale a lungo termine dell’AI e sono disposti a mantenere i loro investimenti.

Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, ha recentemente offerto la sua opinione sul tema dell’intelligenza artificiale durante il Fortune Most Powerful Women Summit il 3 ottobre 2025. Ha insistito sul fatto che la svolta è reale e merita di essere presa sul serio. “L’intelligenza artificiale è reale”, ha dichiarato, chiarendo che considera la tecnologia sottostante sia trasformativa che duratura. “Dovreste usarla”, ha detto, rivolgendosi a tutte le aziende che lo ascoltavano. Ma ha aggiunto un avvertimento, dicendo che nel 1996 “Internet era reale” e “si poteva considerare il tutto come una bolla”. Ha poi analizzato la differenza reale che vede tra l’intelligenza artificiale da un lato e l’intelligenza artificiale generativa dall’altro. Si tratta di una distinzione importante, ha affermato Dimon, aggiungendo che “alcuni prezzi degli asset sono elevati, in una sorta di territorio di bolla”.

Dimon ha paragonato l’esuberanza odierna dell’AI ai primi giorni di Internet, definendola “nel complesso, un guadagno”, poiché Google, YouTube e Meta alla fine sono emersi e si sono dimostrati duraturi. Ha affermato di essere piuttosto cauto riguardo alle condizioni del mercato attuale, ma ha esortato le persone a non etichettare semplicemente tutta l’AI come una frenesia speculativa. “Non si può considerare l’AI come una bolla, anche se alcune di queste cose potrebbero esserlo. Nel complesso, probabilmente sarà un investimento redditizio“. Ha affermato che alcuni progetti non saranno realizzati come annunciato, altri otterranno il potere di cui hanno bisogno, ma ha rifiutato di discuterne in particolare, esortando a valutare gli investimenti caso per caso.

Una sintesi ragionevole, quella di Dimon, che non cade né sul catastrofismo né sull’utopia insensata.

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