Le maggiori etichette discografiche stanno per entrare in una nuova fase del confronto con l’intelligenza artificiale. Universal Music e Warner Music, secondo fonti vicine alle trattative, sarebbero vicine a siglare accordi pionieristici di licenza con aziende AI, stabilendo le condizioni economiche con cui tali tecnologie potranno usare il repertorio musicale (Fonte: Financial Times)
L’obiettivo è semplice ma ambizioso: evitare che l’AI ripeta con la musica i danni che la rivoluzione digitale causò all’industria nei primi anni 2000, ma questa volta con le carte in regola.
Indice degli argomenti:
Le trattative in corso: chi è al tavolo
Secondo le fonti, le etichette coinvolte – che rappresentano artisti del calibro di Taylor Swift, Kendrick Lamar, Coldplay, Charli XCX – stanno negoziando con startup come ElevenLabs, Stability AI, Suno, Udio e Klay Vision (Fonte: Reuters)
In parallelo, le trattative coinvolgono anche grandi operatori tecnologici come Google e Spotify. Per le etichette, è importante che questi accordi diventino un modello di riferimento, pur lasciando spazio a differenze tra piattaforme diverse. Spotify, tuttavia, secondo altre fonti, è ancora nelle fasi iniziali di esplorazione e non avrebbe alcun accordo imminente. (Fonte: Reuters)
Il cuore dell’accordo: micro-pagamenti e attribuzione
Il nodo centrale è: come pagare l’utilizzo del catalogo musicale da parte delle intelligenze artificiali? Le etichette propongono un modello simile a quello dello streaming, in cui ogni “riproduzione” attiva un micropagamento. (Fonte: Financial Times)
Per farlo funzionare, chiedono che le aziende AI sviluppino tecnologie di attribuzione, analoghe al sistema Content ID di YouTube, che identifichino quando un brano è stato usato (anche indirettamente) e attribuiscano la quota giusta ai titolari dei diritti.
Tuttavia, la complessità è elevata: l’AI non “riproduce” sempre un brano, ma può usarne componenti per generare qualcosa di nuovo, e spesso in modo non lineare. Le etichette sono consapevoli che le trattative saranno più articolate che nella semplice concessione di diritti per lo streaming.
Una delle difficoltà più delicate sarà conciliare l’autonomia operativa delle aziende AI con la tutela dei diritti e la trasparenza verso gli artisti.
Rischi e minacce sullo sfondo
L’invasione dei brani generati dall’AI
Una delle spinte urgenti per le etichette è il rapido proliferare di brani generati da AI sulle piattaforme streaming. Deezer ha affermato che quasi un terzo delle tracce caricate è generato artificialmente.
Spotify, dal canto suo, ha rimosso 75 milioni di tracce AI “spammy” nell’ultimo anno.
Inoltre, su Deezer si stima che fino al 70% degli stream da brani AI siano fraudolenti, cioè generati da bot per incassare royalty illegittime.
Precedenti legali: Suno e Udio
Nel 2024, le principali etichette hanno avviato cause contro Suno e Udio per presunta violazione di copyright: l’accusa è che queste piattaforme abbiano addestrato i loro modelli su musica protetta senza autorizzazione. (Fonte: Financial Times)
Ora le stesse startup sono al tavolo delle trattative, con l’aspettativa che i futuri accordi includano anche risarcimenti per usi pregressi.
Preoccupazioni degli artisti e analogie storiche
Elliot Grainge, amministratore delegato di Atlantic Records, ha paragonato la fase attuale al periodo di Napster e LimeWire del 2002, quando l’industria musicale perse decine di miliardi di valore. Ha affermato di essere “very bullish” sull’opportunità, ma ha ricordato che “abbiamo visto un’industria perdere il 50, 60, 70 per cento del proprio valore… Le etichette hanno la responsabilità di negoziare i migliori accordi per i loro artisti – e lo sanno fare bene.” (Fonte: Financial Times)
Una fonte dentro un’etichetta ha detto: “La differenza sta nel fatto che si prende l’intera storia della musica e la si inserisce in un modello che produce qualcosa di irriconoscibile. La domanda è: gli artisti accetteranno?”
Le etichette intendono imparare dagli errori del passato: non subire passivamente l’evoluzione tecnologica, ma fissare regole prima che l’AI le cambi unilateralmente.
Visioni accademiche e prospettive future
La sfida non è solamente legale o commerciale, ma anche tecnica ed etica. Alcuni studi propongono modelli di “diritto computazionale” (computational copyright) in cui algoritmi di attribuzione e divisione dei ricavi sono integrati direttamente nei sistemi di generazione musicale. (Fonte: arXiv)
Altri lavori evidenziano un problema di rappresentatività culturale: i dataset musicali usati per addestrare modelli AI tendono a privilegiare musica del Nord globale, marginalizzando generi del Sud del mondo.
Dal punto di vista della rilevazione, esistono linee di ricerca su strumenti che identificano automaticamente musica generata dall’AI o deepfake sonori, per contrastare abusi e imitazioni illegittime.
In prospettiva, se gli accordi si concretizzeranno, potranno plasmare un nuovo ecosistema in cui tech, etichette e artisti convivono su regole condivise. Se invece il sistema restasse indeterminato, il rischio è che l’AI dilaghi senza diritti riconosciuti.
Conclusione
Il mondo della musica si trova in un crocevia decisivo. Le etichette cercano di non trovarsi impreparate come all’epoca della rivoluzione digitale, ma questa volta vogliono scrivere le regole da subito. Le trattative in corso con società AI e big tech sono complesse, perché devono combinare principi economici, tecnologie di attribuzione e rispetto degli artisti. Se riusciranno, potremmo assistere a un nuovo modello “giusto” di convivenza tra industria musicale e intelligenza artificiale.





