L’AI deve essere vista come un’opportunità di crescita e non come una minaccia. Questo è il senso che esprime il report di Forrester “Ground Your Workforce AI Strategy In Human Experience“. Dall’analisi emerge come la trasformazione verso l’AI generativa non sia una questione puramente tecnica o di dati, ma un cambiamento che necessita di una forte componente umana.
Il report si basa su interviste con manager e responsabili di innovazione di alcune tra le aziende più attive nell’adozione della genAI, tra cui: Adobe, Adore Me, Automation Anywhere, Avanade, Foundever, Genesys, Google, Grammarly, KPMG, Microsoft, Miro, Unisys, West Monroe, WPP, Writer.com, una grande azienda globale di servizi finanziari, una società di revisione e contabilità, una grande impresa tecnologica globale e una major del settore oil & gas.
Forrester Research è una delle principali società internazionali di ricerca e consulenza, fondata negli Stati Uniti, specializzata nell’analisi delle tecnologie emergenti e delle trasformazioni organizzative. Il suo lavoro è un punto di riferimento per aziende, governi e leader di settore che vogliono orientarsi tra i grandi cambiamenti in atto
Indice degli argomenti:
L’intelligenza artificiale è un’opportunità solo se inclusiva
Uno dei punti cardine del report è che l’intelligenza artificiale può rappresentare un vantaggio competitivo reale solo se integrata in modo inclusivo, cioè coinvolgendo attivamente i lavoratori e riconoscendo il loro ruolo centrale nella transizione. L’AI generativa, infatti, non è una tecnologia autonoma e “autosufficiente”, rimane profondamente legata all’esperienza umana. Sono le persone a validarne gli output, a interpretarne i suggerimenti e a trasformarla in valore per l’organizzazione.
Troppe aziende, continuano a trattare l’AI come un progetto tecnico o come un tema di sola efficienza, trascurando le sue implicazioni culturali, sociali e cognitive. Il rischio di questa visione riduttiva è duplice, da un lato, si genera resistenza da parte dei dipendenti, che percepiscono la tecnologia come una minaccia piuttosto che un supporto; dall’altro, si perde l’opportunità di costruire un reale cambiamento organizzativo basato sulla collaborazione uomo-macchina.
Come afferma Erik Brown di West Monroe: “Qualsiasi tipo di implementazione di AI richiede persone nel loop. Anche nei casi più automatizzati, c’è sempre bisogno di qualcuno che garantisca la qualità e il giudizio umano.”
L’AI deve quindi essere un amplificatore delle capacità umane, non un sostituto. Quando viene proposta come alleata, strumento di crescita e leva per affrontare con maggiore efficacia le complessità del lavoro quotidiano, allora può diventare un motore di fiducia, innovazione e miglioramento diffuso.
Le domande (e le paure) dei dipendenti
Uno degli ostacoli principali all’adozione efficace dell’AI generativa nelle aziende riguarda il clima psicologico e culturale in cui essa viene introdotta. I lavoratori si trovano spesso disorientati, divisi tra l’entusiasmo per le nuove possibilità e il timore di essere sostituiti o marginalizzati. Forrester ha identificato una serie di interrogativi ricorrenti che aiutano a comprendere questo stato d’animo.
Domande chiave dei dipendenti rispetto all’AI:
- Sarò in grado di adattarmi all’uso degli strumenti di AI?
- Ho le competenze, la comprensione e l’etica per usare l’AI?
- L’AI ruberà il mio lavoro?
- Vale la pena investire tempo per imparare ad usarla?
- Cosa ci guadagno io?
- Sono troppo sicuro delle capacità dell’AI?
Queste domande riflettono una miscela di curiosità, insicurezza, aspettative e paure. La mancanza di fiducia nelle proprie capacità o nei reali benefici dell’AI può frenare l’adozione degli strumenti, rendendo vani gli investimenti in tecnologia se non accompagnati da un vero investimento nelle persone. Diventa fondamentale costruire una narrazione dell’AI che non sia solo centrata sulla produttività, ma che parli di valorizzazione, crescita e prospettive.
Questo dato suggerisce che la sola introduzione di nuove tecnologie, senza una cultura organizzativa che ne accompagni l’uso in modo consapevole, rischia di generare disillusione, resistenza o addirittura rigetto.

L’AI come leva di empowerment, non di esclusione
Per contrastare lo scetticismo e l’insicurezza che spesso accompagnano l’adozione dell’intelligenza artificiale nei contesti aziendali, Forrester invita a rovesciare la narrazione: l’AI non deve essere percepita come un rischio, ma come una leva per l’empowerment delle persone. Se introdotta in modo corretto, l’AI consente ai lavoratori di liberarsi da mansioni ripetitive e poco stimolanti, di acquisire nuove competenze, di migliorare la qualità del proprio lavoro e di trovare un ruolo più centrale nei processi di valore dell’organizzazione.
Questa prospettiva si traduce in una serie di benefici concreti per i dipendenti. L’AI può automatizzare le attività più meccaniche, lasciando più spazio alla creatività, alla risoluzione dei problemi e all’interazione con colleghi e clienti.
Inoltre, offre l’opportunità di sviluppare nuove competenze trasversali e digitali, fondamentali per restare competitivi nel mercato del lavoro. Può anche incentivare la condivisione dei risultati e l’apertura di nuovi percorsi di carriera, in grado di valorizzare il contributo umano nella relazione con le tecnologie.
Come mostrano le interviste contenute nel report, i dipendenti desiderano che l’AI:
- li liberi dai compiti noiosi e ripetitivi;
- li supporti nello sviluppo professionale;
- consenta loro di mostrare e condividere i successi raggiunti;
- offra reali opportunità di crescita;
- aiuti a risolvere problemi complessi che prima sembravano irrisolvibili;
- si occupi delle attività meno gratificanti lasciando spazio al lavoro a maggior valore aggiunto;
- contribuisca a creare ambienti collaborativi più prosperi.
Quando questi desideri vengono presi sul serio e integrati nei processi di adozione tecnologica, l’AI non è più percepita come una minaccia ma come un alleato strategico per il successo individuale e collettivo.
Costruire una cultura dell’AI centrata sull’essere umano e inclusiva
Il successo dell’AI nelle aziende dipende dalla cultura organizzativa, intesa come un insieme di quattro pilastri: scopo condiviso, norme comportamentali, rituali e artefatti.
Un’azienda pronta per la genAI deve assicurarsi che questi quattro elementi siano allineati, visibili e vissuti da tutti.
I quattro pilastri di una cultura dell’AI
- Scopo condiviso: creare un senso di appartenenza e un’identità comune con i dipendenti che saranno coinvolti nell’uso dell’AI.
- Norme comportamentali: definire azioni e buone pratiche che leader e team devono promuovere.
- Rituali: istituire momenti regolari di apprendimento e confronto sull’AI, come lunch & learn o workshop.
- Artefatti: utilizzare risorse visibili (es. librerie di prompt, video formativi, canali dedicati) che rafforzino la cultura dell’AI.
Tabella comparativa: cultura aziendale vs cultura AI
| Dimensione | Cultura aziendale tradizionale | Cultura AI centrata sull’essere umano |
| Scopo condiviso | Identità e appartenenza all’organizzazione | Identità e appartenenza al gruppo di utenti AI |
| Norme comportamentali | Azioni accettate e condivise da leader e colleghi | Azioni che favoriscono il coinvolgimento e l’uso dell’AI |
| Rituali | Eventi e momenti ricorrenti che consolidano i valori aziendali | Momenti regolari dedicati all’apprendimento e alla pratica dell’AI |
| Artefatti | Documenti, simboli e strumenti che rappresentano la cultura | Risorse digitali, librerie e spazi collaborativi per l’AI |
Conclusioni
Perché l’AI generativa porti vantaggi reali e duraturi, non basta un semplice aggiornamento tecnologico, serve una strategia inclusiva, culturalmente radicata e umanamente sostenibile, capace di orientare l’innovazione secondo una visione condivisa e partecipata.
L’introduzione dell’intelligenza artificiale deve essere accompagnata da un dialogo continuo con i lavoratori, che non solo devono essere coinvolti fin dall’inizio, ma anche messi nella condizione di comprendere, interpretare e co-progettare l’evoluzione del proprio ruolo. Questo implica un cambiamento di prospettiva profondo, l’AI non come elemento estraneo, imposto dall’alto, ma come opportunità da esplorare collettivamente.
Solo così sarà possibile trasformarla da potenziale fonte di paura, per la perdita di senso, di identità professionale o di occupazione, in una leva concreta di empowerment individuale e organizzativo.
Le aziende che riescono in questa trasformazione culturale costruiscono contesti in cui l’AI viene percepita non come sostituzione, ma come alleato strategico per accrescere capacità, valore e benessere.




