Quando, all’inizio del 2025, Dario Amodei (CEO di Anthropic) affermò: “l’AI scriverà il 90% del codice entro 3-6 mesi”, la frase ebbe l’effetto desiderato: titoli di giornale, attenzione mediatica e discussioni accese. Una previsione forte, funzionale a creare narrativa e attrarre interesse. Ma oggi, guardando ai numeri reali e alle esperienze quotidiane degli sviluppatori, la distanza tra promessa e realtà è evidente.
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Quanto codice scrive davvero l’AI?
Oggi l’AI contribuisce a generare tra il 25% e il 40% del codice, con picchi più alti solo in progetti molto circoscritti o in prototipi. Secondo il report di Microsoft, l’impatto medio è compreso fra il 20% e il 30%; Google riporta percentuali leggermente superiori. Numeri significativi, ma ancora lontani dall’idea di un 90%.
La maggioranza degli sviluppatori utilizza strumenti AI quotidianamente, ma con cautela. Ogni output viene controllato, rivisto, spesso riscritto: più revisori che esecutori ciechi. Questo approccio conferma che il valore dell’AI sta nel supporto e nella velocità, non nella sostituzione.
AI nello sviluppo di software: dove si arriva davvero al 90%
Esistono casi in cui l’AI scrive la quasi totalità del codice, ma si tratta di progetti piccoli, side-project o sviluppi sperimentali. Qui l’AI può essere utilizzata in maniera quasi autonoma, generando rapidamente applicazioni funzionali. Ma nelle grandi imprese, nei sistemi mission-critical o nelle architetture complesse, la storia è diversa: stratificazioni di codice, interventi multipli di team diversi e vincoli di sicurezza rendono l’autonomia dell’AI molto più limitata.
Il programmatore come co-pilota
Il vero cambiamento non è quantitativo, ma qualitativo. L’AI non è un sostituto completo, ma un co-pilota. Genera codice, ma non decide architetture, non gestisce contesti complessi, non si assume responsabilità sui bug. Il lavoro dello sviluppatore si sta trasformando: meno digitazione riga per riga, più attenzione al prompting, alla revisione critica, all’integrazione di diversi componenti.
In altre parole, non è tanto l’AI che programma al posto dell’uomo, quanto l’uomo che impara a guidare e contestualizzare l’AI.
Promesse, hype e conseguenze
Annunci come quello di Amodei hanno una funzione chiara: creare entusiasmo nei mercati, alimentare pitch deck e – perché no – favorire la raccolta di capitali. Ma hanno anche un costo. Gonfiare aspettative rischia di generare disillusione e alimentare quella che potremmo chiamare “AI fatigue”: una stanchezza da promesse mancate che mina la fiducia nei confronti della tecnologia.
Il rischio è che le aziende, spinte da aspettative irrealistiche, si lancino in progetti mal progettati che finiscono per fallire, non per mancanza di tecnologia, ma per disallineamento tra promessa e realtà.
Lo shift che conta davvero
La trasformazione più importante non riguarda la quantità di codice prodotto dall’AI, ma il paradigma stesso dello sviluppo: – dal “digitare codice” al “curare il contesto” con cui il codice viene generato; – dal “costruire da zero” all’“orchestrare strumenti intelligenti”; – dall’idea di sostituire gli sviluppatori all’opportunità di evolvere le loro competenze verso ruoli più strategici.
È in questa direzione che si misura il vero valore: la capacità delle aziende di rivedere processi, cultura e metriche di produttività in funzione dell’AI.
AI nello sviluppo di software: uno sguardo al 2030
Probabilmente alla fine del 2025 non saremo al 90%. Ma entro il 2030 è realistico immaginare un “intern digitale” nei team di sviluppo: un agente AI integrato in ambienti come VS Code o Cursor, capace di assistere, accelerare, perfino mettere in discussione decisioni progettuali. Non sarà un CFO che prende decisioni autonome, ma nemmeno un semplice “autocomplete”. Sarà un assistente cognitivo, utile a patto che lo sviluppo umano mantenga controllo e responsabilità.
Oltre le promesse
Le promesse servono a creare narrazione e stimolare mercato, ma il valore si costruisce nel processo quotidiano di adozione: cambiando la cultura dei team, misurando i benefici in modo concreto, migliorando la catena del valore del software. Ed è su questo terreno – più che sul numero di righe di codice generate – che si gioca la vera partita.






