La diffusione della Generative AI tra i professionisti ha raggiunto livelli mai visti, ma la maggior parte degli utenti continua a utilizzarla per attività di produttività di base, trascurando il suo potenziale cognitivo. È quanto emerge dall’intervento di Gabriele Rosani, autore di Harvard Business Review e Director di Capgemini Invent, durante la presentazione al convegno GenAI & Platform Thinking organizzato dall’Osservatorio Platform Thinking HUB del Politecnico di Milano.
Secondo i dati discussi da Rosani, il 67% dei manager utilizza la GenAI almeno una volta al giorno, ma quasi sempre per compiti semplici. Da qui nasce la riflessione sull’AI Co-Thinking, una modalità di interazione che mira a spostare l’attenzione dall’efficienza alla qualità del pensiero manageriale.
Indice degli argomenti:
Dalla produttività al pensiero: il salto mancato della Generative AI
Nel corso del confronto con Tommaso Buganza, direttore scientifico dell’Osservatorio, Rosani ha spiegato come l’adozione della GenAI sia cresciuta rapidamente: «Nel 2024 solo il 15% dei manager la usava almeno una volta al giorno, oggi siamo oltre il 50%.» Tuttavia, la frequenza d’uso non corrisponde a una piena comprensione del suo valore. La maggior parte dei manager impiega questi strumenti per ricerche, sintesi o stesura di testi, con un approccio che ricalca quello di un motore di ricerca avanzato.
«È un utilizzo di mera produttività», osserva Rosani. «L’AI viene usata per risparmiare tempo, ma non ancora per pensare meglio.» Solo una minoranza dei manager la sfrutta come partner di riflessione strategica, un potenziale ancora largamente inespresso.
La distinzione proposta da Rosani è chiara: l’uso della GenAI come Co-Pilot serve a eseguire compiti, quello come Co-Thinking serve a sviluppare idee.
AI Co-Thinking: dall’assistente al partner cognitivo
Nel modello di Co-Pilot, la macchina accelera processi ripetitivi – scrivere e-mail, sintetizzare documenti, tradurre testi – liberando tempo operativo. È utile, ma non trasformativo. Il Co-Thinking, invece, invita a usare la macchina come sparring partner: non per sostituire il ragionamento umano, ma per sfidarlo e arricchirlo.
Rosani descrive questo approccio come un dialogo strutturato, in cui l’AI aiuta a esaminare alternative, mettere in discussione decisioni e analizzare la prospettiva di altri stakeholder. «Non vogliamo andare più veloci, vogliamo pensare meglio», ha spiegato.
Questo tipo di interazione apre un campo di applicazione AI ampio per i manager: dalla formulazione di strategie alla gestione del cambiamento, dalla leadership personale alla riflessione sui team. L’AI diventa un interlocutore capace di restituire visioni diverse, di fare “challenge” a un’idea o di assumere il punto di vista di un cliente o di un competitor.
Le tre “C” del dialogo con l’AI: context, conversation, challenge
Rosani individua tre principi operativi per rendere efficace l’AI Co-Thinking. Il primo è il context: ogni conversazione utile con l’AI deve partire da un contesto chiaro, esattamente come avviene in un dialogo tra colleghi. «Più background forniamo, più il risultato sarà preciso. Senza contesto, la risposta sarà sempre standard», osserva.
Il secondo principio è la conversation. L’interazione con la macchina deve essere attiva, non un semplice scambio domanda-risposta. I manager che si limitano a “osservare” l’output dell’AI, senza contribuire con riflessioni e correzioni, rischiano di ridurre la tecnologia a un automatismo.
Infine, la terza “C” è il challenge. Chiedere all’AI di criticare un’idea, di trovare falle nel ragionamento, di mettersi “nei panni dell’avvocato del diavolo”. «Di default l’AI tende a compiacere l’utente», spiega Rosani, «ma se la invitiamo a essere più aggressiva, può offrirci un confronto anche più sincero di quello di un collega.»
Queste tre dimensioni aiutano a evitare le trappole più frequenti: risposte conformi, pensiero passivo e eccessivo trust verso l’output generato.
Quando il prompt diventa un metodo di pensiero
Per Rosani, il modo in cui costruiamo un prompt rivela come intendiamo il rapporto con la macchina. Esistono prompt di efficienza, che chiedono semplicemente di svolgere un compito (“riassumi questo testo”), e prompt dialogici, concepiti per aprire un percorso di riflessione.
Nel suo intervento, Rosani ha raccontato un esperimento condotto con quindici manager: a un gruppo è stato chiesto di usare Copilot per ottenere feedback dai colleghi, a un altro di utilizzare un prompt strutturato tratto dal suo libro.
Il risultato è stato netto. Con lo stesso software, l’approccio dialogico ha generato risposte più pertinenti, articolate e personalizzate. «Non si tratta di prompt engineering», chiarisce, «ma di costruire un dialogo in cui la macchina chiede, ascolta e incorpora il feedback dell’utente.»
Dall’individuo al team: l’AI come parte del gruppo di lavoro
Le ricerche di Rosani mostrano che solo il 5% dei professionisti usa l’AI in modo collaborativo. La maggioranza continua a lavorare da sola, anche quando si tratta di attività collettive come i workshop o le riunioni. «È paradossale», racconta, «parliamo di AI nei meeting, ma non la usiamo nei meeting.»
Secondo i dati raccolti con l’Osservatorio Platform Thinking HUB, il 69% dei manager che ha provato a integrare l’AI in team ne riconosce però un miglioramento della qualità del pensiero collettivo. Nei gruppi dove la tecnologia viene “messa a sedere al tavolo”, si osservano più discussione, più diversità di prospettive e minori rischi di conformità.
In un articolo pubblicato su Harvard Business Review, Rosani e Farri hanno descritto tre modalità pratiche per inserire l’AI nei meeting: “AI sets the table”, quando prepara materiali e domande prima della riunione; “AI at one seat”, quando agisce come facilitatore durante la discussione; e “AI at every seat”, quando ogni partecipante dialoga individualmente con la macchina per poi riportare al gruppo le proprie riflessioni.
L’obiettivo non è sostituire la dinamica umana, ma potenziarla, creando spazi di confronto più ricchi e riducendo il rischio di decisioni affrettate.
Superare la trappola dell’efficienza
Secondo Rosani, la narrazione sull’AI è ancora dominata dal tema della velocità. È un riflesso culturale che spinge manager e aziende a misurare il valore dell’innovazione in termini di produttività, trascurando la dimensione cognitiva. «Molti progetti falliscono perché riproducono logiche di efficienza invece di esplorare nuovi modi di pensare», ha osservato.
Le sue ricerche indicano che solo il 12% dei professionisti riesce a combinare efficienza e profondità, utilizzando l’AI sia come Co-Pilot che come Co-Thinking partner. È questa minoranza, definita “GenAI Master”, che sta sperimentando un uso realmente trasformativo della tecnologia.
Verso un management aumentato
L’AI Co-Thinking non riguarda l’automazione, ma la collaborazione cognitiva. Nelle parole di Rosani, «la macchina non sostituisce la riflessione, la amplifica». Per farlo, occorre cambiare il modo in cui la si interroga, il tempo che si dedica al dialogo e l’apertura a farsi mettere in discussione.
Più che uno strumento di produttività, la Generative AI diventa un alleato nella costruzione del pensiero strategico. Una pratica ancora poco diffusa, ma destinata a ridisegnare il lavoro manageriale, spostando il focus dall’efficienza all’intelligenza condivisa.





